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Raffaele Montepaone. Vi racconto la bellezza delle donne calabresi.
Gennaio 18, 2016

Raffaele Montepaone, fotografo vibonese, ha fatto del suo essere calabrese un marchio di fabbrica. La sua è una fotografia reportagistica caratterizzata da un bianco e nero fortemente contrastato grazie al quale riesce a dar risalto alle singolarità epidermiche dei soggetti ritratti. Non a caso le “muse” del progetto d’esordio Life sono le anziane donne calabresi con le mani e il volto solcato da profonde rughe. A pochi giorni dalla partecipazione a SetUp Contemporary Art Fair, che si terrà dal 29 al 31 gennaio all’Autostazione di Bologna, abbiamo incontrato il fotografo per farci raccontare in prima persona il suo lavoro.

© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

CLAUDIA STRITOF: Life è il progetto che ha segnato il tuo inizio ufficiale in fiere nazionali, potresti dirmi come nasce il tuo interesse verso le donne calabresi e i loro volti?

RAFFAELE MONTEPAONE: L’interesse verso quei volti è nato da un incontro casuale con zia Concetta (così si faceva chiamare). Nel 2007 lavoravo come fotoreporter per un quotidiano locale, mi chiesero un servizio su Stilo, piccola perla dell’entroterra ionico-reggino e lì incontrai la prima protagonista dei miei scatti, una novantenne laboriosa, simbolo della tradizione religiosa e popolare di quel paese. Inizialmente non fu facile fotografarla ma questo non mi turbò perché ero così affascinato dai suoi racconti che preferii conoscerla prima di ritrarla. Solo dopo un pò di tempo maturò in me la consapevolezza che quello era ciò che volevo fare: rappresentare la bellezza e la grandezza della vita tramite quegli occhi e quei volti che nonostante i segni del tempo riuscivano ancora a stupirsi e a stupirmi.

CS: Immagino che tutte le donne da te ritratte abbiano affascinanti storie da condividere. Ci potresti raccontare quella che più ti ha colpito? 

RM: Sì, sono proprio le loro storie senza tempo che mi emozionano ancor prima di ritrarle. La storia più toccante fu quella di due sorelle (presenti nella serie Life), che si sposarono a loro volta con due fratelli ma il loro destino fu totalmente diverso. La prima ebbe una vita agiata con un marito rispettoso e molti figli mentre la seconda sposò il fratello violento e geloso, non ebbe figli e passò la sua vita tra paura e frustrazione. Mi raccontarono che le loro vite erano state presagite in un sogno in cui la Madonna avrebbe donato ad una delle due lenzuola di lino, simbolo di prosperità, mentre all’altra donò un fascio di legna, simbolo di sventure. Rimasi turbato dal terrore con il quale la più sfortunata mi parlò del marito nonostante all’epoca del nostro incontro fosse già morto.

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© Raffaele Montepaone.

CS: In percentuale sono più le donne che tu fotografi che non gli uomini, come mai questa scelta?

RM: In realtà non c’è una spiegazione, forse è solo perché gli uomini hanno più imbarazzo e pudore nel farsi fotografare e di conseguenza è più difficile coglierne l’anima. O forse, perché il mio occhio è più affascinato dalle donne con le lunghe chiome bianche che nonostante i solchi del tempo sul volto riescono a trasmettermi la vera bellezza, la femminilità che non sfiorisce.

CS: Quali i valori della Calabria di allora che ti hanno trasmesso queste donne? Quali conserveresti e invece da quali ti senti più lontano?

RM: Sono anche io un calabrese, e da buon calabrese attaccato ai valori più semplici ed importanti della vita: i sentimenti sani, i legami familiari, il valore del sacrificio, e ciascuno dei miei soggetti mi ha arricchito moralmente e trasmesso nuovi insegnamenti. Di contro mi sento molto lontano dal fanatismo religioso e dal bigottismo che è anche facile incontrare in persone di una certa età.

© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

CS: Perché solo l’utilizzo del bianco e nero? Esistono soggetti che immagineresti a colori?

RM: Io vedo in bianco e nero e fotografo di conseguenza così come osservo. Ritengo che il colore spesso distolga l’osservatore. Il bianco e nero nelle fotografie accentuano la distanza. Per me non sono solo colori, ma simboli primigeni, rappresentano il bene e il male, la vita e la morte, la luce e l’oscurità, l’inferno e il paradiso, l’inizio e la fine.

CS: La scrittrice calabrese Maria Macrì Lucà scrisse: «eterne vicende umane anche se tragiche, anche se grottesche, si ammantano di luci misteriose, si vestono di stupito candore, diventano poesia per chi sa guardare con occhi attenti». Credo che vi siano delle tangenze tra questo passo tratto da “Vecchio mondo e Vecchia gente”, con le tue immagini. Cosa ti fanno venire in mente queste parole?

RM: Ritengo che la scrittrice abbia tradotto in parole ciò che io tento di trasmettere con le mie immagini. Un occhio attento coglierà nelle mani, nei solchi dell’epidermide, negli occhi dei miei soggetti tutto il candore, il mistero, lo stupore e la poesia del loro vissuto.

CS:Potresti darci un’anticipazione sui tuoi progetti?

RM: I progetti in cantiere sono tanti, ma il principale rimarrà Life, diciamo rivisitato in chiave moderna. A breve darò qualche anticipazione.

CS: Prossime mostre dove verrano esposte le tue opere, oltre alla già citata SetUp Art Fair?

RM: Le prossime mostre saranno dal 6 marzo al 10 aprile a Legnano nell’ambito del Festival Fotografico Europeo, a marzo Christie’s batterà una mia opera all’asta il cui ricavato andrà in beneficenza e a luglio Life approderà in un famoso Festival di fotografia che per scaramanzia non anticipo…

Articolo-intervista di Claudia Stritof pubblicato su The Mammoth’s Reflex  (15 gennaio 2016).

***

© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

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Fotografia  / Press - Collaborazioni di Cult Mag

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da Le straordinarie avventure di Penthotal di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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