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La mostra: “I 1000 volti di Lombroso”
03.01.2020

«Vi sono persone che vanno in busca di ingiurie come del sostentamento; lieti se riescono a farsi dare dell’asino o del villano per affollarsi poi ai tribunali, e ricavarne danaro – sicchè vogliono vi si distingua quanto vale il titolo di bue, quanto quello di ciarlatano o di becco e lo si faccia a loro pagare».

– Cesare Lombroso

Ci sono storie ampiamente narrate, storie poco conosciute e, infine, una terza categoria di storie: quelle celate, che sottostanno alle oscillazioni del tempo e balzano all’attenzione pubblica in momenti particolari, sia per una mostra, sia per una ricorrenza.

Ritratto di criminale atavico. L’iscrizione a tergo della fotografia riporta il reato: “Uccisore della moglie dormiente con tre colpi di scure nella bocca per gelosia. Condannato a 27 anni.” Fotografo non identificato, stampa all’albumina, fine XIX inizio XX secolo.

Una di queste storie riguarda Cesare Lombroso, padre dell’antropologia criminale e teorico dell’atavismo, a cui è dedicata la mostra I 1000 volti di Lombroso. Il fondo fotografico dell’archivio del Museo di Antropologia criminale dell’Università di Torino presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino.

Cesare Lombroso, tra i più importanti spiritisti europei, collezionista e scienziato, fu il creatore della teoria dell’atavismo criminale, che confermò «in una grigia e fredda mattina di dicembre esaminando il cranio di Giuseppe Vilella», brigante morto nel 1864 nell’Ospedale di Pavia. Quel giorno trovò nel cranio «un’enorme fossetta occipitale mediana e un’ipertrofia del vermis analoga a quella che si trova nei vertebrati inferiori. Alla luce di queste anomalie mi apparve, tutto a un tratto, come una larga pianura sotto un infiammato orizzonte, risolto il problema della natura del delinquente, che doveva riprodurre così, ai nostri tempi, i caratteri dell’uomo primitivo fino ai carnivori». Per Lombroso, criminali si nasce, non si diventa.

Molte furono le forme di evidenza da lui utilizzate per perorare la causa, una fra tutte, i tatuaggi, copiosamente presenti sui corpi dei criminali e su quelli delle “popolazioni primitive” e fu proprio dall’unione di queste tesi, che Lombroso stilò l’identikit del delinquente atavico, ufficializzando le ricerche nel libro L’uomo delinquente (1876), la cui quinta edizione, del 1896, venne corredata da un Atlante contenente centinaia di ritratti fotografici di criminali e alienati.

Ritratto di individuo maschile. Lombroso raccoglieva immagini acquistate sul mercato, inviategli da colleghi o da lui stesso commissionate al fine di trovare evidenze a supporto della teoria del delinquente nato o atavico. Federico Castellani, stampa all’albumina, 1880 ca.

La mostra ripercorre la storia controversa di Cesare Lombroso e la nascita delle sue teorie attraverso un percorso articolato in cinque sezioni.

Nella sezione introduttiva è presente una selezione delle diverse tipologie di fotografie raccolte da Lombroso, una macchina fotografica, uno stereografo per il disegno del profilo del cranio, una maschera mortuaria in cera di un detenuto, scritti di varia natura  e un ritratto a disegno.

La prima sezione è invece dedicata all’immagine del folle e alla nascita dell’antropologia criminale, ove si trovano esposti ritratti di alienati e malati psichici, manufatti di “mattoidi” (ovvero alienati con estro artistico) e il calco in gesso del cranio di Alessandro Volta per illustrare il rapporto tra creatività e nevrosi, già esplicato in Genio e Follia del 1864.

La seconda sezione è dedicata al brigantaggio, al delitto politico e alla criminalità minorile. Lombroso infatti utilizzò molte fotografie scattate ai briganti nel Sud d’Italia, ampliando poi il suo interesse ai ritratti di anarchici, rivoluzionari e delinquenti minorenni.

Un’altra sezione è dedicata alla donna delinquente: fotografie di crani di prostitute, immagini scattate all’interno di bordelli, ritratti di prostitute napoletane e argentine, oltre a una serie di carte de visite di delinquenti russe. Questi studi vennero poi pubblicati insieme al futuro genero, Guglielmo Ferrero, nel primo trattato dedicato alla delinquenza di genere.

Criminale tatuato, detenuto a Bilbao. Il tatuaggio, che aveva iniziato a diffondersi negli ambienti del carcere e della caserma, fu individuato da Lombroso come una prova dell’atavismo criminale poichè gli storici dell’antichità e gli antropologi ne attestavano la diffusione tra le popolazioni primitive.  Fotografo non identificato, stampa su carta aristotipica , inizio XX secolo.

Comprendere le teorie di Lombroso richiede di contestualizzarle storicamente, socioculturalmente e scientificamente. Poiché meridionali e donne venivano demonizzati, non mancarono studi anche sul razzismo e sull’omosessualità.

Infine, data l’importanza della fotografia nelle sue ricerche, l’ultima sezione è dedicata alla fotografia segnaletica e alla polizia scientifica. Nel 1886 Lombroso propose di introdurre tecniche investigative scientifiche che includevano l’uso della fotografia, accanto al segnalamento descrittivo, antropometrico e dattiloscopico dei delinquenti, tutti metodi accolti da Salvatore Ottolenghi.

Cesare Lombroso morì a Torino il 19 ottobre 1909, all’età di 74 anni, donando il suo corpo alla scienza. Sebbene all’epoca la sua teoria dell’atavismo fosse largamente accettata, venne successivamente confutata. Come osservò il prof. Giacomo Giacobini: «È la scienza, con il suo metodo, che mette continuamente in discussione le proprie teorie e i propri assunti, e questo è un messaggio importante da trasmettere al pubblico. Fa parte della funzione dei musei, che in museologia scientifica definiamo educazione museale». Oggi, a Torino, il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso conserva la memoria di questo passato e invita a riflettere sul presente.

TRAME INTERDISCIPLINARI

Immaginate di osservare una fotografia antica, un volto enigmatico catturato nel tempo, e di scoprire che dietro quell’immagine si cela un mondo complesso fatto di storia, scienza, arte e società. Studiare Cesare Lombroso e le sue teorie non significa solo conoscere un personaggio controverso o una dottrina superata, ma esplorare un intreccio affascinante di discipline che si incontrano e si influenzano a vicenda.

Dalla storia sociale e politica dell’Italia postunitaria alla nascita della psicologia e della criminologia, dalla fotografia come strumento scientifico al ruolo dei musei nell’educazione e nella memoria collettiva, questo percorso ci invita a pensare in modo critico e multidimensionale. Solo guardando insieme queste diverse prospettive possiamo comprendere appieno le radici, le conseguenze e le lezioni delle teorie lombrosiane.

Preparatevi a un viaggio che supera i confini delle singole materie, per scoprire come la conoscenza è una rete viva e in continua evoluzione, e come ogni disciplina può illuminare aspetti diversi di uno stesso fenomeno.

Storia – contestualizzazione delle teorie di Lombroso nel periodo della Belle Époque, studio del brigantaggio, criminalità e movimenti politici dell’Italia postunitaria.

Scienze sociali – analisi delle radici socioculturali delle teorie criminali, studio del razzismo, sessismo e discriminazione di genere.

Psicologia e psichiatria – sviluppo degli studi sulle malattie mentali e la devianza, rapporto tra creatività e follia.

Arte – ruolo della fotografia come strumento scientifico e documentaristico, musei come luoghi di educazione e memoria storica.

Scienza – il metodo scientifico, la revisione critica delle teorie e il progresso della conoscenza.

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Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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