Musica – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Fri, 12 Mar 2021 18:20:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Édith Piaf: l’usignolo dall’ugola insanguinata. https://www.cultmag.it/2019/12/10/edith-piaf-lusignolo-dallugola-insanguinata/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/12/10/edith-piaf-lusignolo-dallugola-insanguinata/#respond Tue, 10 Dec 2019 10:35:19 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6274 «Quello che più mi interessa nella vita […] è l’Amore. In qualunque aspetto della vita: l’amore per l’umanità, l’amore per il proprio lavoro, l’amore per le cose a cui teniamo».

Una frase ricca di passione e intrisa di puro sentimento, pronunciata da Édith Piaf, donna dal corpo minuto e dalla voce graffiante, che il suo grande amico, Charles Aznavour, chiamava «il nostro diavoletto».

Édith Piaf è stata una donna vulcanica, adorava scherzare, fare picnic sul prato e passare il tempo in compagnia degli amici più cari, ma è stata anche una donna che ha dato tutto per il suo grande amore, la musica.

La Piaf è un concentrato di arte ed emozione, desiderosa di vero amore, come quello che lei stessa donava, perché la vita è troppo dolorosa per non amare, anche se spesso «l’amore si deve pagare con lacrime amare».

Édith Piaf brinda con il pugile Marcel Cerdan

La sofferenza Édith l’ha esperita in prima persona, essendo stata vittima di incidenti devastanti, sottoposta a molti interventi chirurgici, soggetta spesso a malanni frequenti, per non parlare dei diversi episodi di coma etilico, l’artrite reumatoide e le sfortunate storie d’amore che hanno reso la piccola Édith, un potente concentrato di sofferenza, forza e determinazione.

Nata il 19 dicembre 1915 da una coppia di artisti circensi, la sua infanzia è trascorsa per le strade parigine, dove trascorre il tempo cantando con la sua cara amica Momone. A 17 anni conosce Louis Dupont, con cui ha una figlia, Marcelle Carolina Gassion, morta poco dopo per una meningite, una dramma da cui Édith si riprende lentamente, grazie al canto.

La musica la salva dalla disperazione ed è Louis Leplée, direttore del cabaret Gerny’s a scoprirla e a farla debuttare ufficialmente con il nome d’arte di Môme Piaf. Dopo la misteriosa morte di Leplée, Èdith si rivolge all’impresario Raymond Asso, che diventa suo amante e suo pigmalione, il quale decide di cambiarle battezzarla definitivamente Èdith Piaf.

Così che inizia lo straordinario successo de la chanteuse, che inizia a incidere grandi successi, come La vie en rose, canzone che affascina il pubblico e la critica, facendo approdare la cantante negli Stati Uniti.

Édith in questo periodo è felice, viene immensamente amata dal pugile Marcel Cerdan e con lui si scambia lettere romantiche, intrise d’amore, (oggi conservate nell’archivio della Biblioteca Nazionale Francese e raccolte nel libro Moi pour Toi), ma fino al 28 ottobre 1949, quando avviene la tragedia, perché l’aereo con a bordo il pugile precipita sulle Azzorre.

Édith Piaf e Jean Cocteau

Nonostante la disperazione per la morte dell’amante e indebolita fisicamente dall’artrite reumatoide, con i suoi 42 chili di peso, i vestiti sempre neri, i capelli ricci e con la voce roca, nel 1952, Édith si risolleva psicologicamente grazie alla musica, che le dona ancora una volta la forza d’amare.

Nel mese di settembre si sposa con Jacques Pills a New York e nonostante il largo uso di morfina che la costringe a iniziare un trattamento di disintossicazione, ormai fisicamente sfinita, continua a esibirsi senza tregua, riscuotendo successi internazionali come avviene alla Carnegie Hall, dove il pubblico applaudirà per ben sette minuti, e nel 1960 sul palco dell’Olympia, dove presenta pre la prima volta la celebre canzone Non, je ne regrette rien, scritta da Charles Dumont.

La tournée prosegue senza interruzione, ma i numerosi malanni costringono Édith ad assumere molte medicine. Per tutti era ormai la «maschera tragica della canzone», ma c’e ancora un ultimo piccolo brandello di felicità che spetta alla piccola Édith, il matrimonio con Théophanis Lamboukas, un giovane con cui nasce una profonda simpatia e che sposerà il 9 ottobre 1962, lui ha 26 anni e lei 46. La mattina del matrimonio Édith ci ripensa, ma sarà proprio Theo a farla rinascere e darle la forza per combattere ancora, fino al 10 ottobre 1963, quando Edith Piaf morirà.

Ai suoi funerali parteciparono migliaia di persone, dalle finestre di Parigi risuonava la sua voce e Jean Cocteau, grande amico della Piaf, scrisse l’elogio funebre per l’amica, un elogio che non riuscì mai a leggere personalmente perché fu colpito da infarto lo stesso giorno.

Così recitavano le sue parole:

«Guardate questo piccolo essere le cui mani sono quelle della lucertola delle pietre. Guardate la sua fronte di Bonaparte, i suoi occhi di cieca che hanno ritrovato la vista. Come farà a far uscire dal suo petto minuto i grandi lamenti della notte? Ed ecco che canta, o meglio, come l’usignolo di aprile prova il suo canto d’amore. Avete ascoltato questo lavorio dell’usignolo? Soffre. Esita. Si schiarisce. Si strozza. Si lancia e cade. E d’improvviso, trova la sua strada. Canta. Sconvolge».

Nel 2007 è uscito nelle sale La vie en rose, un ritratto libero della cantante per la regia di Olivier Dahan.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
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Clara Rockmore: suonare nell’aria https://www.cultmag.it/2019/04/28/clara-rockmore-suonare-nellaria/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/04/28/clara-rockmore-suonare-nellaria/#respond Sun, 28 Apr 2019 14:24:11 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6023 L’altro giorno mentre ascoltavo un concerto di Francesco al Blue Dahlia, uno strano suono emesso dalla sua chitarra battente mi ha fatto pensare al theremin e di quella volta in cui mi sono imbattuta nella vita di una delle sue più importanti interpreti: Clara Rockmore.

Nata il 9 marzo 1911 a Vilnius (attuale capitale della Lituania, allora facente parte della Russia) come Clara Reisenberg, fin da piccola dimostra avere uno straordinario talento musicale, tanto da esser definita “bambina prodigio” dai giornali dell’epoca. Fu lo zio Paul a indirizzare Clara e la sorella Nadia verso lo studio del pianoforte, ma ben presto Clara scopre un altro amore: il violino.

A soli quattro anni svolge un’audizione al Conservatorio di San Pietroburgo con Leopold Auer, professore scrupoloso e severo che decide di prendere come sua allieva la piccola bambina che trascinava la pesante custodia rossa del violino sul pavimento fin dentro la sala per le audizioni. La commissione stupita dalla bravura della piccola, la ammette, diventando la più giovane studentessa nella storia del Conservatorio.

Con il sopraggiungere della rivoluzione russa, la famiglia decide di abbandonare il paese natio per cercare rifugio in America; durante il viaggio, lei e la sorella Nadia, si esibivano incessantemente per racimolare del denaro e pagare il piroscafo che avrebbe portato tutta la famiglia a New York, dove giunsero il 19 dicembre 1921.

Clara nella Grande Mela può finalmente riprendere i suoi studi con l’inseparabile maestro Leopold, anche lui trasferitosi nella metropoli, ma poco prima di fare il debutto ufficiale come violinista, le viene diagnosticato un problema al braccio, dovendo rinunciare al violino.

Clara Rockmore, 27 ottobre 1938.

«Ho provato di tutto. Ero pronta a far amputare il mio braccio e farmelo ricucire all’indietro se fosse stato di aiuto. Sono passata da un medico all’altro […] Ogni volta che il mio braccio andava un po’ meglio, provavo a suonare e immediatamente sentivo lo stesso dolore. Erano passati quasi tre anni prima di sapere che era impossibile tornare a suonare […] È stata una vera tragedia nella mia vita».

Il non poter più suonare il violino comportò anche la rottura con il proprio mentore, ma non tutti i mali vengono per nuocere perché determinata e impavida sperimentatrice, incontra Lev Sergeevič Termen, conosciuto anche come Leon Theremin, ovvero l’inventore del Theremin. Termen e Clara da questo momento in poi strinsero un duraturo sodalizio artistico che venne interrotto solo dalla morte di lui avvenuta nel 1993.

Come Clara scrisse: «ero affascinata dalla parte estetica, dalla bellezza visiva, dall’idea di suonare nell’aria e ho adorato il suono […] Presto Lev Sergeevič mi regalò il modello RCA», che però non la soddisfaceva pienamente, così intrapresero insieme un cammino di sperimentazione che li portò a perfezionare lo strumento, permettendone un controllo maggiore.

«Mentre suonavo pezzi più difficili, ho sempre dovuto inventare un modo per poterli eseguire. Ci sono stati molti tentativi ed errori, ma il theremin ha salvato la mia vita dandomi uno sbocco nella musica. È stato molto gratificante riuscire a realizzare qualcosa da uno strumento che nessuno si aspettava e che forse non era nemmeno immaginabile. Ma avevo bisogno di esprimere me stessa».

Clara Rockmore e Lev Sergeevič Termen nel 1929.

Il theremin era uno strumento assolutamente innovativo per l’epoca, il cui suono era molto diverso da tutto ciò che fino a quel momento era stato ascoltato.

«Lui, essendo il genio che era, mi ha costruito uno strumento molto più impegnativo. Il controllo era molto più difficile, ma era molto più reattivo e quindi musicalmente più soddisfacente», ma la vera difficoltà era quella di farsi accettare dal pubblico, facendolo riconoscere come «un vero mezzo artistico». Clara, che nel frattempo si sposa con Robert Rockmore e intraprende lunghe tournée, molto apprezzate, suonando spesso con la sorella Nadia (con cui ha registrato anche il primo LP intitolato The Art of the Theremin nel 1977), ma anche con il cantante e attivista per i diritti civili, Paul Robeson.

Dopo una grave polmonite che l’ha colpita nel 1997 e dopo esser scampata ad un infarto, Clara Rockmore muore due giorni dopo la nascita di sua nipote Fiona, il 10 maggio 1998.

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Per maggiori informazioni:  The Nadia Reisenberg & Clara Rockmore Foundation; importante da citare è anche il documentario Theremin – An Electronic Odyssey realizzato nel 1991 da Steve M. Martin, in cui il regista ha incluso alcune delle ultime esibizioni di Clara e la riunione svoltasi a New York tra Clara e Leon Theremin (novantaseienne).

Per ascoltare un concerto di theremin dal vivo… i discepoli di questa magia sonora sono, naturalmente, Vincenzo Vasi e Valeria Sturba che insieme hanno creato il progetto OoopopoiooO, in tour in questo periodo. Interessante anche: La magia del theremin: cinque virtuosi dello strumento scelti da Vincenzo Vasi.

«Prima di toccare le note, ovviamente, prima di fare qualsiasi cosa, devi avere la musica nella tua anima. Se dovessi dare consigli ai futuri thereministi, direi less is more. Non puoi suonare l’aria con i martelli, devi usare movimenti delicati, devi giocare con le ali delle farfalle; la precisione è molto più importante della forza. Devi anche avere coraggio. Suonare il theremin è come essere un trapezista senza una rete. Non sai se atterrerai correttamente o meno, ma corri un rischio e salti, non solo per arrivare alla nota giusta, ma per colpire il centro della nota, quindi sarai sintonizzato».

– Clara Rockmore


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Die Antwoord: “l’avanguardia brutale nei colori di un ghetto dimenticato da Dio”. https://www.cultmag.it/2019/03/23/die-antwoord-lavanguardia-brutale-nei-colori-di-un-ghetto-dimenticato-da-dio/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/03/23/die-antwoord-lavanguardia-brutale-nei-colori-di-un-ghetto-dimenticato-da-dio/#respond Sat, 23 Mar 2019 07:00:28 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3972 I Die Antwoord, sudafricani di nascita, si definiscono una rap-rave crew, composta dal rapper Ninja, dalla vocalist Yo-Landi Vi$$er e da DJ Hi-Tek. 

Tre soggetti “strani” che hanno iniziato il loro cammino nel 2009, con l’uscita del primo disco $O$, il quale aveva già in grembo tutta la coerenza musicale e iconografica poi definitasi con maggior vigore nei brani successivi.

Ambienti sudici, graffiti sui muri, abiti surreali tra il post-umano, il manga e le gang violente di quartiere; pupille nere, tatuaggi, corpi eccessivamente magri, pelle bianca al limite dell’umano: questi sono i Die Antwoord e questi sono gli elementi che li contraddistinguono.

Un gruppo senza censure e senza inibizioni, così come si vive in una periferia di Città del Capo in Sud Africa. L’attaccamento alla terra natia è estremamente importante per la band, tanto che lo stesso Ninja ha  dichiarato: “io rappresento la cultura del Sud Africa. Bianchi, neri, inglesi, Afrikaans, Xhosa, Zulu, watookal. Io sono tutte queste diverse cose, tutta questa gente in una sola (…) persona”, un miscuglio di culture e tradizioni che in tutto e per tutto si riflette nel loro particolare slang.

Roger Ballen, Shack Scene, 2012, Still da video "I Fink You Freaky. ©Roger Ballen
Roger Ballen, Shack Scene, 2012. Still da video I Fink U Freeky. ©Roger Ballen

I Die Antwoord fin dalla loro formazione hanno portato avanti collaborazioni di assoluto rilievo con artisti di notevole spessore, in primis, con il fotografo Roger Ballen, con la quale è nato un sodalizio creativo di rara ed estrema perfezione.

Roger Ballen non ha certo bisogno di presentazioni, essendo uno dei fotografi maggiormente apprezzati dell’attuale scena artistica internazionale. La sua è una fotografia a primo impatto umile, che da risalto ai diversi tipi umani e ai contesti sociali della periferia africana a cui associa una potente simbologia ritualistica e primitivistica.

Le fotografie di Ballen sono dominate da una grande forza concettuale conferitagli anche dall’utilizzo ossessivo del bianco e nero contrastato, cifra stilistica che naturalmente non poteva non contrassegnare  il famoso video I Fink U Freeky dei Die Antwoord.

Roger Ballen, still da video I Fink U Frey, 2012. ©Roger Ballen
Roger Ballen, still da video I Fink U Frey, 2012. ©Roger Ballen

Il video, che ha segnato il debutto alla regia per Ballen, è caratterizzato da uno stile sporco, caotico e apparentemente confusionale, ambientato in uno spazio claustrofobico pieno di oggetti, scritte e disegni inconsueti che d’improvviso investono lo spettatore con una carica perturbante che spaventa e cattura lo sguardo al tempo stesso.

L’influenza di Ballen è stata decisiva nell’estetica del gruppo, e in particolare modo su Watkins Tudor Jones, in arte Ninja. Artista dalla formazione eclettica, Ninja non è solo un cantante e rapper ma anche stilista, scenografo, grafico, performer e, non ultimo, “scultore” di sex toys, come ben dimostra l’accattivante Evil Boy, disegnato per l’azienda giapponese Good Smile company.

I lavori di Ninja sono ben visibili nei video dei Die Antwoord: Enter The Ninjain cui il frontman ha realizzato una stanza total white con disegni alle pareti, tra cui anche il famoso Evil Toy; nel video Fatty Boom Boom è presente Ugly Boy, che non solo presenta una bellissima scenografia e fotografia di scena realizzata da Alexis Zabe, ma il video è ulteriormente arricchito da innumerevoli collaborazioni artistiche (Marilyn Manson, Cara Delevingne, Dita Von Teese ecc.).

Amanda Demme, Die Antwoord ©Amanda Demme

Altra importante collaborazione dei Die Antwoord è quella con Harmony Korine – sceneggiatore di Kids e Ken Park di Larry Clark – con la quale hanno dato vita a Umshini Wam [letteralmente portami la mitragliatrice], film in cui Ninja e Yolandi impersonano due gangster seduti su una sedie a rotelle, vestiti con pigiami stile pupazzetti giapponesi con mitra in mano.

In ultimo è da citare anche la fortunata collaborazione artistica con la fotografa Amanda Demme, la quale ha realizzato immagini solitarie e pensose.

Incredibilmente perfetti e impeccabili nelle loro esibizioni i Die Antwoord, sono stati definiti uno dei “progetti più atipici e perturbanti che abbiano percorso la scena musicale degli ultimi anni […] un’autentica scheggia genialmente impazzita nel pop contemporaneo” e, come ha affermato lo stesso Ninja, siamo “l’ultimo stile, l’avanguardia. L’odore di un futuro che nasce qui, nel sole brutale e nei colori di un ghetto dimenticato da Dio”.

Amanda Demme, Die Antwoord. ©Amanda Demme.
Amanda Demme, Die Antwoord. ©Amanda Demme.

Testo © Claudia Stritof.

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Fernanda Pivano e Fabrizio De André. Ricordi tanti e nemmeno un rimpianto. https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/#respond Mon, 23 May 2016 19:26:32 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3888 A Pavia presso il Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria, la mostra Fernanda Pivano e Fabrizio De André. Ricordi tanti e nemmeno un rimpiantorende omaggio alla grande amicizia fra la scrittrice Nanda e il cantautore Faber, e al loro duplice legame con  il capolavoro della letteratura americana l’Antologia di Spoon River, dello scrittore Edgar Lee Masters, che proprio quest’anno compie cento anni.

Guido Harari, Fernanda Pivano e Fabrizio De André. ©Guido Harari

Guido Harari, Fernanda Pivano e Fabrizio De André. ©Guido Harari

C’era Frank Drummer, il matto del villaggio, Selah Lively, il giudice basso di statura, Wendell P. Bloyd, il blasfemo che accusò pubblicamente Dio di menzogna, Francis Turner, morto per amore, Trainor, il «miscelatore di sostanze chimiche» e Il suonatore Jones. Questi sono solo alcuni degli abitanti della Spoon River. Edgar Lee Masters per la composizione dei suoi epitaffi prese ispirazione dall’Elegia scritta in un cimitero campestre dell’inglese Thomas Gray e dagli epigrammi greci dell’Antologia Palatina, dando vita dal 1914 a 244 versi in forma di epigrafe, pubblicati sulla rivista Mirror con lo pseudonimo di Webster Ford prima, e dal novembre 1915 con il suo vero nome. L’Antologia di Spoon River è una raccolta di poesie d’inestimabile bellezza, che dalla sua pubblicazione non ha mai smesso di affascinare, grazie al linguaggio scarno che rivolge l’attenzione alla quotidianità del vivere, «brucianti confessioni di uomini e donne che attraverso la memoria riesumano la dannazione, il patetico o la miseria della loro vita». Personaggi meravigliosamente caratterizzati da Edgar Lee Masters, che naturalmente non potevano non affascinare la Pivano e De Andrè, l’una traducendo le poesie e l’altro prendendone ispirazione per l’album Non al denaro non all’amore né al cielo, del 1971

La mostra presso il Salone Teresiano è un racconto di fortunati incontri artistici: il primo quello di Fernanda Pivano, ancora allieva del Liceo classico D’Azeglio di Torino, col suo insegnante Cesare Pavese, il quale alla domanda su quali fossero le differenze tra la letteratura inglese e quella americana consegnava alla giovane l’Antologia di Spoon River. La Pivano, affascinata da quelle poesie, così amare e ironiche al tempo stesso, iniziò a tradurle, senza mostrarle a nessuno per molti anni, fino a che Pavese le lesse e decise di proporle alla casa editrice Einaudi, che le pubblicò nel 1943. In una delle lettere conservate presso l’Archivio storico della Fondazione Corriere della Sera, che custodisce le carte di Fernanda Pivano, Pavese scriveva: «l’inverosimile è avvenuto», perché sotto il regime fascista, la letteratura americana era fortemente osteggiata, ma per un mero, e fortunato errore, l’opera veniva pubblicata e Nanda, purtroppo, arrestata perché quel libro «parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare».

La seconda storia riguarda Fabrizio De André, che intervistato nel 1971 da Nanda, diceva: «avrò avuto diciott’anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo».

Dell’album Non al denaro non all’amore né al cielo purtroppo rimane solo un frammento manoscritto de Il suonatore Jones, esposto in mostra, insieme ad autografi di altre canzoni in cui il cantautore ha ritratto: Il Pescatore, Marinella, Bocca di Rosa e Il Gorilla, che accompagnano idealmente il visitatore tra documenti, scritti e fotografie. Oltre a questi preziosi documenti, è possibile vedere la prima edizione dell’Antologia, grazie al prestito della Biblioteca Civica Bonetta di Pavia, fotografie che ritraggono la Pivano con celebri letterati americani, come Allen Ginsberg e Charles Bukowski, commovente è la copertina del disco con la dedica di Faber ai genitori, le foto in sala incisione pubblicate nei libri di Guido Harari e la fotografia da lui scattata la quale ritrae Faber e Nanda in un tenero abbraccio. Inoltre spartiti originali, dischi d’epoca, rassegne stampa e scatti di diversi artisti che ispirandosi a questi capolavori hanno dato vita a interessanti serie fotografiche come Spoon River a Central Park di Anna Venturini.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine (2 maggio 2015)

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Fernanda Pivano e Fabrizio De André.
Ricordi tanti e nemmeno un rimpianto.
Biblioteca Universitaria di Pavia, Strada Nuova, 65
10 marzo – 25 maggio 2016
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La guerra di Piero

La guerra di Piero

 

]]> https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/feed/ 0 3888 Buon compleanno Johnny Cash… The Man in Black!!! https://www.cultmag.it/2016/02/26/buon-compleanno-johnny-cash-the-man-in-black/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/26/buon-compleanno-johnny-cash-the-man-in-black/#respond Fri, 26 Feb 2016 13:13:05 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3093

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https://www.cultmag.it/2016/02/26/buon-compleanno-johnny-cash-the-man-in-black/feed/ 0 3093
C’era una volta e ci sarà sempre… Fabrizio De Andrè!! https://www.cultmag.it/2016/02/18/3068/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/18/3068/#respond Thu, 18 Feb 2016 15:16:53 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3068 Genova, 18 febbraio 1940 nasceva Fabrizio De Andrè. Milano, 11 gennaio 1999 moriva Fabrizio De Andrè.

Pagine e pagine si sono scritte su di lui e sulla sua poesia per cui preferisco ricordare questo grande uomo e artista attraverso le semplici parole di chi ha vissuto con lui momenti unici e condiviso gioie e dolori:

«C’era una volta un bambino bellissimo. Era biondo. Gli piaceva guardare il mare e sognare, guardare le nuvole e sognare, guardare le bambine e sognare. Viveva con una mamma bellissima, un papà bellissimo, un fratello bellissimo, una nonna bellissima, in una casa bellissima, in una città bellissima. Poi era cominciata la scuola, che non era bellissima, e il bambino preferiva restare nascosto per strada, dove vedeva il mare e le nuvole, lo scirocco che sugli scogli diventava libeccio, i gabbiani eleganti che planavano adagio sulla spuma arricciata. I maestri non erano bellissimi, e il bambino preferiva tornare presto a casa, guardare i libri del papà, ascoltare i racconti della mamma, inventare storie col fratellino. Poi la mamma bellissima gli aveva messo vicino un violino e un maestro, e il bambino non si divertiva a studiarlo, dava al maestro dei pasticcini di panna perché suonasse per lui e invece di suonare leggeva favole di viaggio, finché la mamma se ne era accorta, ohi ohi ohi, lezioni e pasticcini erano finiti, ma non era finito il mare, non erano finite le nuvole, non erano finiti i sogni. Se ne era accorta la bellissima nonna, e aveva portato il bambino in campagna, gli aveva fatto vedere le piante e le foglie, quando escono piccole, bellissime da un ramo, e diventano grandi ma sono sempre bellissime; gli aveva fatto vedere una carota rosata diventare grande e bellissima, un pomodoro diventare rosso e bellissimo, l’erba diventare verde e bellissima. Intanto una bambina bellissima cantava una canzoncina qualunque, e al bambino era sembrata bellissima e la cantava con lei, e poi senza di lei; la cantava e sognava le nuvole e i boschi, sognava i prati e i profumi, i sorrisi e le lacrime: sognava il mondo bellissimo che c’era lì attorno. Poi, sempre bellissimo ma non più bambino, un’estate ha conosciuto in Sardegna prati e boschi in collina, profumi e fiori nell’aria, delfini e rocce nel mare, sempre bellissimi, che gli hanno fatto vedere soltanto sorrisi, perché anche le lacrime erano bellissime, ormai: erano lacrime, ma già dell’amore. Così in Sardegna è rimasto: era diventato un ragazzo e poi un uomo bellissimo, aveva fatto figli bellissimi e sempre bellissimi sogni. Ma i sogni oramai li chiamava canzoni».

Nanda PIVANO  ©Fondazione Fabrizio De Andrè.

Fernanda Pivano e Fabrizio De Andrè

Fernanda Pivano e Fabrizio De Andrè

Il matrimonio di Dori Grezzi e Fabrizio De Andrè.

Il matrimonio di Dori Grezzi e Fabrizio De Andrè.

Si sa, De Andrè non apprezzava essere intervistato ma l’amica Fernanda Pivano ci riuscì. Al termine della celebre chiacchierata tra i due, dell’album Non al denaro, non all’amore né al cielo, Fabrizio dice a Nanda: «ti sei dimenticata di rivolgermi una domanda: chi è Fernanda Pivano? Fernanda Pivano per tutti è una scrittrice. Per me è una ragazza di venti anni che inizia la sua professione traducendo il libro di un libertario mentre la società italiana ha tutt’altra tendenza. E’ successo tra il ’37 e il ’41: quando questo ha significato coraggio».

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Fabrizio a Sarissola nella villa dell'amica Lorenza Bozano nel 1964. Archivi Lorenza Bozano.

Fabrizio a Sarissola nella villa dell’amica Lorenza Bozano nel 1964. Archivi Lorenza Bozano.

Dori Ghezzi e Fabrizio De Andrè. Fotografia di Reinhold “Denny” Kohl.

Dori Ghezzi e Fabrizio De Andrè. Fotografia di Reinhold “Denny” Kohl.

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Dall’ozio nascono i fior: Oblomov live https://www.cultmag.it/2016/01/22/dallozio-nascono-i-fior-oblomov-live/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/22/dallozio-nascono-i-fior-oblomov-live/#respond Fri, 22 Jan 2016 11:30:36 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2906 IN BREVE  Chi: Oblomov Cosa: concerto Dove: Mikasa Club, via Emilio Zago 14, Bologna Ingresso: offerta libera con tessera AICS Quando: sabato 23 gennaio 2016 

Nelle ore di ozio il corpo si impossessa di una strana noia, quella che fa venir voglia di giacere comodamente su un divano a degustare il delizioso sapore dell’oblio. I pensieri vagano, le membra si intorpidiscono, lo sguardo è perso nel vuoto a scrutare un qualcosa che la mente non riesce a decifrare. Per alcuni l’ozio è il padre di tutti i vizi ma per altri la noia può generare creatività, così come è successo agli Oblomov, duo italo-russo che «tediati da freddi e noiosi pomeriggi san pietroburghesi trascorsi davanti alla tv» hanno trovato nella musica la loro ragion d’essere.

Un concentrato di sonorità cupe e riflessive attraverso cui Ilja Il’iĉ e Zachar  trasmettono suggestioni ricevute da ogni elemento incontrato e ascoltato casualmente nella vita di tutti i giorni. Dalla strada, dalla televisione, dalla radio, dalla musica e soprattutto dall’arte stessa, come è avvenuto per il loro primo album Sound of the soul, che non a caso prende il nome dall’omonima tela dell’artista Adriano Fida. Un album nato «dall’idea di mettere in musica i quadri del pittore calabrese, con particolare riferimento al tema dei miti classici greci, rivisitati in chiave postmoderna», ed ecco che il fascino ricevuto dalle tele e dalla pastosità del colore di Fida è trasformato dagli Oblomov in potenti suggestioni sonore. Il duo si è avvalso anche della collaborazione del regista Flavio Sciolè per la realizzazione dei visual, solitamente trasmessi durante i live su un vecchio televisore posto in sala.

Gli Oblomov suoneranno sabato 23 febbraio al Mikasa club di Bologna e per l’occasione sarà eccezionalmente presente l’artista Adriano Fida, da poco insignito del premio Expo Arte Italiana per la telaThe sound of the soul.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Bolognacult (21 gennaio 2016).

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Adriano Fida, The sound of the soul, olio su tela, 60x80

Adriano Fida, The sound of the soul, olio su tela, 60×80

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Hyenaz: l’avanguardia berlinese tra riti magici e musica elettronica. https://www.cultmag.it/2016/01/05/hyenaz-lavanguardia-berlinese-tra-riti-sacri-e-musica-elettronica/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/05/hyenaz-lavanguardia-berlinese-tra-riti-sacri-e-musica-elettronica/#respond Tue, 05 Jan 2016 21:32:59 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2583 Quella sera non avevo molta voglia di uscire ma ho deciso di farlo comunque per ascoltare Hyenaz, una band giunta dalla capitale tedesca in un paesino della costa jonica calabrese. Ero lì a parlare con alcuni amici quando improvvisamente dalla piccola saletta del Blue Dahlia di Marina di Gioiosa Jonica (R.C), si ode un rumore di ferro sfregato ed ecco che molto lentamente i due artisti Mad Kate & TUSK incedono l’uno dietro l’altro. Si aggirano per la sala silenziosamente, loro ci osservano e vedono i nostri occhi, ma noi non vediamo i loro, solo a tratti si scorge il volto al di sotto dei pesanti veli bianchi che cingono completamente il loro capo.

Tutti osserviamo attoniti venendo catturati dall’aria sacrale che emanano potentemente i due artisti dagli abiti bianchi, volutamente rovinati e sapientemente progettati. Abiti realizzati artigianalmente con frammenti di tessuto e oggetti comuni recuperati da qualche discarica di Berlino. L’aspetto è quello di sacerdoti pagani e anche il loro canto ha un qualcosa di ancestrale, parole sussurrate che scaturiscono dal profondo a cui seguono gesti lenti e calibrati che improvvisamente diventano convulsivi e decisi come se i loro corpi fossero attraversati da potenti scariche elettriche. Pian piano gli indumenti scivolano via e i due esseri androgeni vengono alla luce con i loro corpi dipinti di bianco, mentre i volti si increspano in smorfie le quali ricordano antiche maschere apotropaiche, gestualità e iconografia tratta dal consapevole studio della danza giapponese Butoh di cui Mad Kate è un’abile interprete. Lo spettatore è coinvolto sinesteticamente nel rito: penetrato dal loro sguardo indagatore, sfiorato dalla loro liscia epidermide e pervaso dalle diverse sonorità.

Mad Kate è una performer versatile, che spazia dalla danza contemporanea alla musica sperimentale con totale naturalezza e cosciente di un solido background artistico mentre TUSK, che oltre ad essere un eclettico musicista, è anche un produttore musicale di notevole spessore che «vive in un mondo di fantasia disco-schizoide di personalità multipla». Da un connubio del genere non poteva che nascere un progetto esplosivo che ha portato la band in un lungo tour mondiale fino in Corea del Sud dove si sono esibiti al MMCA Museum of Modern and Contemporary Art a Seoul.

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Claudia Stritof, Hyenaz live Blue Dahlia, gennaio 2015. © Claudia Stritof. All rights reserved.

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Claudia Stritof, Hyenaz live Blue Dahlia, gennaio 2015. © Claudia Stritof. All rights reserved.

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Madonna. La nascita di un’icona https://www.cultmag.it/2015/12/31/2509/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/12/31/2509/#respond Thu, 31 Dec 2015 18:16:06 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2509 Le persone non sanno ancora quanto io sia brava, ma lo scopriranno presto. Nel giro di qualche anno tutti lo sapranno. Ho progettato di diventare una delle star più grandi di questo secolo“, ed effettivamente nel giro di pochi mesi dai suoi esordi come ballerina e attrice, Madonna è riuscita ad affermarsi nell’Olimpo delle icone glamour, celebrata e amata da schiere di fan dagli anni Ottanta fino ad oggi.

Alla Ono Arte Contemporanea di Bologna la mostra MADONNA: The Rise of a Starripercorre i primi anni di carriera della cantante italo-americana Madonna Louise Veronica Ciccone, attraverso lo sguardo di tre celebri fotografi: Peter Cunningham, George DuBose, e Deborah Feingold.

Madonna è una diva pop che ha fatto del proprio corpo un oggetto plasmabile, in perenne mutamento, maturando nel tempo un’estetica camaleontica diventata poi «un marchio di fabbrica»: donna sexy e aggressiva vestita in bianco con pizzi e merletti nell’album Like a Virgin, cantante country in Music, crocifissa durante il Confessions Tour e vestita da soldato in American Life.

La fortuna vera e propria inizia quando la giovane Madonna incontra Liz Rosenberg, PR della Warner Bros, la quale attraverso un’adeguata promozione pubblicitaria, ha curato i rapporti con i più importanti media e fotografi dell’epoca, facendola conoscere in brevissimo tempo in tutta l’America del nord e successivamente nell’intero globo. Madonna sapeva bene come costruire il proprio look e le proprie performance essendo dotata di una carismatica presenza scenica, peculiarità che senz’altro emerge nel servizio fotografico di George DuBose, realizzato nell’autunno del 1981. Sollecitato dalla Rosenberg, DuBose fotografa la cantante durante uno dei suoi primi concerti all’Uncle Sam di Long Island, in cui la giovane si muove con sicurezza e sensualità.

All’epoca Madonna ha uno stile trasandato ma sempre ben progettato, secondo quelli che erano i dettami modistici di quegli anni che oscillavano tra elementi post-punk con tanto di catenine, borchie, anfibi e maglie strappate ed elementi disco, orecchini a stella, capelli cotonati dai colori sgargianti, salopette e fuseaux dai toni fluo. Ed è così che Madonna si presenta nello studio del fotografo Peter Cunningham nel 1982, vestita con giubbotto di jeans, pantaloni a vita alta, tenuti con due cinture, capelli cotonati e trucco marcato. Anche questa volta è Liz Rosenberg a sollecitare lo shooting con la ragazza del Michigan, ed effettivamente il fotografo canadese rimane piacevolmente stupido dalla giovane Madonna, che da sola si trucca e si veste con cura, cambiandosi con velocità d’abito e facendo corrispondere ad ogni nuovo outfit una diversa sfaccettatura della personalità. La seduta entusiasma i due, tanto che il servizio dallo studio del fotografo prosegue per le strade di Soho, dove Madonna «corre e salta coinvolgendo gli ignari passanti, gioca a nascondino nei vicoli tra le case, si abbassa la zip dei pantaloni sui gradini di una chiesa o finge di essere crocifissa sulla staccionata di un giardinetto».

Nello stesso anno, Madonna incontra anche la fotografa Deborah Feingold, per un servizio commissionato dalla rivista Star Hits, lo shooting si svolge in casa della fotografa che all’epoca utilizzava anche come studio e da questo incontro nascono scatti semplici, ma efficaci, che denotano la carismatica personalità di Madonna. La cantante è sempre stata consapevole della sua eclettica personalità e come ha più volte affermato «credo che essere fedeli a un’immagine sia la tomba della creatività», ed ecco che in lei vivono mille volti e mille anime, che le hanno permesso di diventare l’icona glamour per eccellenza, perché la sua qualità più grande è quella di «essere una donna indipendente che combatte per ciò in cui crede». La mostra patrocinata dal Comune di Bologna, oltre ad esporre gli scatti già citati, presenta in anteprima mondiale una serie di fotografie, del servizio del 1982 che Peter Cunningham pensava di aver smarrito, ma poi riemerse dai suoi archivi.

Articolo di Claudia Stritof su The Mammoth’s Reflex (30 novembre 2015).

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Report dalla mostra:

© Claudia Stritof.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

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MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

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Itinerario musicale per le vie di Bologna. https://www.cultmag.it/2015/12/30/itinerario-musicale-per-le-vie-di-bologna/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/12/30/itinerario-musicale-per-le-vie-di-bologna/#respond Wed, 30 Dec 2015 18:58:13 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2405 Si chiama La Fabbrica Live – itinerario musicale a Bologna la rassegna dedicata all’ampio e variegato mondo della musica indipendente italiana che si tiene a Bologna dall’8 ottobre al 16 dicembre. Organizzata da La Fabbrica Etichetta indipendente vede l’alternarsi di tredici artisti sul palco di tre storici locali bolognesi, un programma ricco di eventi, che ancora una volta conferma le grandi potenzialità in materia di valorizzazione, produzione e divulgazione della musica italiana proposta dalla label bolognese attiva sul territorio nazionale dal 2006.

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