arte contemporanea – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 23 Dec 2019 12:19:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Un memento mori dimenticato. Stop the war. "D’amore si vive". https://www.cultmag.it/2014/07/29/un-memento-mori-dimenticato-stop-the-war-damore-si-vive/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/07/29/un-memento-mori-dimenticato-stop-the-war-damore-si-vive/#respond Tue, 29 Jul 2014 21:44:43 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1418 Milano, piazza XXIV Maggio, tre bambini vengono impiccati ad un albero da un uomo. L’uomo è Maurizio Cattelan, artista contemporaneo tra i più criticati e amati da specialisti e non. I tre manichini sono appesi ad una quercia secolare, in alto molto in alto. Ma l’altezza non ferma Franco di 42 anni che si precipita sull’albero per liberare i fantocci dalla gogna pubblica. Tutti si scagliano contro la scultura choc. Credo che sia il momento di riproporre quest’opera. I giorni sono bollenti e il mondo è sospeso, in attesa di una pace. Una pace agognata, una pace desiderata da molti e una guerra dettata da pochi.

La Striscia di Gaza è inondata di sangue. Un sangue innocente, la sorte degli uomini, come sempre accade nelle guerre, è stata decisa da “altri”. Una piccola Striscia di terra si trasforma in un carcere di massima sicurezza dove la morte è l’unica via di uscita. Fame, bombe, missili, distruzioni: nessuna pietà. Le immagini ci hanno devastato: odio, ragazzi armati e incazzati, bombardamenti, bambini che mangiano cibo per animali per nutrirsi, uomini che cercano di uscire dalle macerie, persone innocenti schiacciate dalle macerie. Uno sterminio di massa, che noi osserviamo attraverso reportage e attraverso le notizie in televisione. Le immagini ci sconvolgono sempre, proprio perchè immediatamente toccano le nostre corde più sensibili.

In un’attenta analisi leggo le parole riportate dallo scrivente di Don Mazzi: “Ho fatto fatica io stesso a guardarli più volte. Mi sentivo sporco dentro, quasi anch’io fossi in qualche modo implicato in questa macabra rappresentazione”. La frase detta è riferita ai manichini di Cattelan, ma questa macabra rappresentazione potrebbe essere la stessa di ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza. Quei fantocci sono diventati umani e come novelli pinocchi sono stati ingannati e ingoiati da una balena, ma la storia non è una favola e non ci sarà il lieto fine. Ai piedi di quell’albero, in piazza XXIV Maggio, vi è una stele arrugginita, che ricorda i morti di tutte le guerre. Gli impiccati sono tre bambini e uno di essi si trova leggermente in una posizione più elevata e il paragone con il Golgota è immediato.

Che l’opera piaccia o meno credo che il significato sia importante. Un memento mori: dimenticato.

Dice Cattelan: “questa installazione sembrava lugubre, inaccettabile (“sino ad ora avevo sospeso per aria solo un cavallo, finto”), ma la funzione dell’arte oggi è quella di far venire i brividi, indignare, scuotere dall’indifferenza gente ormai abituata agli orrori della cronaca. Sembrano bambini vivi che ci guardano dall’alto in basso, quasi tre giudici o tre profeti”. La profezia si è avverata. Un’altra guerra. Altre morti. Nulla ci ha insegnato la storia e nulla impariamo dagli errori. Questa è la tragica sconfitta degli uomini, mortali e mortalmente uccisi. Ignari e indifesi che nulla possono contro chi può decidere.

I bambini sono nati per giocare e amare. I bambini devono sognare e gli adulti devono sostenere i loro sogni innocenti. Anche gli adulti hanno sogni, diversi, ma sempre sogni sono. Purtroppo alcune volte questi sogni si trasformano in incubi senza controllo. La guerra non è un sogno e neanche un incubo, e la realtà in cui la morte è l’unica amica. E’ questo che devono fare i bambini e i grandi: “giocare continuamente”.

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Epistemologia della morte https://www.cultmag.it/2014/04/13/epistemologia-della-morte/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/04/13/epistemologia-della-morte/#comments Sun, 13 Apr 2014 16:22:45 +0000 http://claudiastritof.com/?p=841 La parola morte è una parole difficile da pronunciare. Solo pochi giorni fa, dopo tanto tempo, sono riuscita a pensarla realmente. E’ stata la prima volta dal giorno del funerale di mia sorella.

Piuttosto dico «è andata via» come se fosse in viaggio e in parte è vero: forse una nuova vita da intraprendere, forse l’inizio, forse la fine del viaggio. Sta di fatto che ancora non l’ho pronunciata, ma il fatto di averla scritta e pensata mi ha fatto riflettere.

Per curiosità sono andata a spulciare la definizione del sostantivo femminile Morte nella Treccani. Una descrizione semplice e scientifica:

“Cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costituito di esso: è in lutto per la m. di un fratello; l’afta epizootica ha causato la m. molti bovini […]. Da un punto di vista biologico, la morte si può considerare come l’estinzione dell’individualità corporea, non tanto dei singoli elementi che la compongono, quanto delle necessarie correlazione tra organi e funzioni.”

Tutto così preciso e lineare, in pratica l’epistemologia della morte. E’ una cessazione dell’individualità corporea, e fin qui tutto chiaro, il corpo muore perchè le sue funzioni vitali cessano. Ma allora mi sorge una domanda: perchè è così difficile pronunciare questa parola?

Quando si entra in contatto con la morte, dire questa semplice parola diventa uno scoglio insormontabile. Le teorie sul dualismo anima e corpo sono molteplici e risalgono all’alba dei tempi.

Tante teorie, tante perdite e tante riflessioni sono state fatte nel corso dei secoli. Nel mio intimo ho sempre pensato alla morte e come questa fosse presente nella nostra vita. Fin da piccola (all’epoca ero anche una darkettona pensierosa e borchiata) ho riflettuto su di essa ma quando il Tristo Mietitore sopraggiunge con il suo manto nero è sempre inaspettata, a maggior ragione quando essa è prematura.

Allora come si affronta? Come si supera il dolore? Come si trovano le risposte a domande universali? Come si placano i pensieri? Cercando in un blog ho trovato un altro paranoico che come me che si poneva  domande sulla morte; un ragazzo al suo interessante scritto ha risposto: «Prima di tutto, scialla! E viviti la vita». Forse ha ragione l’anonimo ragazzo, viviamola così, con spensieratezza… espresso con un neologismo alquanto odioso ma che esprime bene il concetto che ognuno di noi dovrebbe ricordare sempre.

Secondo me, l’unica risposta che ci può essere è la riflessione e questa è sopraggiunta in me quando sono andata con un mio amico, Giuseppe, in un sito archeologico non distante dal mio paese, agli scavi del tempio dorico di Kaulon a Monasterace. All’inizio eravamo un pò increduli dell’erbacce e da come si debba giungere al sito attraversando la statale lasciando la macchina sul ciglio della strada ma nonostante queste incoerenze della terra in cui sono nata, è stata una bella emozione. Abbiamo scherzato e fatto qualche deduzione da finti-archeologi e ad un certo punto, arrivato il momento sigaretta, mi sono realmente voltata ad osservare il mare. All’improvviso mi ha colta una sensazione che non mi capitava da un pò di tempo: di tranquillità e di immobilità atemporale, non quella vissuta fino ad oggi con la paura di quello che sarebbe successo, ma di immersione nella storia senza tempo, il che potrebbe sembrare una contraddizione, ma è stata proprio quella la sensazione.

Il tempio si trova a 100 m. dal mare su un’altura e mettendosi di spalle a quella che un tempo era l’entrata del luogo sacro, si ha la visione dello Jonio in tutto il suo splendore, nonostante quel giorno la giornata fosse uggiosa. Lì ho iniziato a pensare alla storia e di come nel V sec. a.C questa terra era diversa, non c’era la statale ma solo quel magnifico tempio che si stagliava con il suo candore sul mare, doveva essere una  meravigliosa visione per chi giungeva con la nave a Punta Stilo.

In quel momento per la prima volta ho pensato alla parola morte, mi è sorta così dal nulla. Forse perchè ero tranquilla, forse perchè avevo la mente sgombra da altri pensieri o forse perchè ho pensato alla storia che va avanti e al tempo che mai si ferma.

Nell’ultimo periodo sono stata immobile, solo da qualche giorno ho iniziato a capire. Molti i consigli e le chiacchierate con amici in questo strano periodo; una sera Natty, un amico passato dal mio paese perchè in tour con la band, mi ha fatto capire che il tempo scorreva e che io mi ero immobilizzata nei pensieri, trascurando la mia anima e il mio corpo.

Anima e corpo una dualità inscindibile, ma fino ad un certo punto. Sul dove vada l’anima dopo la morte nessuno lo sa. Ognuno ha la sua fede e le sue credenze ma nel presente queste sono legate in modo univoco. Io stavo trascurando “l’anima vivente”, e così come facevo io anche molti altri lo fanno, persone a cui succedono cose inaspettate e all’improvviso ci si dimentica di vivere e si dimenticano le proprie passioni.

Ancora non ho raccolto i miei pensieri ma da qualche giorno sperimento, faccio cose nuove: cose che prima per stanchezza mentale non facevo.

Tiziano Terzani ci spiega la vita attraverso lo yin e lo yang. L’universo e l’armonia degli opposti sono la vita, la regolano e dovremmo sempre ricordarlo, ogni tanto si dimentica, ma leggere e vivere ce lo fa ricordare.

“Non c’e acqua senza fuoco, non c’e maschio senza femmina, non c’e notte senza giorno, non c’e sole senza luna, non c’e bene senza male e questo simbolo dello yin e dello yang è perfetto, perchè il bianco e il nero si abbracciano e all’interno del nero c’e un punto bianco e all’interno del bianco c’e un punto nero. Questa è una faccenda sulla quale non riflettiamo mai, noi che perseguiamo il piacere in ogni modo, non c’e piacere senza sofferenza e non c’e sofferenza senza piacere. Solo quando capisci questo godi del piacere e accetti la sofferenza”.

Queste parole molti le hanno lette, molti le hanno citate, molti non le conoscono ma sono una spiegazione efficace alla definizione di vita. Purtroppo spesso è difficile attuarle perchè il dolore a volte ci fa dimenticare e non vedere il bello e il piacevole. Che sia con una grossa risata o con una sigaretta fumata con un amico di fronte al mare sconfinato o una chiacchierata con un negroni in mano alle due di notte, alcune volte basta poco per lasciarsi andare e rivedere il bello e risentire la propria anima. Non è detto che questo stato duri ma sono piccole sensazioni che accrescono la nostra vita, la sua accettazione e alimentano i nostri sentimenti.

Molti mi chiedono come riesco a confidare i miei pensieri al blog ma la risposta è semplice: perchè credo nella condivisione dei sentimenti e dei pensieri, credo che la vita possa far riflettere e credo che le riflessioni egoisticamente mi facciano bene perchè ho avuto sempre l’esigenza di comunicare ciò che mi passava per la testa. Credo che la scrittura come l’arte ci insegni a capire per quel poco che è possibile la vita e i comportamenti umani. Il peso da portare sulle spalle di ognuno di noi cambia da persona a persona, ognuno ha i propri scheletri, i propri ricordi e i propri pensieri, l’importante è che con il tempo si impari a convivere con essi e il loro peso non ci schiacci e non ci tolga il respiro per vivere.

Le domande iniziali rimangono… e a molte di queste non c’e risposta. Ma alla morte si risponde con la vita, come fosse un calcolo matematico dai risultati impossibili da prevedere. L’arte alcune volte non viene capita ma basta aprire gli occhi e stare in silenzio per poco tempo per lasciarsi trasportare da ciò che essa vuole comunicarci, cogliendone gli infiniti insegnamenti.

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Marina Abramovic, Carrying the Skeleton" (2008).

Marina Abramovic, Carrying the Skeleton” (2008).

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