blue dahlia – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 09 Mar 2020 22:55:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Clara Rockmore: suonare nell’aria https://www.cultmag.it/2019/04/28/clara-rockmore-suonare-nellaria/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/04/28/clara-rockmore-suonare-nellaria/#respond Sun, 28 Apr 2019 14:24:11 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6023 L’altro giorno mentre ascoltavo un concerto di Francesco al Blue Dahlia, uno strano suono emesso dalla sua chitarra battente mi ha fatto pensare al theremin e di quella volta in cui mi sono imbattuta nella vita di una delle sue più importanti interpreti: Clara Rockmore.

Nata il 9 marzo 1911 a Vilnius (attuale capitale della Lituania, allora facente parte della Russia) come Clara Reisenberg, fin da piccola dimostra avere uno straordinario talento musicale, tanto da esser definita “bambina prodigio” dai giornali dell’epoca. Fu lo zio Paul a indirizzare Clara e la sorella Nadia verso lo studio del pianoforte, ma ben presto Clara scopre un altro amore: il violino.

A soli quattro anni svolge un’audizione al Conservatorio di San Pietroburgo con Leopold Auer, professore scrupoloso e severo che decide di prendere come sua allieva la piccola bambina che trascinava la pesante custodia rossa del violino sul pavimento fin dentro la sala per le audizioni. La commissione stupita dalla bravura della piccola, la ammette, diventando la più giovane studentessa nella storia del Conservatorio.

Con il sopraggiungere della rivoluzione russa, la famiglia decide di abbandonare il paese natio per cercare rifugio in America; durante il viaggio, lei e la sorella Nadia, si esibivano incessantemente per racimolare del denaro e pagare il piroscafo che avrebbe portato tutta la famiglia a New York, dove giunsero il 19 dicembre 1921.

Clara nella Grande Mela può finalmente riprendere i suoi studi con l’inseparabile maestro Leopold, anche lui trasferitosi nella metropoli, ma poco prima di fare il debutto ufficiale come violinista, le viene diagnosticato un problema al braccio, dovendo rinunciare al violino.

Clara Rockmore, 27 ottobre 1938.

«Ho provato di tutto. Ero pronta a far amputare il mio braccio e farmelo ricucire all’indietro se fosse stato di aiuto. Sono passata da un medico all’altro […] Ogni volta che il mio braccio andava un po’ meglio, provavo a suonare e immediatamente sentivo lo stesso dolore. Erano passati quasi tre anni prima di sapere che era impossibile tornare a suonare […] È stata una vera tragedia nella mia vita».

Il non poter più suonare il violino comportò anche la rottura con il proprio mentore, ma non tutti i mali vengono per nuocere perché determinata e impavida sperimentatrice, incontra Lev Sergeevič Termen, conosciuto anche come Leon Theremin, ovvero l’inventore del Theremin. Termen e Clara da questo momento in poi strinsero un duraturo sodalizio artistico che venne interrotto solo dalla morte di lui avvenuta nel 1993.

Come Clara scrisse: «ero affascinata dalla parte estetica, dalla bellezza visiva, dall’idea di suonare nell’aria e ho adorato il suono […] Presto Lev Sergeevič mi regalò il modello RCA», che però non la soddisfaceva pienamente, così intrapresero insieme un cammino di sperimentazione che li portò a perfezionare lo strumento, permettendone un controllo maggiore.

«Mentre suonavo pezzi più difficili, ho sempre dovuto inventare un modo per poterli eseguire. Ci sono stati molti tentativi ed errori, ma il theremin ha salvato la mia vita dandomi uno sbocco nella musica. È stato molto gratificante riuscire a realizzare qualcosa da uno strumento che nessuno si aspettava e che forse non era nemmeno immaginabile. Ma avevo bisogno di esprimere me stessa».

Clara Rockmore e Lev Sergeevič Termen nel 1929.

Il theremin era uno strumento assolutamente innovativo per l’epoca, il cui suono era molto diverso da tutto ciò che fino a quel momento era stato ascoltato.

«Lui, essendo il genio che era, mi ha costruito uno strumento molto più impegnativo. Il controllo era molto più difficile, ma era molto più reattivo e quindi musicalmente più soddisfacente», ma la vera difficoltà era quella di farsi accettare dal pubblico, facendolo riconoscere come «un vero mezzo artistico». Clara, che nel frattempo si sposa con Robert Rockmore e intraprende lunghe tournée, molto apprezzate, suonando spesso con la sorella Nadia (con cui ha registrato anche il primo LP intitolato The Art of the Theremin nel 1977), ma anche con il cantante e attivista per i diritti civili, Paul Robeson.

Dopo una grave polmonite che l’ha colpita nel 1997 e dopo esser scampata ad un infarto, Clara Rockmore muore due giorni dopo la nascita di sua nipote Fiona, il 10 maggio 1998.

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Per maggiori informazioni:  The Nadia Reisenberg & Clara Rockmore Foundation; importante da citare è anche il documentario Theremin – An Electronic Odyssey realizzato nel 1991 da Steve M. Martin, in cui il regista ha incluso alcune delle ultime esibizioni di Clara e la riunione svoltasi a New York tra Clara e Leon Theremin (novantaseienne).

Per ascoltare un concerto di theremin dal vivo… i discepoli di questa magia sonora sono, naturalmente, Vincenzo Vasi e Valeria Sturba che insieme hanno creato il progetto OoopopoiooO, in tour in questo periodo. Interessante anche: La magia del theremin: cinque virtuosi dello strumento scelti da Vincenzo Vasi.

«Prima di toccare le note, ovviamente, prima di fare qualsiasi cosa, devi avere la musica nella tua anima. Se dovessi dare consigli ai futuri thereministi, direi less is more. Non puoi suonare l’aria con i martelli, devi usare movimenti delicati, devi giocare con le ali delle farfalle; la precisione è molto più importante della forza. Devi anche avere coraggio. Suonare il theremin è come essere un trapezista senza una rete. Non sai se atterrerai correttamente o meno, ma corri un rischio e salti, non solo per arrivare alla nota giusta, ma per colpire il centro della nota, quindi sarai sintonizzato».

– Clara Rockmore


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Il Negroni: un secolo di storia. https://www.cultmag.it/2016/02/17/il-negroni-un-secolo-di-storia/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/17/il-negroni-un-secolo-di-storia/#respond Wed, 17 Feb 2016 14:37:53 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3007 Dolce e amaro al tempo stesso, rosso come l’amore servito con una fettina d’arancia e senza cannuccia. Un equilibrio perfetto di semplicità: questo è il Negroni! Tre ingredienti miscelati in parti uguali: Vermut rosso, bitter Campari e Gin. Sembrerebbe la cosa più semplice del mondo e invece… molto spesso il Negroni è imbevibile.

Per chi come me è cresciuto al Blue Dahlia di Marina di Gioiosa Ionica (R.C), avrà sicuramente una venerazione verso il Negroni di Ruggero, estate o inverno che sia è sempre una certezza. Non tutti però conoscono la vera storia del cocktail e finalmente un libro fa chiarezza sulla sua nascita: Negroni cocktail. Una leggenda italiana, scritto da Luca Picchi ed edito da Giunti Editore.

L’autore, che con dovizia di particolari racconta la nascita dell’aristocratico cocktail, scrive: «sorseggiare un Negroni invita a socializzare, avvicina la gente, ci trasporta con un’area nobile e un po’ misteriosa, al tempo che fu», quello della Firenze di primo Novecento, nei suoi numerosi caffè frequentati da letterati e artisti. Una città viva e in pieno fermento politico e culturale abitata da bottegai, viaggiatori, politici e aristocratici che passeggiavano gli uni accanto agli altri per le storiche vie del centro.

Il Negroni nasce tra il 1919 e il 1920 in via de’ Tornabuoni al Caffè Casoni di Firenze grazie all’amicizia che lega il conte Camillo Negroni e il barman Fosco Scarselli.

Il conte Camillo Negroni nel giardino del suo appartamento in via Orcagna a Firenze. Tratta dal libro Negroni cocktail. Una leggenda italiana di Luca Picchi, edito da Giunti editore. Courtesy Collezione famiglia Negroni-Bentivoglio.

Il conte Camillo Negroni nel giardino del suo appartamento in via Orcagna a Firenze. Tratta dal libro Negroni cocktail. Una leggenda italiana di Luca Picchi, edito da Giunti editore. Courtesy Collezione famiglia Negroni-Bentivoglio.

Cammillo Luigi Manfredo Maria Negroni è stato un uomo dalle mille vite e dai molti interessi: nato il 25 maggio 1868 dal conte Enrico Negroni e da Ada Bishop Savage Landor (a sua volta figlia dello scrittore anglosassone Walter Savage Landor, sepolto in quel bellissimo luogo che è il Cimitero degli Inglesi a Firenze), rimane orfano di padre molto presto e già a sedici anni è iscritto all’Accademia Militare di Modena. La madre nel frattempo si risposa con il marchese Paul de Teurenne, trasferendosi in una villa presso Scandicci e al suo ritorno da Modena il clima familiare non è più lo stesso. A causa delle numerose incomprensioni con la madre e il patrigno, il conte decide di andare negli Stati Uniti assecondando il proprio spirito cosmopolita e girovago.

Nel 1887 il conte Negroni appassionato di cavalli diventa cowboy tra le praterie del Wyoming e il Canada, successivamente si trasferisce a New York, dove frequenta ambienti esclusivi e ricevimenti importanti, da vero dandy quale il conte era. Trascorre sette anni nella Grande Mela, assaporando la vera essenza di quella che è stata definita la Golden age of cocktails, infatti qui apprezza e conosce i drink più amati dell’epoca. Sempre in questo ambiente vivace alla socializzazione e dedito alla bella vita apre una scuola di scherma e infine conosce Anta Zazworka, donna che lo accompagnerà e lo seguirà nei suoi numerosi viaggi, fino a quando nel 1912 i due decidono di vivere stabilmente nella natia Firenze.

Camillo Negroni, Ada Savage Landor, Anta Negroni (moglie di Camillo).

Camillo Negroni, Ad Savage Landor, Anta Negroni (moglie di Camillo).

Il conte avvolto dal fumo della sua immancabile sigaretta e cilindro sul capo, ogni sera prima di recarsi al Grand Hotel di Firenze, oggi St. Regis, per intrattenersi con la buona società fiorentina e internazionale, si recava al Caffè di Gaetano Casoni per deliziare il proprio palato con i cocktail serviti dall’amico e barista Fosco Bruno Sabatino Scarselli, il quale aveva iniziato a lavorare al caffè subito dopo la Prima Guerra Mondiale. Si racconta che Scarselli fosse il bartender perfetto: colto, socievole, attento ai gusti e alla personalità del cliente ma anche educato ed elegante, così come gentile ed umano era il conte, «forse un po’ snob e garbatamente spavaldo, ma sempre disponibile all’amicizia. Amante del rischio, non badava al domani prima di aver vissuto intensamente l’oggi».

Un giorno il conte chiese a Fosco di irrobustire il suo solito Americano con il Gin e fu in quel fatidico momento che vedeva la luce il primo Negroni, diventando in poco tempo il drink per eccellenza a Firenze per poi sconfinare in tutto il mondo. Il conte era devoto al suo cocktail e si racconta che in un giorno ne riuscisse a bere quaranta senza mai cedere in preda ai fumi dell’alcol, ma questo probabilmente perché i primi Negroni non venivano fatti nei classici tambler ma negli stretti calici da cordiale, allora molto in voga, come è ben rappresentato nei manifesti di inizio Novecento dall’artista Marcello Dudovich.

Una piccola, ma fondamentale, variante apportata alla tradizione ha tramutato il solito cocktail nel famoso Americano alla maniera del conte Negroni. Un cocktail che a distanza di quasi un secolo continua a deliziare i palati dei più temerari. Si sa, il Negroni lo si ama o si odia, non ci sono mezze misure, tre ingredienti che nella loro semplicità «creano una melodia che accarezza tutti i sensi […] ristora e rinfresca il corpo e la mente».

Testo ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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A sinistra: Copertina del libro Negroni Cocktail. Una leggenda italiana di Luca Picchi, edito da Giunti Editore. Il libro raccoglie, oltre a innumerevoli informazioni documentarie sul conte e sulla storia del Negroni, anche molte immagini provenienti dalla Collezione di famiglia Negroni-Bentivoglio di straordinaria bellezza e importanza storica. A destra: Il conte Camillo Negroni. Courtesy Collezione famiglia Negroni- Bentivoglio. Giunti Editore.

A sinistra: Copertina del libro Negroni Cocktail. Una leggenda italiana di Luca Picchi, edito da Giunti Editore. Il libro raccoglie, oltre a innumerevoli informazioni documentarie sul conte e sulla storia del Negroni, anche molte immagini provenienti dalla Collezione di famiglia Negroni-Bentivoglio di straordinaria bellezza e importanza storica. A destra: Il conte Camillo Negroni. Courtesy Collezione famiglia Negroni- Bentivoglio. Giunti Editore.

Etichette realizzate da Depero per Campari. Dall'archivio Campari.

Etichette realizzate da Depero per Campari. Dall’archivio Campari.

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Hyenaz: l’avanguardia berlinese tra riti magici e musica elettronica. https://www.cultmag.it/2016/01/05/hyenaz-lavanguardia-berlinese-tra-riti-sacri-e-musica-elettronica/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/05/hyenaz-lavanguardia-berlinese-tra-riti-sacri-e-musica-elettronica/#respond Tue, 05 Jan 2016 21:32:59 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2583 Quella sera non avevo molta voglia di uscire ma ho deciso di farlo comunque per ascoltare Hyenaz, una band giunta dalla capitale tedesca in un paesino della costa jonica calabrese. Ero lì a parlare con alcuni amici quando improvvisamente dalla piccola saletta del Blue Dahlia di Marina di Gioiosa Jonica (R.C), si ode un rumore di ferro sfregato ed ecco che molto lentamente i due artisti Mad Kate & TUSK incedono l’uno dietro l’altro. Si aggirano per la sala silenziosamente, loro ci osservano e vedono i nostri occhi, ma noi non vediamo i loro, solo a tratti si scorge il volto al di sotto dei pesanti veli bianchi che cingono completamente il loro capo.

Tutti osserviamo attoniti venendo catturati dall’aria sacrale che emanano potentemente i due artisti dagli abiti bianchi, volutamente rovinati e sapientemente progettati. Abiti realizzati artigianalmente con frammenti di tessuto e oggetti comuni recuperati da qualche discarica di Berlino. L’aspetto è quello di sacerdoti pagani e anche il loro canto ha un qualcosa di ancestrale, parole sussurrate che scaturiscono dal profondo a cui seguono gesti lenti e calibrati che improvvisamente diventano convulsivi e decisi come se i loro corpi fossero attraversati da potenti scariche elettriche. Pian piano gli indumenti scivolano via e i due esseri androgeni vengono alla luce con i loro corpi dipinti di bianco, mentre i volti si increspano in smorfie le quali ricordano antiche maschere apotropaiche, gestualità e iconografia tratta dal consapevole studio della danza giapponese Butoh di cui Mad Kate è un’abile interprete. Lo spettatore è coinvolto sinesteticamente nel rito: penetrato dal loro sguardo indagatore, sfiorato dalla loro liscia epidermide e pervaso dalle diverse sonorità.

Mad Kate è una performer versatile, che spazia dalla danza contemporanea alla musica sperimentale con totale naturalezza e cosciente di un solido background artistico mentre TUSK, che oltre ad essere un eclettico musicista, è anche un produttore musicale di notevole spessore che «vive in un mondo di fantasia disco-schizoide di personalità multipla». Da un connubio del genere non poteva che nascere un progetto esplosivo che ha portato la band in un lungo tour mondiale fino in Corea del Sud dove si sono esibiti al MMCA Museum of Modern and Contemporary Art a Seoul.

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Claudia Stritof, Hyenaz live Blue Dahlia, gennaio 2015. © Claudia Stritof. All rights reserved.

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