Bologna – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 01 Jul 2019 08:37:21 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Save the date | W. Eugene Smith: Pittsburgh. Ritratto di una città industriale https://www.cultmag.it/2018/09/27/save-the-date-w-eugene-smith-pittsburgh-ritratto-di-una-citta-industriale/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/09/27/save-the-date-w-eugene-smith-pittsburgh-ritratto-di-una-citta-industriale/#respond Thu, 27 Sep 2018 11:48:09 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5678 Tutto sembra tacere se osservato da lontano: il fiume Monongahela scorre silenzioso nella notte, sull’acqua increspata dal vento si scorge il riflesso delle alte ciminiere mentre nubi vaporose s’innalzano al cielo formando una coltre impenetrabile allo sguardo desideroso di stelle.

Un uomo sull’asfalto nero danza tra lapilli infuocati, un altro fuma una sigaretta in una fugace pausa dal lavoro e una donna, poggiata su un parchimetro, volge lo sguardo pensieroso verso la strada.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978
Area residenziale / City Housing, 1955-1957
Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print 33.97 x 26.67 cm Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh © W. Eugene Smith / Magnum Photos

Atmosfere evanescenti e volti inafferrabili, inquietante piacevolezza di un tempo che fu: questa è la sensazione che ho avuto al MAST di Bologna, osservando le fotografie di W. Eugene Smith,
acclamato fotoreporter americano che negli anni Cinquanta ha catturato in ogni suo più piccolo dettaglio la città di Pittsburg, in Pennsylvania.

Dalle vedute silenziose, all’immersione nella città, Smith non cela nulla di quel mondo ormai lontano dalla nostra contemporaneità. Sembra quasi udire le sonorità tipiche dell’epoca, quegli stessi suoni che all’incirca un decennio dopo Luigi Nono registrerà per comporre La FabbricaIlluminata: i rumori metallici provenienti dalle acciaierie, lo sfregare di lamiere simile al canto delle cicale durante un afoso pomeriggio estivo e il fragore cittadino che inonda in un sol colpo l’orecchio dell’ignaro scopritore della città dell’acciaio.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978
Operaio di un’acciaieria che prepara le bobine / Mill Man Loading Coiled Steel, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print 22.86 x 34.61 cm Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection. © W. Eugene Smith / Magnum Photos

Eugene Smith giunge a Pittsburgh nel marzo del 1955, per realizzare un servizio sul bicentenario della fondazione della città. Il lavoro sarebbe dovuto durare solo poche settimane, ma si protrasse diversi anni, diventando con il tempo il progetto più ambizioso del fotografo americano.

Come scrive il curatore della mostra, Urs Stahel, «W. Eugene Smith lottava per rappresentare l’assoluto. Ben lungi dall’accontentarsi di documentare il mondo, voleva catturare, afferrare, almeno in alcune immagini, niente di meno che l’essenza stessa della vita umana», e ciò che Smith incontra a Pittsburgh è un’umanità lavoratrice e speranzosa nel futuro, con la voglia di riscattarsi dalla fame e dalla disperazione dettata dalla povertà dei tempi.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978 Bambini che giocano tra Colwell Street e Pride Street, Hill District / Children playing at Colwell and Pride Streets, Hill District, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print 34.61 x 23.18 cm Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection © W. Eugene Smith / Magnum Photos

A fotografie di panorami, Smith, alterna volti cosparsi di fuliggine e gesti di grande ritualità e sacralità, singole immagini che come fossero tessere di un mosaico vanno a comporre un tappeto musivo di inestimabile bellezza, un ritratto corale, ricco di sfaccettature e di storie profonde.

All’epoca del servizio Smith ha trentasei anni ed è un acclamato fotoreporter, ma qualcosa inizia a turbarlo emotivamente: forse l’allontanamento da sua moglie Carmen e dai suoi quattro figli, forse la rottura con le riviste con cui da sempre aveva collaborato, più probabilmente l’emersione di un vissuto interiore inquieto che portava con sé da ormai troppo tempo.

Giunto a Pittsburgh, la sua anima ribelle, perfezionista e indagatrice, s’immerge alla scoperta di nuove profondità sociali: osserva e studia la storia della città e i suoi abitanti.

Nel primo mese scatta pochissime immagini, vuole capire cosa lo ha portato lì e cosa si cela nei meandri di questo Tartaro contemporaneo. Vuole cogliere il clima di incertezza e transitorietà che la città vive quotidianamente, non lasciandosi fuggire nulla: dai quartieri di nuova costruzione con villette a schiera, fino alla povertà delle baracche dei sobborghi operai.

W. Eugene Smith, USA, 1918-1978
Edilizia residenziale / Housing & Construction, 1955-1957 Stampa ai sali d’argento / gelatin silver print 33.34 x 25.40 cm Gift of the Carnegie Library of Pittsburgh, Lorant Collection © W. Eugene Smith / Magnum Photos

La mostra W. Eugene Smith: Pittsburgh. Ritratto di una città industriale al MAST di Bologna è un racconto fatto attraverso 170 stampe vintage di inestimabile bellezza sociale e culturale, provenienti dalla ricca collezione del Carnegie Museum of Art di Pittsburgh, che testimoniano l’impresa titanica compiuta dal grande fotoreporter William Eugene Smith, proprio nell’anno in cui ricorre il
centenario della sua nascita e il quarantennale dalla sua scomparsa.

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W. Eugene Smith Pittsburgh Ritratto di una città industriale

QUANDO: fino al 16 settembre 2018
DOVE: MAST. | via Speranza 42, Bologna
INFO: mast.org

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Articolo di Claudia Stritof per FrizziFrizzi (10 settembre 2018)

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INSTADIARY. LIFE IN PROGRESS: MARZO https://www.cultmag.it/2017/04/05/instadiary-life-in-progress-marzo/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/04/05/instadiary-life-in-progress-marzo/#comments Wed, 05 Apr 2017 19:38:23 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4587 … il mese di Marzo si è concluso da poco ed ecco il resoconto… un mese passato a Bologna tra libri, lezioni, riflessioni, viaggi e treni. Amici nuovi e amici di una vita. Qualche giorno un pò spento, altri euforici, altri semplicemente normali. Come sempre un grazie alle persone che ho incontrato e che hanno reso la mia vita bella o brutta ma sempre unica. Che porterò con me e che rimangono impresse in questo racconto che va avanti giorno per giorno… Fotografie che forse svaniranno ma non i miei momenti vissuti.

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Day 60 Piazza Maggiore soleggiata ed è subito primavera. Bologna, 1 marzo 2017.


 

Day 61 In giro per le corti bolognesi. Bologna, 2 marzo 2017.


Day 62 La festa di compleanno inaspettata. Cuginanza a Parma. Parma, 3 marzo 2017.
Festa inaspettata per il mio compleanno a casa di Sandra. Una cena stupenda e buonissima: pasticcio di verdure, torta alle carote e panna… e champagne. Grazie Cugia per la festa inaspettata e bellissima.


Day 63 La cuginanza. Parma, 5 marzo 2017.


Day 64 Identità Golose. Milano-Parma-Bologna, 5 marzo 2017
Giornata stupenda all’insegna del buon cibo e del buon vino. Un giorno diverso e particolare con persone bellissime. ♡♡♡ Sveglia presto direzione Milano per Identità Golose 2017. Cibo buonissimo e sperimentale. Vino di tutte le regioni. Ritorno in tarda serata. Distrutti ma felici.


Day 65 Luci e ombre. Bologna, 6 marzo 2017.


Day 66 Fragile delicatezza. Bologna, 7 marzo 2017.


Day 67 Gradiresti una birra?! Bologna, 8 marzo 2017.


Day 69 Jump. Bologna, 10 marzo 2017.
Una volta Rousseau ha scritto: “siete allarmati di vederlo consumare i suoi primi anni a non fare nulla. Non è nulla di essere felice? Non è nulla di saltare, giocare, correre tutta la giornata? Mai nella sua vita sarà di nuovo così occupato”. E se la verità felicità fosse correre e saltare liberamente senza pensare a nulla?!


Day 70 Un nome di cioccolata. Bologna, 11 marzo 2017.
Giorno dedicata alla cioccolata in tutte le sue forme. Una buonissima cioccolata calda preparata da un vero pastry chef e con la scusa non potevo non iniziare il bellissimo regalo di Alice. Libro illustrato dal titolo “Un nome di cioccolata” di Marina Casali e con le illustrazioni della tenerissima, e possiamo dire cugina acquisita, Alice Caroppo. Quanto dolcezza in tutto questo. ♡


Day 71 Le uova volanti: il patatrac è fatto. Bologna, 12 marzo 2017.
Giornata casalinga, frittelle di mele orrende, tartare di cavallo buonissima, pasta alla norma insapore. Chiaramente il cibo uscito male l’ho cucinato io… e ora “Lavorare con lentezza” film su Radio Alice.


Day 72 Ore 6:45. “Ciao, buon viaggio”. Maledetto lunedì. Bologna, 13 marzo 2017.


Day 73 Lo scatto non previsto prima dello scatto. Bologna, 14 marzo 2017.
Giornata di studio. Ricevimento dal prof. tante ore. Un salto a salutare Vitto e Bea che dopo tanti giorni passati dal mio compleanno mi fanno trovare il pensierino. Una gioia per il cuore. E poi… aperitivo con Marcolì delizia della mia vita. Amico sempre presente e… usciamo sempre strani nelle foto insieme.. vabbò… il ricordo di una serata insieme.


Day 74 Un matrimonio speciale. Bologna, 15 marzo 2017.


Day 75 Tu chiamale se vuoi…. le mie prigioni. Bologna, 16 marzo 2017.
Guardare foto di opere scontornate e ritagliate, documentari su Ustica e cercare libri di fotografia inesistenti…. Tutto sotto controllo.


Day 76 La brigata. Parma, 18 marzo 2017.


Day 77 Piovono forme di parmigiano. Parma, 18 marzo 2017.


Day 78 Buon compleanno Stefanello. Bologna, 19 marzo 2017.


Day 79 La zianza e nipotanza. Firenze, 20 marzo 2017.
Giornata fiorentina. Laboratorio Alinari per seguire il restauro fotografico fantastico e meraviglioso. Immersione nel mondo della fotografia. Museo Novecento. Tanta stanchezza e zianza a casa.


Day 80 Libro e buona musica. Fine di una giornata infinita. Bologna, 21 marzo 2017.


Day 81 Intensamente e fragilmente insieme. Bologna, 22 marzo 2017.
Giornata di studio intensa. Letture e riflessioni… e poi Diego. Un momento di svago. Chiacchiere, pensieri e ricordi che diventano un momento bellissimo del presente.


Day 82 Il ritmo della vita. Bologna, 23 marzo 2017.
Giornata tra la biblioteca del Mambo e la presentazione dell’ultimo libro di Roberto Pinto con Davide. Letteratura e arte. L’arte immaginata dagli scrittori. Quanti spunti in così poche ore… e quanti suggerimenti di future letture. La prima inizia questa sera. Ed è così che si chiude la giornata.


Day 83 La faccia del mangione. Bologna, 24 marzo 2017.
Cena alle 19… come i veri nordici. Partita a carte da veri felsini per il post cena. La gioventù ci ammazza.


Day 84 Tramvie di Bologna. Bologna, 25 marzo 2017.


Day 85 Studiare Vs Cucinare. Bologna, 26 marzo 2017.
Quando dovresti studiare e invece decidi che è meglio passare il pomeriggio in modo costruttivo facendo 6 piatti di sushi dimenticando di mettere l’avocado.


Day 86 Senza troppi giri di parole questa foto s’intitola delicatamente e sottilmente: giornata di m**a… e si vede!!! Bologna, 27 marzo 2017


Day 87 Serrande del Pratello. Bologna, 28 marzo 2017.


Day 88 Il nostro laureato. Bologna, 29 marzo 2017.
Giorno e fotografia di oggi dedicata a Davide. Tra architettura e informale… la conclusione di due anni!!! tutti un po’ tagliati ma non importa, i sorrisi si vedono!! Bravissimoooooo


Day 89 Santa Cristina e mille ore di lezione. Bologna, 30 marzo 2017.


Day 90 Pignoletto con etichetta #ericaeilcane, rum angostura, Pyrat xo reserve con alberello di natale. Mix esplosivo. Bologna, 31 marzo 2017
Ed eccoci all’ultimo giorno di marzo. Sono passati tre mesi e mi sembra un’infinità di tempo. Da domani inizia un nuovo mese. Oggi presentazione davanti ai ragazzi del mio caso studio. Tanta paura ma speriamo sia andata bene. Diritto dei beni culturali e domande sparate a caso tra un disegno di Mantegna e uno del Francia. Tanti caffè ma anche tante belle chiacchiere e scleri organizzativi.


Mese di Gennaio

Mese di Febbraio

To be continued…

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Bowie before Ziggy. Fotografie di Michael Putland https://www.cultmag.it/2016/03/14/bowie-before-ziggy-fotografie-di-michael-putland/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/03/14/bowie-before-ziggy-fotografie-di-michael-putland/#respond Mon, 14 Mar 2016 18:10:25 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3844

È il 24 aprile 1972 quando il fotografo Michael Putland, insieme alla giornalista Rosalind Russell, si reca nella residenza di David Bowie a Haddon Hall, per intervistare e fotografare il cantante per Disc magazine. Bowie li accoglie in casa sua e li fa accomodare ma chiede se prima dell’intervista può terminare la decorazione del soffitto della sua elegante casa in stile edoardiano.

Michael Putland, da attento fotografo, non si lascia sfuggire l’occasione e inizia a scattare qualche fotografia mentre il cantante è sulla scala, con un pennello in una mano, la sigaretta nell’altra e vestito con l’abito disegnato dall’amico e stilista Freddy Buretti, lo stesso che Bowie utilizzava nei suoi concerti e con il quale era stato ritratto dallo stesso Putland proprio qualche tempo prima nel concerto al Friars Aylesbury. L’unica differenza: gli stivaletti bianchi al posto di quelli rossi.

David Bowie at home, Beckenham Kent, UK, 1972 (©Michael Putland)

David Bowie at home, Beckenham Kent, UK, 1972
(©Michael Putland)

Bowie nelle fotografie è solare, sorridente, un magma incandescente di energia pronta ad esplodere, come effettivamente stava per accadere con la carismatica figura di Ziggy Stardust, venuta alla luce nell’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars, la cui registrazione era terminata qualche settimana prima.

David Bowie si era trasferito nella residenza di Haddon Hall nel settembre del 1969, insieme alla compagna di allora Mary Angela Barnett. Questo era un luogo incantevole e ricco di creatività, che in quel periodo diventò il suo studio di registrazione, casa e “factory”, dove abitavano anche collaboratori e amici. Bowie gioca con la sua immagine, come avrebbe fatto per tutta la sua vita, ed è sempre più sicuro del suo aspetto mutevole ed eclettico: già in The Man Who Sold the World del 1970 è ritratto con una lunga chioma bionda ondulata, vestito man­dress di raso e stivali al ginocchio di pelle marrone, mentre nell’album Hunky Dory del 1971 Bowie ha lo sguardo rivolto al cielo e con le mani si accarezza i lunghi capelli biondi, un omaggio esplicito all’attrice Greta Garbo ritratta in questa posa dal fotografo Edward Steichen.

La mostra Bowie before Ziggy è un omaggio che ONO arte contemporanea e Michael Putland hanno deciso di dedicare a David Bowie, dopo le già riuscite mostre precedenti, in cui ogni volta si è indagato un aspetto diverso della carriera del cantante. Un’esposizione che regala allo spettatore un Bowie intimo e rilassato nella sua residenza, a cui si aggiungono degli scatti pre- e post-Ziggy Stardust e altri provenienti dallo Station to Station Tour, oltre al lavoro grafico di Terry Pastor, designer che realizzò la copertina di Ziggy Stardust e Hunky Dory.

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 Testo a cura di Claudia Stritof pubblicato su Frizzifrizzi (14 marzo 2016)
Annie Lennox and David Bowie performing at the Freddie Mercury tribute at Wembley stadium, 1992 (©Michael Putland)

Annie Lennox and David Bowie performing at the Freddie Mercury tribute at Wembley stadium, 1992
(©Michael Putland)

(© Terry Pastor)

© Terry Pastor

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Behind the scenes: Arancia Meccanica. Fotografie di Dmitri Kasterine. https://www.cultmag.it/2016/03/13/behind-the-scenes-arancia-meccanica-fotografie-di-dmitri-kasterine/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/03/13/behind-the-scenes-arancia-meccanica-fotografie-di-dmitri-kasterine/#respond Sun, 13 Mar 2016 10:33:46 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3796 All’inizio fu il silenzio, poi lo schermo rosso e a seguire le note di The Funeral March of Queen Mary di Henry Purcell, arrangiata da Walter Carlos e Rachel Elkin. Così inizia Arancia Meccanica di Stanley Kubrick, un film che non ha certo bisogno di presentazioni.

Alex guarda dritto in camera, il suo sguardo è sicuro, fiero e mai titubante. La cinepresa si allontana ed «Eccomi là. Cioè Alex e i mie drughi. Cioè Pit, Georgie e Dim. Eravamo seduti nel Korova milkbar arrovellandoci il gulliver per sapere cosa fare della serata», e tra un bicchiere di Latte + e l’altro, il pensiero non poteva che volgere «all’esercizio dell’amata ultraviolenza».

Un incalzare di crudeltà fisica e psicologica che si sussegue senza soluzione di continuità fino alla fine del film: dal Korova milkbar, la scena si sposta in un sottopasso dove i quattro ragazzi aggrediscono un barbone ubriaco, poi vanno in un teatro abbandonato e affrontano la banda rivale capeggiata da Billy Boy, sulle note della Gazza Ladra di Gioacchino Rossino, un energico, vitale, drammatico balletto che mette in scena la giocosità e la violenza del loro comportamento; quindi scorrazzano nelle campagne londinesi su una fiammante “Durango”, chiaramente rubata, per giungere alla villa dei coniugi Alexander, che vengono picchiati e umiliati sulle note di Singin’ in the Rain.

Dmitri Kasterine, Four Droogs. ©Dmitri Kasterine

Dmitri Kasterine, Four Droogs. ©Dmitri Kasterine

Dmitri Kasterine, fotografo britannico di notevole spessore, coglie tutto questo: l’armonica, tragica, grottesca violenza dei drughi e l’atmosfera rarefatta del making of.

In una di queste fotografie Stanley Kubrick siede con Kasterine sotto una piattaforma costruita per proteggere le macchine da presa, mentre fuori piove. I due chiacchierano, lo sguardo di Kubrick è fisso verso l’obiettivo, un po’ annoiato e un po’ pensieroso. Il fotografo non ci pensa un attimo e scatta. Stivaloni in primo piano, gambe incrociate, Kubrick con una mano si tira indietro i capelli, mentre con l’altra tiene la sua cinepresa Arriflex.

Kubrick under platform. ©Dmitri Kasterine

Kubrick under platform. ©Dmitri Kasterine

Dmitri Kasterine è nato in Inghilterra, il padre era un ufficiale dell’esercito Russo mentre la madre era inglese, prima di approdare alla fotografia, svolge diversi lavori: mercante di vini, broker, pilota di aerei e di auto da corsa. Negli anni ’60 tutto cambia e inizia a collaborare con agenzie e riviste importanti come fotografo, ritraendo i maggiori protagonisti dell’arte e della cultura degli ultimi decenni: Martin Amis, David Hockney, Francis Bacon, Samuel Beckett, Mick Jagger e molti altri artisti.

In questi anni viene a conoscenza dei film e della fama di Kubrick e decide di fotografarlo per la rivista Queer. Senza perder tempo Kasterine si reca negli Shepperton Studios dove Kubrick sta girando Il dottor Stranamore, alla fine di quella giornata, il regista gli chiede di lavorare per lui come fotografo, aggiungendo: “You stand in the right place”.

Dmitri ha lavorato con Kubrick sul set di 2001: Odissea nello spazio, de Il dottor Stranamore e Arancia Meccanica, veniva definito quello “speciale”, perchè girovagava sul set scattando immagini del dietro le quinte, che poi Kubrick avrebbe voluto inserire nei titoli di coda, cosa che però non fece mai.

Testo a cura di Claudia Stritof.

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Questo articolo è stato scritto in seguito alla visita presso la  ONO arte contemporanea di Bologna, che ha presentato la mostra Stanley Kubrick – Arancia Meccanica. Fotografie di DMITRI KASTERINE, la quale celebra il genio del fotografo e la pellicola di Kubrick, proprio in occasione del 45° anniversario dell’uscita del film nelle sale. Costumi futuristici, musica classica, scenografie pop, importanti richiami storici e colti dialoghi si susseguono incessanti sulle note di Rossini e del «buon vecchio Ludovico Van». Arancia Meccanica, un film diventato un cult per molte generazioni e una pietra miliare della cinematografia internazionale.

Stanley Kubrick – Arancia Meccanica Fotografie di DMITRI KASTERINE

ONO arte contemporanea, via Santa Margherita, 10 – Bologna

19 marzo- 7 maggio 2016

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©Dmitri Kasterine.

©Dmitri Kasterine.

kubrick leaning on Moy. ©Dmitri Kasterine.

Kubrick leaning on Moy. ©Dmitri Kasterine.

Droogs in hall of flats. ©Dmitri Kasterine.

Droogs in hall of flats. ©Dmitri Kasterine.

Alex and droog with Adrienne over shoulder. ©Dmitri Kasterine.

Alex and droog with Adrienne over shoulder. ©Dmitri Kasterine.

Alex look into camera rape scaene. ©Dmitri Kasterine.

Alex look into camera rape scaene. ©Dmitri Kasterine.

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Jakob Tuggener, il poeta visivo dei contrasti https://www.cultmag.it/2016/03/11/jakob-tuggener-il-poeta-visivo-dei-contrasti/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/03/11/jakob-tuggener-il-poeta-visivo-dei-contrasti/#respond Fri, 11 Mar 2016 08:51:34 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3785 Un’anteprima assoluta per l’Italia è la mostra dedicata al fotografo svizzero Jakob Tuggener inaugurata presso gli spazi del MAST – Manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia di Bologna, in occasione di Artefiera. Nato a Zurigo nel 1904, Tuggener è stato un fotografo unico nel suo genere, dando vita a un archivio d’immagini di notevole importanza per l’apprezzamento del clima d’inizio Novecento in Europa.

La rassegna, curata da Martin Gasser e Urs Stahel, si configura come duplice esposizione incentrata su due importanti lavori: Fabrik 1933-1953. Poetica e impronta espressionistica nelle immagini industriali e Nuits de bal 1934-1950. I balli nell’alta società elvetica e il lavoro invisibile, attraverso i quali i due curatori hanno voluto porre l’accento sulla poliedricità artistica di Jakob Tuggener, non solo encomiabile fotografo ma un vero “poeta dell’immagine”. Come ha esaustivamente scritto il critico Max Eichenberger: «un singolare alchimista che, pur se in quantità ridotte, è in grado di tramutare il piombo in oro», sottolineando la peculiarità più grande del fotografo svizzero, in qualità di attento osservatore della quotidianità, subito trasposta in poesia visiva grazie alla grande sensibilità fotografica, pittorica e cinematografica.

La serie Fabrik, comprende 150 stampe originali, tratte sia dall’omonimo libro fotografico edito nel 1943, sia da altre immagini di lavoratori catturate in viaggio per il paese. Quella di Jakob Tuggener è un’indagine sociale ad ampio spettro sui lavoratori dell’industria bellica in Svizzera durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale che, oltre a ripercorrere la storia dell’industrializzazione del suo paese, pone importanti interrogativi sul «potenziale distruttivo del progresso tecnico indiscriminato il cui esito, secondo l’autore, era la guerra in corso, per la quale l’industria bellica svizzera produceva indisturbata». Da questa sezione dedicata al mondo dell’industria – e in qualche modo più attenta ai temi sociali quali il lavoro, la guerra e le condizioni di vita degli operai – il percorso espositivo prosegue sotto forma di proiezione, con la serie Nuits de bal. Scatti seducenti in cui i soggetti sono donne e uomini dell’alta società elvetica intenti a danzare per tutta la notte sulle note di un pianoforte in una sala da ballo.

Senza mai tradire la sua natura indagatrice, il fotografo ancora una volta esplora la società nel suo complesso e con assoluta naturalezza ne coglie gesti e movenze che sembrano scorrere sugli schermi come fossero un film muto. Da subito si percepisce il clima di festa emanato da questi luoghi: la purezza dei cristalli e delle sete bianche, la sensualità delle schiene nude e la morbidezza dei pellicciotti indossati dalle eleganti signore, come anche l’ilarità e la gaiezza del momento. Ma ciò che non sfugge è ancora una volta il contrasto tra questi sfarzosi elementi e la compostezza dei lavoratori invisibili – musicisti, camerieri, cuochi, maître e valletti – che per tutta la notte vegliano silenziosamente sugli ospiti. Il poeta della «seta e delle macchine» come Tuggener stesso ebbe modo di affermare, in cui gli opposti diventano un modo di guardare la realtà e di viverla intensamente «senza mai tralasciare le sfumature più tenui tra i due poli».

Questa su Jakob Tuggener è una mostra importante, un racconto visivo narrato dallo sguardo partecipe e mai disinteressato del fotografo, grazie al quale ci è stato tramandato il ritratto di un’epoca drammatica, del ventennio da lui vissuto. La mostra promossa dalla Fondazione MAST è realizzata in collaborazione con la Fondazione Jakob Tuggener di Uster e la Fondazione Svizzera per la fotografia di Winterthur.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art Magazine (7 marzo 2016)

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Jakob Tuggener
MAST, via Speranza 40-42, Bologna
27 gennaio 2016 – 17 aprile 2016
www.mast.org?utm_source=rss&utm_medium=rss

Ballo ungherese, Grand Hotel Dolder, Zurigo, 1935 © Jakob Tuggener Foundation, Uster

Ballo ungherese, Grand Hotel Dolder, Zurigo, 1935 © Jakob Tuggener Foundation, Uster

Lavoro in caldaia 1935 © Jakob Tuggener Foundation, Uster

Lavoro in caldaia 1935 © Jakob Tuggener Foundation, Uster

15.TUGGENER Facciata fabbrica Oerlikon_1

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Speciale Arte Fiera. La poesia negli scatti di Mustafa Sabbagh. https://www.cultmag.it/2016/02/08/speciale-arte-fiera-la-poesia-negli-scatti-di-mustafa-sabbagh/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/08/speciale-arte-fiera-la-poesia-negli-scatti-di-mustafa-sabbagh/#respond Mon, 08 Feb 2016 13:28:31 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2977 Mustafa Sabbagh è nato ad Amman in Giordana, da madre italiana e padre palestinese, crescendo tra l’Europa e il Medio Oriente, il che gli ha permesso di realizzare un percorso lavorativo e artistico di tutto rispetto: laureato in architettura a Venezia, decide di trasferirsi a Londra, dove diventa assistente di Richard Avedon e contemporaneamente insegna presso la storica Central Saint Martins College of Art and Design. Torna in Italia, questa volta a Ferrara e collabora con le più importanti riviste di moda, ma “insofferente ad un appiattimento al modello fotografico della moda mainstream” decide dal 2005 di dedicarsi all’arte contemporanea “ricreando una sorta di contro-canone estetico al cui interno il punctum è la pelle – come diario dell’unicità dell’individuo”.

Le sue opere sono complessi tableau vivant che subito denunciano le approfondite conoscenze intellettuali del fotografo, non solo in merito alla storia del costume e della moda ma di storia dell’arte tout court, da quella fiamminga – dalla quale ha appreso l’amore per i dettagli e per la luce finemente utilizzata nelle sue composizioni nero su nero – a quella italiana, abbracciando un arco temporale che dal Cinquecento arriva fino ai giorni nostri, con sapienti rimandi anche al cinema, alla musica e alla letteratura.

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh introietta questa variegata conoscenza e allo stesso tempo la trascende, creando delle opere di grande compostezza classica, ma che denunciano tutta la contemporaneità stilistica ed estetica, che scardina stereotipi e canoni imposti dalla società. Le sue donne e i suoi uomini sono senza tempo, androgeni travolgenti che spesso catturano lo spettatore per la loro affascinante presenza ma che contemporaneamente lo terrorizzano, facendo dei contrasti e delle dissonanze un punto di forza della sua poetica, perché come ha più volte affermato il fotografo la vera bellezza, non deve essere rassicurante ma “ferisce”.

Mustafa Sabbagh è un poeta dell’immagine, dalla linea sinuosa e mai aggressiva, il quale progetta i suoi set minuziosamente, ammantando i suoi soggetti di una sacralità atemporale e facendoli piombare in un’eterna armonia cosmica in cui ad emergere è la “multidimensionalità del nero, la sovversione di codici di abito e di genere”, l’autenticità dell’individuo e la profondità dell’essere, “umanamente sacra, religiosamente profana”.

Subito si riconosce l’iconografia ben codificata di quella che potrebbe sembrare una Madonna con il Cristo morto sulle gambe, ma ecco che subito un particolare rimanda ad un’altra cultura e ad altre influenze, un copricapo dalle forme definite che farebbe pensare a provenienze asiatiche, un volto con una maschera antigas ma che ad osservarlo bene richiama gli occhi di un ape, oppure raffinati costumi cinquecenteschi con forme geometriche, pizzi e merletti sovrapposti, corsetti e gorgiere voluminose in tessuto, esclusivamente nere.

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

“Più che il lato nascosto, ciò che mi propongo di catturare è il lato più profondo, le inclinazioni più vere, la naturale essenza dell’uomo, libera dagli impedimenti e dagli stereotipi – che sono il contrario della verità. E la fotografia è il mezzo più veloce e democratico per arrivare alla mia verità. Certo, non sempre ci riesco. Certo, la varietà umana non si può contenere in uno scatto”. M. Sabbagh

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su The Mammoth’s Reflex (3 febbraio 2016).

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Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh, Risen from the Dead, 40x50, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh, Risen from the Dead, 40×50, Courtesy Traffic Gallery

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Radio Alice: information to the people. https://www.cultmag.it/2016/02/08/radio-alice-information-to-the-people/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/08/radio-alice-information-to-the-people/#respond Mon, 08 Feb 2016 10:45:52 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2955 Per molte persone il periodo compreso tra le scuole superiori e l’università è quello delle ideologie, dei sogni e delle rivoluzioni, perché in questo arco di tempo – così importante per la formazione di un individuo – si scoprono passioni e storie di un passato lontano.

Durante le scuole superiori una delle storie che mi appassionò di più fu quella di Radio Alice, emittente radiofonica di Bologna.

Era il 9 febbraio del 1976, quando dal civico 41 di via del Pratello alcuni ragazzi trasmisero per la prima volta, dalla frequenza fm 100.6 mhz, grazie a un semplice trasmettitore militare trovato da Maurizio Torrealta.

Ogni mattina la giornata iniziava con tranquillità con la diffusione di mantra e lezioni di yoga, per poi passare alla storica canzone del cantautore barese Enzo Del Re Lavorare con lentezza e ancora dopo particolari rubriche venivano intervallate dalla musica degli Area, di Coltrane, Inti-Illimani, Jimi Hendrix e Stockhausen.

Radio Alice permetteva a ognuno di raccontare le proprie passioni: leggere un libro, recitare delle poesie, oppure parlare dei propri problemi e dei propri sogni: c’era Bifo (Franco Berardi, creatore, tra le alte cose, della famosa rivista A/traverso), poi Paolo Ricci, e perchè no, Elio Baldini e Alessandra che alle otto di sera leggevano le favole per i bambini, mentre Stefano Saviotti e Luciano Cappelli conducevano la rubrica Rasente ai muri.

Un diario pubblico, condiviso con umiltà, così come umili e semplici erano quei ragazzi, spinti semplicemente dalla voglia di condividere, dalla voglia di raccontare esperienze vissute in prima persona e di urlare al mondo eterne verità come «libertà dal lavoro, libertà dallo sfruttamento, libertà dell’abbrutimento economico, libertà di fare l’amore».

radioalice

Radio Alice, via del Pratello 41, Bologna.

All’inizio erano in pochi, ma pian pano la radio iniziò a essere seguita con interesse da sempre più persone e «nel giro di qualche settimana la redazione esplode, arrivano ragazzi dalle scuole, femministe a cavallo della loro scopa, giovani operai delle fabbriche in lotta, e chi viene ha il diritto di prendere il microfono e dire quello che gli sembra urgente. Radio Alice è la voce di chi non ha mai avuto parola».

Radio Alice diventa un punto di riferimento per molti giovani, un modo per dire “io esisto” e voglio dire ciò che provo, cosa conosco oppure semplicemente raccontare come si vive da operai o da studenti; quali sono i dolori e quali le gioie, gridare che un mondo diverso può esistere, ma siamo noi a dover prendere coscienza del cambiamento.

La censura era assolutamente abolita: tutti potevano parlare al microfono e tutte le telefonate erano mandate in onda senza filtri, tanto che molto spesso i ragazzi ricevevano insulti e minacce, non esistevano pubblicità e i proventi derivano da eventi e concerti.

Passano un piano d’anni ed è subito il 1977!

Si proprio il ’77, anno caldo per l’Italia che è in piena protesta, e proprio a Bologna lo scontro tra forze dell’ordine e giovani si trasforma in un incubo con la morte del giovane studente Francesco Lorusso.

Radio Alice dà la notizia, segue la protesta da vicino attraverso i racconti di coloro che dalle cabine telefoniche chiamano alla radio per informare su cosa stava accadendo.

Francesco Lo Russo sorride (al centro il ragazzo con i baffi).

Francesco Lorusso sorride (al centro il ragazzo con i baffi).

Radio Alice, per le sue idee sovversive viene osteggiata e il 12 marzo 1977 la Polizia fa irruzione nella sede della radio con l’accusa di aver diretto gli scontri violenti all’indomani della morte di Lorusso.

Erano le 23.15 al microfono c’e Valerio Minnella, che chiede aiuto al collettivo giuridico di difesa. Nell’etere si odono le voci provenire da via del Pratello 41: «Attenzione, a tutti gli avvocati, a tutti i compagni che ci sentono, che si mettano in comunicazione con gli avvocati. Attenzione a tutti i compagni che ci sentono: tentino di mettersi in comunicazione con l’avvocato Insolera e con gli altri del Collettivo Giuridico di difesa» e ancora «c’e la polizia alla porta che tenta di sfondare, hanno le pistole puntate e io mi rifiuto di aprire, gli ho detto finche’ non calano le pistole e non mi fanno vedere il mandato.
 E poi siccome non calano le pistole gli ho detto che non apriamo finche’ non arriva il nostro avvocato.
 Puoi venire d’urgenza, per favore, ti prego d’urgenza, ti prego…
 c’hanno le pistole e i corpetti antiproiettile e tutte ste’ palle qua…
 via del Pratello 41..
ok! ti aspettiamo…».

La Polizia fa irruzione, senza aspettare gli avvocati e subito: «state con le mani in alto» mentre Valerio dice «sono entrati, sono qui, siamo con le mani alzate, stanno strappando il microfono» e poi il silenzio da Radio Alice, chiusa per volere della Procura della Repubblica.

Nulla esisterà più di Radio Alice e nulla sarà più lo stesso per quelli studenti nonostante venga riaperta una radio dal nome Collettivo 12 marzo.

F.1

Radio Alice, via del Pratello 41, Bologna.

Così nasceva e così veniva oscurata Radio Alice, radio libera italiana, che se pur per solo 13 mesi ha segnato la storia della radiofonia italiana, facendosi portatrice di una cultura dell’amore e della conoscenza libera e per tutti.

Tutto era finito, ma non gli insegnamenti di Radio Alice: ognuno doveva esser fiero di quel che era, della propria lingua e del proprio accento, ma soprattutto del proprio pensiero, essere fieri anche del proprio lavoro ma ricordarsi sempre di lavorare con lentezza / senza fare alcuno sforzo / chi è veloce si fa male e finisce in ospedale / in ospedale non c’è posto e si può morire presto / Lavorare con lentezza senza fare alcuno sforzo / la salute non ha prezzo, quindi rallentare il ritmo / pausa pausa ritmo lento, pausa pausa ritmo lento.

Testo ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Radio-Alice

Via Zamboni, Bologna, 1977

Via Zamboni, Bologna, 1977

bologna1977-bn

 Tano D’Amico, Bologna, 1977

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Speciale Arte Fiera. Michal Macku e le sperimentazioni in camera oscura. https://www.cultmag.it/2016/02/02/speciale-arte-fiera-michal-macku-e-le-sperimentazioni-in-camera-oscura/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/02/speciale-arte-fiera-michal-macku-e-le-sperimentazioni-in-camera-oscura/#respond Tue, 02 Feb 2016 19:00:18 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2930 Tra le innumerevoli gallerie e opere di artisti internazionali ospitati negli stand di Arte Fiera a Bologna – dal 29 gennaio al 1° febbraio – anche quello della Paci Contemporary di Brescia (Padiglione 25, stand A35), la quale ha ospitato nomi celebri come Sandy Skoglund, Mario Cravo Neto, Ralph Gibson, Leslie Krims, Teun Hocks e Michal Macku.

In particolare il lavoro di quest’ultimo artista è caratterizzato da un linguaggio espressivo assolutamente unico, a cui è approdato dopo innumerevoli tentativi e sperimentazioni in camera oscura. La principale tecnica da lui utilizzata – ma non unica perché Macku adopera sapientemente anche la desueta carbon print– è il gellage (il cui nome deriva dall’unione dei termini collage e gelatina).

Un procedimento da lui ideato alla fine del 1989, che consiste “nel trasferimento dell’emulsione fotografica dalla sua base originale su carta” di alta qualità, infatti l’artista agendo sul sottile strato di gelatina, plasma le immagini originali, conferendogli nuovi significati durante il loro trasferimento. E’ in questa fase che Macku crea una cesura, come fosse una ferita sull’immagine, che a sua volta si riflette sul soggetto rappresentato – quasi sempre l’artista stesso – rivelandone “l’essenza interiore, come se vi fosse un movimento sotterraneo talmente forte che il corpo non riuscisse a contenerlo e la lacerazione fosse una sorta di esplosione causata dalle forze interne, rivelando la parte psicologica degli individui e la loro complessità”.

Ma il processo non termina qui e la fervente sperimentazione dell’artista lo ha portato ad applicare il gellage al vetro, creando gli ipnotici: glass gellage, attraverso cui Michal Macku riesce a dare tridimensionalità alle immagini, immergendo le figure in una sostanza trasparente che fa fluttuare i corpi e i volti da lui rappresentati, come fossero sospesi in una sorta di liquido amniotico, annullando tempo e spazio reale, elementi imprescindibili del fotografico da cui l’artista parte per realizzare le sue opere.

In una esaustiva criticata svolta dallo studioso Walter Guadagnini, il lavoro di Michal Macku è stato accostato alla corrente del surrealismo sottolineandone “il carattere visionario, che si esprime anche attraverso scelte specifiche nella presentazione dei corpi, nella costruzione del loro spazio interno, uno spazio che per l’appunto si può definire più metapsichico che metafisico”. Così lette, le lacerazioni e gli strappi altro non sono che un preciso rimando all’interiorità dell’artista, un modo per trasfigurare la realtà grazie ad una fuga nelle infinite possibilità dell’immaginario, che nel momento stesso in cui vengono pensate si tramutano in foto-sculture. Nonostante l’artista abbia affermato che attraverso il suo lavoro non cerca “di creare una […] visione autobiografica”, molte delle sue opere inevitabilmente rimandano ad una “storia concreta […], un’esperienza, un ricordo”, confermando la forte concettualità che si instaura quando la realtà del fotografico incontra il corpo dell’artista, inteso come tempio e prigione dell’anima e in quanto tale “il soggetto più complicato e più intimo” da esplorare.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su The Mammoth’s Reflex (1 febbraio 2016).

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Michal Macku, Glass Gellage

Michal Macku, Glass Gellage

Michal Macku, Glass Gellage

Michal Macku, Glass Gellage

Michal Macku, Glass Gellage

Michal Macku, Glass Gellage

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Dall’ozio nascono i fior: Oblomov live https://www.cultmag.it/2016/01/22/dallozio-nascono-i-fior-oblomov-live/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/22/dallozio-nascono-i-fior-oblomov-live/#respond Fri, 22 Jan 2016 11:30:36 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2906 IN BREVE  Chi: Oblomov Cosa: concerto Dove: Mikasa Club, via Emilio Zago 14, Bologna Ingresso: offerta libera con tessera AICS Quando: sabato 23 gennaio 2016 

Nelle ore di ozio il corpo si impossessa di una strana noia, quella che fa venir voglia di giacere comodamente su un divano a degustare il delizioso sapore dell’oblio. I pensieri vagano, le membra si intorpidiscono, lo sguardo è perso nel vuoto a scrutare un qualcosa che la mente non riesce a decifrare. Per alcuni l’ozio è il padre di tutti i vizi ma per altri la noia può generare creatività, così come è successo agli Oblomov, duo italo-russo che «tediati da freddi e noiosi pomeriggi san pietroburghesi trascorsi davanti alla tv» hanno trovato nella musica la loro ragion d’essere.

Un concentrato di sonorità cupe e riflessive attraverso cui Ilja Il’iĉ e Zachar  trasmettono suggestioni ricevute da ogni elemento incontrato e ascoltato casualmente nella vita di tutti i giorni. Dalla strada, dalla televisione, dalla radio, dalla musica e soprattutto dall’arte stessa, come è avvenuto per il loro primo album Sound of the soul, che non a caso prende il nome dall’omonima tela dell’artista Adriano Fida. Un album nato «dall’idea di mettere in musica i quadri del pittore calabrese, con particolare riferimento al tema dei miti classici greci, rivisitati in chiave postmoderna», ed ecco che il fascino ricevuto dalle tele e dalla pastosità del colore di Fida è trasformato dagli Oblomov in potenti suggestioni sonore. Il duo si è avvalso anche della collaborazione del regista Flavio Sciolè per la realizzazione dei visual, solitamente trasmessi durante i live su un vecchio televisore posto in sala.

Gli Oblomov suoneranno sabato 23 febbraio al Mikasa club di Bologna e per l’occasione sarà eccezionalmente presente l’artista Adriano Fida, da poco insignito del premio Expo Arte Italiana per la telaThe sound of the soul.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Bolognacult (21 gennaio 2016).

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Adriano Fida, The sound of the soul, olio su tela, 60x80

Adriano Fida, The sound of the soul, olio su tela, 60×80

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Madonna. La nascita di un’icona https://www.cultmag.it/2015/12/31/2509/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/12/31/2509/#respond Thu, 31 Dec 2015 18:16:06 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2509 Le persone non sanno ancora quanto io sia brava, ma lo scopriranno presto. Nel giro di qualche anno tutti lo sapranno. Ho progettato di diventare una delle star più grandi di questo secolo“, ed effettivamente nel giro di pochi mesi dai suoi esordi come ballerina e attrice, Madonna è riuscita ad affermarsi nell’Olimpo delle icone glamour, celebrata e amata da schiere di fan dagli anni Ottanta fino ad oggi.

Alla Ono Arte Contemporanea di Bologna la mostra MADONNA: The Rise of a Starripercorre i primi anni di carriera della cantante italo-americana Madonna Louise Veronica Ciccone, attraverso lo sguardo di tre celebri fotografi: Peter Cunningham, George DuBose, e Deborah Feingold.

Madonna è una diva pop che ha fatto del proprio corpo un oggetto plasmabile, in perenne mutamento, maturando nel tempo un’estetica camaleontica diventata poi «un marchio di fabbrica»: donna sexy e aggressiva vestita in bianco con pizzi e merletti nell’album Like a Virgin, cantante country in Music, crocifissa durante il Confessions Tour e vestita da soldato in American Life.

La fortuna vera e propria inizia quando la giovane Madonna incontra Liz Rosenberg, PR della Warner Bros, la quale attraverso un’adeguata promozione pubblicitaria, ha curato i rapporti con i più importanti media e fotografi dell’epoca, facendola conoscere in brevissimo tempo in tutta l’America del nord e successivamente nell’intero globo. Madonna sapeva bene come costruire il proprio look e le proprie performance essendo dotata di una carismatica presenza scenica, peculiarità che senz’altro emerge nel servizio fotografico di George DuBose, realizzato nell’autunno del 1981. Sollecitato dalla Rosenberg, DuBose fotografa la cantante durante uno dei suoi primi concerti all’Uncle Sam di Long Island, in cui la giovane si muove con sicurezza e sensualità.

All’epoca Madonna ha uno stile trasandato ma sempre ben progettato, secondo quelli che erano i dettami modistici di quegli anni che oscillavano tra elementi post-punk con tanto di catenine, borchie, anfibi e maglie strappate ed elementi disco, orecchini a stella, capelli cotonati dai colori sgargianti, salopette e fuseaux dai toni fluo. Ed è così che Madonna si presenta nello studio del fotografo Peter Cunningham nel 1982, vestita con giubbotto di jeans, pantaloni a vita alta, tenuti con due cinture, capelli cotonati e trucco marcato. Anche questa volta è Liz Rosenberg a sollecitare lo shooting con la ragazza del Michigan, ed effettivamente il fotografo canadese rimane piacevolmente stupido dalla giovane Madonna, che da sola si trucca e si veste con cura, cambiandosi con velocità d’abito e facendo corrispondere ad ogni nuovo outfit una diversa sfaccettatura della personalità. La seduta entusiasma i due, tanto che il servizio dallo studio del fotografo prosegue per le strade di Soho, dove Madonna «corre e salta coinvolgendo gli ignari passanti, gioca a nascondino nei vicoli tra le case, si abbassa la zip dei pantaloni sui gradini di una chiesa o finge di essere crocifissa sulla staccionata di un giardinetto».

Nello stesso anno, Madonna incontra anche la fotografa Deborah Feingold, per un servizio commissionato dalla rivista Star Hits, lo shooting si svolge in casa della fotografa che all’epoca utilizzava anche come studio e da questo incontro nascono scatti semplici, ma efficaci, che denotano la carismatica personalità di Madonna. La cantante è sempre stata consapevole della sua eclettica personalità e come ha più volte affermato «credo che essere fedeli a un’immagine sia la tomba della creatività», ed ecco che in lei vivono mille volti e mille anime, che le hanno permesso di diventare l’icona glamour per eccellenza, perché la sua qualità più grande è quella di «essere una donna indipendente che combatte per ciò in cui crede». La mostra patrocinata dal Comune di Bologna, oltre ad esporre gli scatti già citati, presenta in anteprima mondiale una serie di fotografie, del servizio del 1982 che Peter Cunningham pensava di aver smarrito, ma poi riemerse dai suoi archivi.

Articolo di Claudia Stritof su The Mammoth’s Reflex (30 novembre 2015).

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Report dalla mostra:

© Claudia Stritof.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

MADONNA: The Rise of a Star, Ono Arte Contemporanea, 2015. © Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.

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