cinema – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Sun, 07 Mar 2021 10:09:45 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Parigi, 28 dicembre 1895. La nascita del cinema https://www.cultmag.it/2019/12/27/lumiere/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/12/27/lumiere/#respond Fri, 27 Dec 2019 11:00:00 +0000 http://www.claudiastritof.com/?p=2343 «Il film parlato mi sembra l’antitesi dell’arte muta, […] quei personaggi che agiscono sullo schermo a bocca aperta mentre ci arriva la loro voce non si sa da dove mi sembrano tanti ventriloqui disorientati e agitati».

—  Louis Jean Lumière

Parigi, 28 dicembre 1895. I fratelli Auguste (Besançon, 19 ottobre 1862 – Lione, 10 aprile 1954) e Louis Lumière (Besançon, 5 ottobre 1864 – Bandol, 6 giugno 1948), proiettano il loro primo film L’uscita dalle officine Lumière al Salon indien del Grand Cafè di Boulvard des Capucines.

E’ la nascita del cinema!

Ritratto di Auguste Lumière

Nel film i lavoratori escono dalla fabbrica al termine di un’intensa giornata di lavoro; le donne sono vestite con abiti tipici dell’epoca, di colore bianchi e primaverili, a differenza del film girato dai fratelli Lumière, in cui le donne indossano abiti scuri e invernali. Molte le interpretazioni che sono state fatte circa la casualità o l’effettiva scrittura di una sceneggiatura da parte dei due fratelli, nonché anche sul il giorno delle riprese.

I fratelli Lumière, innovatori e ricercatori, furono figli della propria epoca, la Bella Époque, un periodo storico caratterizzato da grande sperimentazione e innovazione tecnico-scientifica che ha portato a immensi progressi tecnologici in tutti i campi del sapere. I due fratelli rientrarono in pieno in questo clima culturale caratterizzato da sogni e aspirazioni che prima di allora sembravano impossibili da realizzare.

Dalla nascita della fotografia nel 1839 il passo fu breve e subito si iniziò ad immaginare la creazione di immagini in movimento; infatti l’inventore Thomas Alva Edison nel 1891 crea il kinetoscopio, uno strumento che però permetteva a un solo spettatore alla volta di osservare attraverso un foro delle immagini in movimento, uno spettacolo unico che subito ammaliò Antoine Lumière, il padre di Louis e Auguste, tanto da spronare i figli nella loro folle idea di creare il Cinematografo.

Era il più grande spettacolo mai visto: per la prima volta la vita quotidiana nella sua semplicità veniva vista  all’interno di una sala buia, mentre il pubblico in attonito silenzio osservava le immagini che scorrevano davanti ai loro increduli occhi fino a che a un certo punto qualcosa li spaventa: una locomotiva sembra investirli e terrorizzati fuggono via.

Il padre era estremamente convinto delle potenzialità del cinematografico, tanto che fu lui a organizzare la prima proiezione pubblica al prezzo di 1 franco presso il Grand Café, proprio come ricorda Thierry Frémaux – delegato generale del Festival di Cannes e direttore dell’Istituto Lumière di Lione – che afferma «è il dicembre 1895 quando Antoine Lumière si mette alla ricerca di un locale in cui proporre al pubblico proiezioni di “fotografie animate” […]. Rifiuta diverse possibilità al primo piano e si scoraggia finché gli viene segnalata, nel quartiere dell’Opera, una sala secondaria del Gran Café, il Salon Indien, un seminterrato che era stato utilizzato come sala da biliardo».

Se nello stesso periodo molti furono gli strumenti brevettati molto simili al cinematografico, quello dei due fratelli aveva dalla loro parte, la fortuna di essere maneggevole e trasportabile anche all’esterno e inoltre permetteva la visione dei film in pubblico e collettivamente. Inoltre i Lumiere era anche abili impresari e pubblicizzavano il loro lavoro stampando dei volantini indicando l’ora in cui si sarebbero fatte le riprese. In questo modo le persone non solo si facevano trovare sul luogo per essere riprese, ma la sera dello spettacolo avrebbero anche pagato il biglietto per potersi guardare.

Se il padre era fermamente convinto dell’importanza di questa scoperta, i fratelli invece lo videro come un passatempo senza futuro, che non avrebbe avuto fortuna, così abbandonarono la realizzazione di film, per focalizzarsi su altre scoperte, sta di fatto che da quel fatidico momento la storia è lunga e veramente densa… Quindi non ci resta che dire… Buon compleanno Cinematografo!!

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
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Gian Maria Volonté: intellettuale eretico https://www.cultmag.it/2019/12/19/gian-maria-volonte-eretico-intellettuale/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/12/19/gian-maria-volonte-eretico-intellettuale/#respond Thu, 19 Dec 2019 08:24:29 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6273 Uomo di grande acume e di misteriosa bellezza, Gian Maria Volonté è stato un attore di eccelsa bravura. Impossibile dimenticarlo nei panni di Ramon Rojo nel film Per un pugno di dollari di Sergio Leone, in quelli di El Indio in Per qualche dollaro in più, dell’imprenditore Enrico Mattei, del mafioso Lucky Luciano, di Aldo Moro, Renato Braschi, Michelangelo e Caravaggio.

Attore di innato talento, affinato da uno studio «matto e disperatissimo», Volonté è stato anche un attento osservatore del mondo a lui contemporaneo e un coraggioso contestatore. Nato a Milano il 9 aprile 1933, fin da giovane dimostra avere un’anima ribelle: abbandona la scuola per svolgere diversi lavoretti, fino a quando – dopo un breve soggiorno in Francia per raccogliere mele – si iscrive all’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica di Roma, sotto l’insegnamento di Orazio Costa.

A Cavallo della Tigre di Luigi Comencini, 1961. Foto di Enrico Santelli ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale, Roma

In questo periodo recita in molti teatri, crede nelle sue potenzialità e interpreta personaggi drammatici e tremendamente reali; è espressivo ma non manierista e, se il teatro è la sua casa, a farlo conoscere al grande pubblico saranno televisione e cinema. Viene chiamato da Dullio Coletti per recitare nel film Sotto dieci bandiere e Un uomo da bruciare dei fratelli Taviani, quest’ultima pellicola sulla vita del sindacalista siciliano ucciso dalla mafia, Salvatore Carnevale, un film che consolida le certezze intellettuali di Volonté, studia il movimento operaio, parla con i contadini e legge Marx, la sua attenzione ai problemi reali cresce smisuratamente e l’avvicinamento a tematiche impegnate si fa sempre più vivo.

Come lo stesso attore affermò: «io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondono a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario tra l’arte e la vita».

Volonté non recita semplicemente un copione, ma esperisce sulla sua stessa pelle la vita di un altro da sé: studia, conosce e comunica attraverso un’eccelsa mimica e un’imprevedibile gestualità.

«Io non entro e non esco dai personaggi – disse l’attore – non esiste, secondo me, una tecnica unica e precisa. Si può interpretare un personaggio in totale immersione, ma può avvenire anche il contrario […] Io so bene quali percorsi faccio, però ho sempre un fondo di scetticismo nel parlarne perché mi rendo conto che in questo Paese tutti pensano che si possa essere o non essere attori, in qualsiasi momento. Invece non è vero, ci sono discipline che richiedono anni di frequentazione».

Il suo metodo era ferreo e questo lo ha raccontato anche Giuliano Montaldo quando disse: «se doveva interpretare un personaggio negativo, era negativo anche durante le pause, durante la notte, durante i momenti di pranzo e cena, si immedesimava talmente nel personaggio da diventare altro, una totale immersione nel personaggio vivendo insieme a lui».

La Ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, 1961. Foto di Leo Massa ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale, Roma

Se nel 1964 Volonté ha i primi problemi con la censura per Il Vicario, opera di aperta denuncia contro i sottaciuti rapporti tra Pio XII con il regime nazista, negli anni successivi fa l’incontro più importante per lui con Elio Petri, esponente del cinema verità, che lo chiama per prendere parte nel 1967 in A ciascuno il suo, pellicola che vince il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes e il premio come migliore attore protagonista ai nastri d’argento nel 1968. Sarà sempre con Petri che Volonté recita in La classe operaia va in paradiso, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Todo modo, un vero e proprio atto di accusa verso la DC.

Dopo aver superato un periodo molto duro a causa di un tumore ai polmoni, Volenté comincia nuovamente a recitare, nonostante i tempi siano ormai cambiati e dopo tanti successi muore il 5 dicembre 1994 a Florina, in Grecia, sul set de Lo sguardo di Ulisse, dove avrebbe interpretato la parte del direttore della cineteca di Sarajevo assediata durante la guerra nella ex Jugoslavia.

Per meglio approfondire la poliedrica figura di Gian Maria Volonté, fino al 22 dicembre, è possibile visitare la mostra a lui dedicata in occasione della XVIII edizione del Festival del cinema di Porretta Terme, proprio nella località dove nel 1971 Gian Maria Volonté ed Elio Petri presentarono in anteprima mondiale, La classe operaia va in paradiso. Inaugurata il 6 dicembre, giorno in cui si è stato celebrato il venticinquesimo anno dalla sua scomparsa, la mostra è stata realizzata in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
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Giuseppe Rotunno: il mago della luce. https://www.cultmag.it/2017/01/10/giuseppe-rotunno-il-mago-della-luce/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/01/10/giuseppe-rotunno-il-mago-della-luce/#comments Tue, 10 Jan 2017 08:36:00 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4337 Giuseppe Rotunno, nato a Roma il 19 marzo 1923, è stato uno straordinario direttore della fotografia che ha contribuito con la sua arte a realizzare grandi capolavori della cinematografia italiana e internazionale.

Tra questi: La grande guerra di Mario Monicelli, Rocco e suoi fratelli di Luchino Visconti, Cronaca familiare di Valerio Zurlini, Il Gattopardo di Visconti, Ieri, Oggi e Domani di Vittorio De Sica, La terra vista dalla Luna di Pier Paolo Pasolini, Fellini Satyricon di Federico Fellini, All That Jazz di Bob Fosse, Non ci resta che piangere di Benigni e Troisi, e ancora Le avventure del Barone di Munchausen di Terry Gilliam, Sabrina di Sydney Pollack e La sindrome di Stendhal di Dario Argento.

Giuseppe Rotunno sul set del film ‘La Maja desnuda’ (1958). Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.

Andando a spulciare nella filmografia di Rotunno si rimane stupiti dalla quantità di film a cui ha partecipato come direttore della fotografia ma, soprattutto, ciò che emerge con chiarezza è l’altissima qualità artistica del suo lavoro.

Una storia lunga la sua, fatta di esperienze, sperimentazione e, prima di tutto, di passione; un percorso che ha inizio nella camera oscura del laboratorio fotografico di Cinecittà con Arturo Bragaglia, il quale nutriva una sincera stima verso lo spirito sperimentale e innovatore dell’allora giovanissimo Giuseppe.

Rotunno incontra Bragaglia casualmente. Infatti, dopo la morte del padre, il quale era titolare di una sartoria, Giuseppe Rotunno nel 1938 abbandona la scuola per cercare lavoro, così da aiutare economicamente la famiglia. Un amico lo informa che proprio in quei giorni a Cinecittà si stavano svolgendo dei colloqui per il ruolo di elettricista, ma mentre Peppino era in fila ad aspettare che il suo turno arrivasse, qualcosa accadde.

È lui stesso a raccontarlo in una bellissima intervista realizzata da Giulio Brevetti per Artribune: “Mentre ero in fila” – dice Rotunno – “passarono due o tre miei coetanei che si lamentavano di un certo Bragaglia, che aveva uno studio fotografico. Sentendo che per ragioni di carattere non ci andava nessuno, allora sono andato io. Sono andato da lui, ho fatto amicizia, mi ha preso a ben volere come un padre. A fine settimana mi dava una Leica, io facevo le fotografie per conto mio e il lunedì, quando tornavo allo studio, le sviluppavo e le stampavo, insomma ho cominciato a fare il fotografo”.

Con il sopraggiungere della Seconda Guerra Mondiale il giovane Peppino parte per il fronte con la sua attrezzatura e sul campo realizza documentari da inviare al comando generale dello Stato Maggiore del Regio Esercito; questo almeno fino al settembre del 1943, quando viene catturato in Grecia e deportato in Germania fino al 1945. Tornato in patria, prosegue la carriera come aiuto-operatore, per diventare in breve tempo operatore di macchina e, infine, direttore della fotografia, proprio durante gli anni del cinema neorealista, impegnato culturalmente e “libero di esprimersi”.

È il 1955 quando Rotunno debutta come direttore della fotografia per il film Pane, amore e… di Dino Riso e da allora non si è più fermato, tanto che da abile sperimentatore quale è, oltre ad occuparsi della fotografia, Rotunno non può che diventare un sapiente insegnate per il corso di fotografia alla Scuola Nazionale di Cinema del Centro Sperimentale di Cinematografia, dove giunge nel 1988 per volere di Lina Wertmüller, all’epoca commissario della Scuola.

Sempre nello stesso anno viene chiamato dal regista Terry Gilliam, ex Monty Python, per partecipare alle riprese de Le avventure del Barone di Münchausen, film tratto dai bellissimi racconti settecenteschi di Rudolf Erich Raspe. Un film straordinario, che vanta un cast tecnico di tutto rispetto, infatti oltre a Rotunno per la fotografia, annovera anche la costumista Gabriella Pescucci e lo scenografo Dante Ferretti.

Giuseppe Rotunno con Federico Fellini sul set del film ‘Amarcord’ (1973). Courtesy Archivio fotografico della Cineteca nazionale.

In uno dei molti dialoghi tra Il Barone Münchausen e Sally Salt, alla domanda sul perché l’uomo cerchi disperatamente di morire, lui risponde:

«Perché, perché, perché! Perché tutto è logica e ragione oggigiorno! Scienza, progresso… Bah, dahhh! Leggi dell’idraulica, leggi della dinamica sociale, leggi di questo, leggi di quell’altro! Non c’è posto per i ciclopi a tre gambe dei mari del sud, non c’è posto per alberi di cetrioli e oceani di vino… Non c’è posto per me!»

Una semplice e, al giorno d’oggi, inconfutabile verità. Qualche volta nella nostra vita dimentichiamo di sognare e allora ecco che fa capolino qualche pellicola a ricordarcelo.

Come afferma lo stesso Giuseppe Rotunno, il mestiere del direttore della fotografia consiste in questo: trovare i difetti che vi sono nella luce e “trasformarla alle nostre esigenze di racconto. Non sempre la luce che si trova nella nostre città è utile al racconto che stiamo facendo per cui se contrasta con la storia impariamo a tradurla a trasformala in modo tale che rappresenti meglio le emozioni della storia che stiamo girando”.

Il direttore della fotografia e il regista, lavorando insieme sinergicamente, rendono possibile il sogno e permettono allo spettatore “di entrare in un racconto cinematografico senza essere distratti” da altri elementi perché, in fondo, aveva ragione François Truffaut quando affermava “fare un film significa migliorare la vita, sistemarla a modo proprio, significa prolungare i giochi dell’infanzia”.

Testo a cura di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati

Fonti: Centro Sperimentale di Fotografia, Associazione Italiana Autori della Fotografia CinematograficaCinematographers, Treccani, Artribune.
Articolo aggiornato in data 8 maggio 2019.
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Piacere, Ettore Scola. Una mostra a Roma celebra il genio del grande cineasta. https://www.cultmag.it/2016/12/30/piacere-ettore-scola-una-mostra-a-roma-celebra-il-genio-del-grande-cineasta/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/12/30/piacere-ettore-scola-una-mostra-a-roma-celebra-il-genio-del-grande-cineasta/#respond Fri, 30 Dec 2016 18:19:15 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4268 Siamo nel 1938: Antonietta e Gabriele si muovono lentamente tra le lenzuola stese ad asciugare su un soleggiato terrazzo romano. Antonietta indispettita dalla presenza di Gabriele raccoglie i panni velocemente mentre l’uomo le rivolge molte domande. Lei è seria, le sue labbra serrate, le risposte secche e diffidenti. Ad un certo punto Gabriele le domanda: «Perchè non ridi mai?». Poi il silenzio…

Lei pensa che l’uomo sia andato via senza salutarla ma un attimo dopo Gabriele la abbraccia avvolgendola nel lenzuolo bianco. Un gioco innocente, fanciullesco che libera la donna da tutte le sue paure e subito Antonietta si lascia andare in una risata profonda.

Disegno Una giornata particolare, 1977

Questa è la famosissima scena interpretata da Marcello Mastroianni e da Sophia Loren nel film Una giornata particolare di Ettore Scola; un vero capolavoro di tecnica per i sapienti controluce, le carrellate veloci alternate a movimenti lenti e meditativi e per primi piani indagatori, ma soprattutto il film è un capolavoro di narrativa che racconta con schiettezza una storia di solitudine e amore.

Il 19 gennaio ricorre l’anniversario di morte del grande cineasta Ettore Scola e proprio in questi mesi  presso il Museo Carlo Bilotti di Roma si sta svolgendo la prima mostra postuma a lui dedicata: Piacere, Ettore Scola.

Riusciranno i nostri eroi, 1968. © Foto Roma’s Press Photo

L’esibizione curata da Marco Dionisi e Nevio de Pascalis non vuole essere solo un omaggio al genio creativo di Ettore Scola ma anche un viaggio sentimentale alla scoperta della sua vita e delle sue passioni.

La mostra si snoda in ben nove sezioni, divise cronologicamente e tematicamente, che vanno a comporre un percorso intenso nella vita del cineasta. Si parte dall’infanzia vissuta a Trevico, paese in provincia di Avellino, alla giovinezza romana e all’inizio della sua carriera da vignettista per il settimanale il Marc’Aurelio, si passa poi all’approdo in Rai e nel 1964 al suo debutto alla regista.

L’ultima sezione della mostra, quella tematica, è dedicata ai rapporti lavorativi e di amicizia che Scola ha instaurato durante la sua lunga carriera e alle sue molteplici passioni: quella per il teatro, quella per Roma,  il suo grande impegno civile e politico e infine particolare rilevanza è data al disegno, tra le più importanti passioni del regista.

Se permettete parliamo di donne, 1964. © Foto Angelo Frontoni

Il suo è un tratto netto e definito attraverso il quale ha rappresentato con umorismo e ironia gli anni da lui vissuti e in mostra non poteva mancare il suo primo disegno pubblicato sulla rivista Il Travaso delle idee del 1946, dieci disegni realizzati per diverse riviste dell’epoca, tra cui quelli per il Marc’Aurelio, i disegni dedicati al grande Totò e infine ben duecento disegni ispirati ai suoi film.

Non meno importanti sono le fotografie da lui scattate, immagini personali e inedite, a cui si aggiungono premi, oggetti di scena, locandine, carteggi e contributi audiovisivi di vario genere, tra cui l’intervista Maestro realizzata dai curatori della mostra che ripercorrere la vita di Ettore Scola: “un professionista eclettico, complesso, acuto e amaro osservatore del costume nazionale”.

La mostra, visitabile fino all’8 gennaio presso il Museo Carlo Bilotti di Roma, è anche un libro: «il primo volume monografico edito da Edizioni Sabinae con prefazioni di Silvia Scola, Walter Veltroni, Jean Gili e Piera Detassis».

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Piacere, Ettore Scola

A cura di: Marco Dionisi e Nevio de Pascalis

Museo Carlo Bilotti, Viale Fiorello La Guardia, Roma

17 settembre 2016 – 8 gennaio 2017

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Disegno Che strano Chiamarsi Federico, 2013

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