Edgar Lee Masters – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 23 May 2016 19:26:32 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Fernanda Pivano e Fabrizio De André. Ricordi tanti e nemmeno un rimpianto. https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/#respond Mon, 23 May 2016 19:26:32 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3888 A Pavia presso il Salone Teresiano della Biblioteca Universitaria, la mostra Fernanda Pivano e Fabrizio De André. Ricordi tanti e nemmeno un rimpiantorende omaggio alla grande amicizia fra la scrittrice Nanda e il cantautore Faber, e al loro duplice legame con  il capolavoro della letteratura americana l’Antologia di Spoon River, dello scrittore Edgar Lee Masters, che proprio quest’anno compie cento anni.

Guido Harari, Fernanda Pivano e Fabrizio De André. ©Guido Harari

Guido Harari, Fernanda Pivano e Fabrizio De André. ©Guido Harari

C’era Frank Drummer, il matto del villaggio, Selah Lively, il giudice basso di statura, Wendell P. Bloyd, il blasfemo che accusò pubblicamente Dio di menzogna, Francis Turner, morto per amore, Trainor, il «miscelatore di sostanze chimiche» e Il suonatore Jones. Questi sono solo alcuni degli abitanti della Spoon River. Edgar Lee Masters per la composizione dei suoi epitaffi prese ispirazione dall’Elegia scritta in un cimitero campestre dell’inglese Thomas Gray e dagli epigrammi greci dell’Antologia Palatina, dando vita dal 1914 a 244 versi in forma di epigrafe, pubblicati sulla rivista Mirror con lo pseudonimo di Webster Ford prima, e dal novembre 1915 con il suo vero nome. L’Antologia di Spoon River è una raccolta di poesie d’inestimabile bellezza, che dalla sua pubblicazione non ha mai smesso di affascinare, grazie al linguaggio scarno che rivolge l’attenzione alla quotidianità del vivere, «brucianti confessioni di uomini e donne che attraverso la memoria riesumano la dannazione, il patetico o la miseria della loro vita». Personaggi meravigliosamente caratterizzati da Edgar Lee Masters, che naturalmente non potevano non affascinare la Pivano e De Andrè, l’una traducendo le poesie e l’altro prendendone ispirazione per l’album Non al denaro non all’amore né al cielo, del 1971

La mostra presso il Salone Teresiano è un racconto di fortunati incontri artistici: il primo quello di Fernanda Pivano, ancora allieva del Liceo classico D’Azeglio di Torino, col suo insegnante Cesare Pavese, il quale alla domanda su quali fossero le differenze tra la letteratura inglese e quella americana consegnava alla giovane l’Antologia di Spoon River. La Pivano, affascinata da quelle poesie, così amare e ironiche al tempo stesso, iniziò a tradurle, senza mostrarle a nessuno per molti anni, fino a che Pavese le lesse e decise di proporle alla casa editrice Einaudi, che le pubblicò nel 1943. In una delle lettere conservate presso l’Archivio storico della Fondazione Corriere della Sera, che custodisce le carte di Fernanda Pivano, Pavese scriveva: «l’inverosimile è avvenuto», perché sotto il regime fascista, la letteratura americana era fortemente osteggiata, ma per un mero, e fortunato errore, l’opera veniva pubblicata e Nanda, purtroppo, arrestata perché quel libro «parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare».

La seconda storia riguarda Fabrizio De André, che intervistato nel 1971 da Nanda, diceva: «avrò avuto diciott’anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto, forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece il vizio lo si può migliorare: solo così un discorso può essere produttivo».

Dell’album Non al denaro non all’amore né al cielo purtroppo rimane solo un frammento manoscritto de Il suonatore Jones, esposto in mostra, insieme ad autografi di altre canzoni in cui il cantautore ha ritratto: Il Pescatore, Marinella, Bocca di Rosa e Il Gorilla, che accompagnano idealmente il visitatore tra documenti, scritti e fotografie. Oltre a questi preziosi documenti, è possibile vedere la prima edizione dell’Antologia, grazie al prestito della Biblioteca Civica Bonetta di Pavia, fotografie che ritraggono la Pivano con celebri letterati americani, come Allen Ginsberg e Charles Bukowski, commovente è la copertina del disco con la dedica di Faber ai genitori, le foto in sala incisione pubblicate nei libri di Guido Harari e la fotografia da lui scattata la quale ritrae Faber e Nanda in un tenero abbraccio. Inoltre spartiti originali, dischi d’epoca, rassegne stampa e scatti di diversi artisti che ispirandosi a questi capolavori hanno dato vita a interessanti serie fotografiche come Spoon River a Central Park di Anna Venturini.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine (2 maggio 2015)

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Fernanda Pivano e Fabrizio De André.
Ricordi tanti e nemmeno un rimpianto.
Biblioteca Universitaria di Pavia, Strada Nuova, 65
10 marzo – 25 maggio 2016
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La guerra di Piero

La guerra di Piero

 

]]> https://www.cultmag.it/2016/05/23/fernanda-pivano-e-fabrizio-de-andre-ricordi-tanti-e-nemmeno-un-rimpianto/feed/ 0 3888 Viaggio nell’eterno: il Cimitero degli Inglesi di Firenze. https://www.cultmag.it/2016/03/07/viaggio-nelleterno-il-cimitero-degli-inglesi-di-firenze/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/03/07/viaggio-nelleterno-il-cimitero-degli-inglesi-di-firenze/#respond Mon, 07 Mar 2016 10:06:52 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3124 Se dovessero chiedermi cosa mi manca di Firenze, automaticamente, direi il Cimitero degli Inglesi, dove ogni tanto andavo per pensare e trovare un po’ di tranquillità.

Il Cimitero degli Inglesi è un luogo pittoresco, piccolo ma immerso nel verde e costellato di statue ed epigrafi le quali lo rendono un luogo magico e fuori dal tempo, nonostante sia collocato nel bel mezzo dei chiassosi viali della città, dove spesso e malvolentieri si sente il rumore delle macchine e dei clacson.

Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

Tomba di Arnold Savage Landor. Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

Il cimitero è stato fondato nel 1865 e chiuso nel 1877, quando prende avvio il risanamento di Firenze con l’attuazione del Piano Poggi: in questo periodo le antiche mura della città vengono abbattute per far largo agli attuali viali di circonvallazione e il cimitero, prima addossato alle mura, ora è inglobato all’abitato, assumendo l’attuale forma ovale. Il camposanto per fortuna è stato salvaguardato dalla distruzione, al contrario di ciò che accadeva per altri cimiteri, in virtù del suo notevole pregio artistico e le importanti personalità ivi seppellite.

Appena varcata la soglia si viene catturati da una sensazione di atemporalità, ogni suono svanisce, ed è come essere catapultati in una dimensione diversa, spirituale e solenne, che accompagna il visitatore per tutta la durata della visita. Dallo stretto vialetto in ghiaia ci si addentra sulla collina, fino ad arrivare sulla sommità dove si erge la colonna commemorativa offerta da Federico Guglielmo IV di Prussia nel 1858. Qui si incrocia un secondo vialetto perpendicolare al primo che scende sui fianchi della collina, mentre dei cipressi schermano lo sguardo e cingono il visitatore in un abbraccio purificatore e rassicurante.

Le tombe realizzate da abili mani in periodo Romantico sono di eccezionale bellezza, i marmi bianchi risplendono sotto il sole cocente, le lucertole si spostano velocemente tra le foglie d’edera al suono del passo leggero che incede sulla terra, mentre nell’aria si sente il profumo dolce delle rose e quello pepato del legno di cipresso. Un angelo tiene in mano una corona di alloro, due angioletti sono intenti a leggere delle preghiere su un cartiglio mentre una donna anziana abbandona la nuca sulla tremolante mano. Le vesti cadono morbide sullo scheletro della Morte bendata che è intenta a falciare un mazzo di gigli, mentre il simbolo dell’uroboro campeggia su un’urna sferica.

Sulle lapidi si scorgono nomi antichi e importanti, preghiere e lodi di uomini che vissero in un tempo lontano e che lì hanno trovato la pace eterna, tra questi lo scrittore Jean Pierre Vieusseux, la poetessa inglese Elisabeth Barret Browning, la cui bellissima tomba è stata disegnata da Frederic Leightoin, e quella del poeta Walter Savage Landor. Ovunque si leggono simboli di morte e resurrezione: su una tomba vi è una corona di alloro, una pianta sempreverde che nell’iconografia cimiteriale di solito è legata al concetto d’immortalità, rappresenta la gloria e il trionfo e talune volte anche la purezza fisica e spirituale. Ancor più frequente è l’ancora, simbolo di fermezza di spirito e di fede, mentre l’incessante trascorrere del tempo è trasfigurato nella clessidra.

Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

Il Cimitero degli Inglesi è un luogo incantevole, un’isola di pace, che non a caso si dice sia stato d’ispirazione per il celebre dipinto L’isola dei morti di Arnold Böcklin, il quale aveva sepolto qui l’adorata figlia Mary, morta in tenera età.

Immersa in questa pace, il mio pensiero corre, la mente vaga e scaturiscono profonde riflessioni sui sogni ancora mai realizzati e sui desideri reconditi, ma sorgono anche paure e timori di un futuro incerto. Ferma, all’apice del monticciolo, mi torna in mente quella bellissima poesia che è La Collina di Edgar Lee Masters, perché proprio lì poeti, artisti, filosofi, scrittori e scultori eternamente dormono su quella collina a ricordarci di vivere il nostro fugace tempo della vita prima che sia ormai troppo tardi per sognare e vivere intensamente.

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Cimitero degli Inglesi. ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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