Ernest Hemingway – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Sun, 14 Feb 2021 15:40:32 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Strade principali e vie secondarie https://www.cultmag.it/2021/02/12/strada-principale-e-vie-secondarie/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2021/02/12/strada-principale-e-vie-secondarie/#respond Fri, 12 Feb 2021 08:26:55 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6745 Io ero la piccola, Lei la grande. Ci passavamo diciassette mesi di differenza e credevo che non mi avrebbe mai lasciata. Ho avuto una sorella ma, a soli 26 anni, mi è stata strappata via da un mostro famelico.

Se dovessi scrivere un romanzo sulla nostra storia, questo sarebbe l’inizio.

Scriverne non è mai stato facile, nonostante io l’abbia fatto regolarmente, a partire dal 12 marzo di quell’anno maledetto.

Il motivo? Trovare una via di uscita al dolore che mi stava annientando, prima a causa della malattia, poi per la sua assenza.

Ernest Hemingway ha scritto: “non c’è nulla di difficile nella scrittura. Tutto ciò che fai è sederti alla macchina da scrivere e sanguinare”.

Così è! Chi parla di sé, qualunque sia il mezzo di scrittura, “sanguina”!

In questi giorni nel mio personale “museo della memoria” ha fatto la sua comparsa il fotografo Settimio Benedusi con il progetto ES_SENZA del 2015.

Un lavoro che inizia con un autoritratto realizzato dal fotografo poco prima di andare alla messa commemorativa in suffragio del padre, morto otto anni prima.

Ritrattosi insieme alla madre Renza, i due soggetti, metaforicamente “nudi” di fronte ai nostri occhi, affrontano l’assenza; una dualità, questa tra presenza/assenza, che viene vissuta costantemente da coloro che hanno perso la persona amata.

Evidentemente sentita anche dallo stesso Benedusi, la cui fotografia, nata da un’esigenza di espressione personale, si è tradotta in una solida riflessione concettuale.

Settimio Benedusi, ES_SENZA, 2015 ©Settimio Benedusi

Quando qualcuno ci lascia si è ossessionati dalle sue fotografie e Benedusi non è da meno, ma lui non si limita a osservare le immagini con nostalgia o con photos, direbbero i greci, ma le estrapola dall’album di famiglia e le modifica con photoshop, cancellando la figura del padre, prefigurando il luttuoso evento e la solitudine da esso derivata.

Diversi tipi di “scrittura” ci portano a un unico fine: sondare il proprio passato e le proprie emozioni; guardarle in faccia senza aver paura. Sanguinare e reagire.

Il mio cammino è iniziato sette anni fa e dopo il primo scritto, letto in chiesa dalla voce spezzata di mia madre, sprofondai nel divano di casa attanagliando la mente con mille domande.

A un anno di distanza confesso di aver imparato a pronunciare la parola morte; una piccola bugia detta a me stessa probabilmente per sopravvivere alla perdita.

Rivivevo i nostri ricordi d’infanzia e pian piano riaffioravano quelli felici, dimenticando progressivamente la malattia.

Nel giorno del suo 31° compleanno, capivo di essermi smarrita nuovamente e mi appellavo alla sua sicurezza per ritrovare la via da percorrere.

Cercare Lei insistentemente mi ha portata a smarrirmi. Non si può essere un’altra persona, men che meno cancellare il passato, ma questo lo si può riscrivere; il che non vuol dire falsarlo, ma semplicemente cercare di comprenderne lo svolgimento, stando attenti a non rifugiarsi in esso troppo a lungo, perché si rischia di cadere in un oblio profondo, come è accaduto a me.

Che non fosse ancora tutto lineare nel mio percorso, risulta chiaro dallo scritto quattro anni senza te…, quando riemergeva in me la paura della malattia e cinque anni dopo mi sentivo impaurita come una moleca senza guscio.

Probabilmente Freud avrebbe definito questo ripresentarsi degli eventi traumatici una “coazione a ripetere” che mi ha impedito di prendere coscienza con trasparenza della situazione e che evidentemente mi destabilizzava.

Settimio Benedusi, ES_SENZA, 2015 ©Settimio Benedusi

Così, sei anni dopo, facevo di nuovo i conti con la malattia, motivo che mi ha convinta a pubblicare le uniche fotografie superstiti del nostro ultimo anno insieme.

L’energia liberata in tutti questi anni mi aveva stimolata e desideravo mettere ordine al caos; un lavoro che si è svolto in modo lento e graduale, con tanto dispendio di energia fisica e mentale.

Così l’anno scorso, di fronte al tappeto blue di Yves Klein al MAMAC di Nizza, capivo che era ormai giunto il tempo di iniziare a rileggere ciò che avevo scritto.

In questi anni più scrivevo e più “sanguinavo”, ma al tempo stesso più cercavo di rielaborare verbalmente e grammaticalmente le frasi sconnesse e troppo viscerali, più la comprensione giungeva, trovando quel distacco dall’emotività totalizzante e autodistruttiva. Un distacco tra l’Io narrante e l’Io vivente che altro non è che un modo per sopravvivere ai propri pensieri con lucidità, cercando di far cadere ogni maschera e illusione.

Nell’ultimo anno credo di aver preso coscienza sulla meta da raggiungere, dico “credo” perché ancora mi trovo nelle vie secondarie alla ricerca della via maestra da percorrere con sicurezza. Sento che non è ancora il momento di scrivere la parola fine al racconto del mio passato; ma ci siamo quasi.

Prima o poi, arriverà il momento in cui godere a piene mani dei piccoli momenti di felicità. Forse è una vana speranza, forse mi sentirò per sempre a metà. Queste sono altre domande destinate a restare senza risposta… ma il fatto che ormai io non me le ponga più con tanta insistenza, qualcosa vorrà dire.

Persa tra mille ricordi, parole e fotografie, ecco che anche oggi mi sono ritrovata nel mio Museo, rifugio e salvezza dell’anima.

Mari, sempre nel mio cuore: mia carezza, mia forza, mio coraggio. Come ogni anno, stasera brinderò a te mia dolce sister.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.
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Quattro anni senza te… https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#comments Mon, 12 Feb 2018 15:04:18 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5423 Ernest Hemingway scriveva: «oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni dipende da quello che farai tu oggi».

Questa frase, pronunciata con parole e da persone diverse, ultimamente mi è stata detta molto di frequente. E’ difficile mettere in pratica il concetto espresso in queste poche righe perché è connotato da una coraggiosa voglia di esistenza. Vuol dire afferrare la propria vita a denti stretti e farla volgere al meglio in modo cosciente e consapevole.

A me questa consapevolezza e questo coraggio molto spesso mancano, mi crogiolo nei ricordi e nei pensieri… vago, osservo, ascolto, provo a cambiare le cose ma poi basta un intoppo per tornare al mio bicchiere sempre mezzo vuoto.

Ultimamente ho deciso di prendere una pausa da tutto ciò che era la mia vita di prima, dalle mie certezze e dalle mie insicurezze. Sto cercando di affrontare il mondo “da sola” e ho deciso di farlo cambiando le carte in tavola quasi all’improvviso. Ho preso delle decisioni che stanno avendo delle conseguenze – sopratutto sul mio sonno, visto che ormai dormire è diventata un’impresa non da poco – ma ho deciso di farlo lo stesso. Non so se queste mi porteranno ad una realtà più consapevole, ma semplicemente dentro di me ho sentito che era giunto il momento, perché se si ha paura della solitudine non si avrà mai la lucidità per poter stare bene con gli altri.

Un giorno leggendo Se il sole muore di Oriana Fallaci ho ritrovato le sensazioni che stavo provando: «sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa […] Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi».

Leggendo questa frase mi sono detta: ecco un’altra persona che sa come vivere. Alcune volte mi chiedo come si possa raggiungere questa consapevolezza… Se c’e un qualche libro rivelatore di cui non sono a conoscenza, una poesia o una musica che da avvio al tuo cambiamento facendoti acquisire concretezza. Cosa fa dire “eccomi, sono al mondo e sto bene!”?

Le domande che la Fallaci pone mi hanno spaventata perché mi sono resa conto di essere titubante, di cercare amore e di aver paura di riceverlo e ormai, alla soglia dei trent’anni, è ora di fare i conti con il mio dolore ma anche con le mie gioie e le mie insicurezze.

Oggi è il 12 febbraio 2018. Sono passati quattro anni  da quel maledetto giorno e da allora sono successe così tante cose che mi sembra essere passata una vita intera.

Non so dire cosa sia cambiato effettivamente e non posso neanche dire che il dolore sia meno intenso: in alcuni giorni si sente un male lancinante che ti scuote e che non comprendi. Senti che la solitudine si impossessa di te lentamente e poi esplode all’improvviso.

Ricordo Mari quanto era meravigliosa, ricordo il suo sorriso e il suo modo di prendermi in giro. Ricordo che era bellissima e sicura di sé. Ricordo che in alcuni momenti mi faceva incavolare tantissimo, e che io facevo incavolare lei, tanto da non parlarmi per giorni interi.

Oggi scrivere è difficile, sarà la pioggia, saranno gli impegni della giornata, ma faccio fatica a pensare, o meglio, a ricordare. Allora ho preso il mio diario di quei giorni ormai lontani. Un diario che spezza il cuore, perché in quei momenti non ho avuto la lucidità di filtrare i miei pensieri e ho descritto minuziosamente ogni apparizione giornaliera di quel maledetto mostro sul suo corpo.

Vi risparmio questa lettura perché penso che non faccia bene a nessuno, ma ciò di cui mi stupisco è la lucidità della perdita che non ricordavo assolutamente di avere: il 14 novembre 2013 «io e Mari abbiamo fatto una bella passeggiata sul lungomare, abbiamo scherzato tanto e parlato. Lei è molto tenera. Alterna momenti di tristezza a momenti di grinta».

Il 15 novembre è stato un giorno positivo «abbiamo guardato Ritorno al futuro […] Nel pomeriggio Mari si è levata quella maledetta tuta e finalmente è tornata splendete e impeccabile come una volta. Sempre sui tacchi, sempre perfetta mentre mamma è in cucina che prepara la pizza». Durante lo stesso giorno annotavo: «non riesco a non pensare che lei non sarà lì a sostenermi quando starò male, a gioire quando sarò felice. Rimarrò senza Lei che per tutta la vita ho imitato e amato più di ogni altra cosa. Cerco di non pensarci ma non ci riesco e l’unica cosa che spero ogni notte prima di addormentarmi è che lei si svegli bella, grintosa e sorridente come pochi mesi fa». Lo scritto prosegue con note “tecniche”: «eliminare la puntura di cortisone. Introdurre deltacortene e diminuire keppra di uno (siamo a quattro). V giorno di Themodal».

Da questo scritto mi sono resa conto che dopo quattro anni non ricordo più i nomi dei medicinali, eppure li conoscevo come mamma ricorda a memoria le preghiere del suo rosario… le bisbigliavo ogni attimo e le annotavo minuziosamente sul quadernino delle medicine, con tutti i vari parametri.

…arriviamo al 9 dicembre. Era un lunedì soleggiato e la mia mente era attanagliata da mille domande: «raccontare le proprie storie di vita, le proprie gioie e i propri malanni… a cosa serve? Forse serve a qualcuno che è nella tua stessa condizione? Forse serve a dare la carica a chi sta meglio e alcune volte perde il coraggio di vivere? Forse serve solo a me. Mari deve fare la risonanza e al momento è dentro. Lei è sempre più confusa. Il glioblastoma è una bestia nera, io cerco informazioni su cosa accadrà. Mi sembra di non darle nessun aiuto. Parlo con le persone che hanno il suo stesso male: la signora che ho incontrato oggi ha 65 anni e anche lei ha un tumore al cervello. Prende soldesam, keppra, etc. ma i dosaggi sono minori, molto più bassi rispetto a quelli di Mari […] Rimane la speranza di un risultato positivo… Ma so che non sarà così… Ho paura delle posate che cadono dalle sue mani e dei bicchieri versati».

Direi che posso conclude qui con i ricordi e torniamo al presente e alla bellissima scoperta che mi ha fatto fare Vittoria proprio in questi giorni: il Questionario di Proust – un test molto interessante per cercare di comprendere qualcosina in più della propria persona. Una delle domande è:

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Non so bene quale sia la mia risposta definitiva ma il mio primo pensiero è stato “poter tornare indietro nel tempo”, riabbracciare Mari e vivere nuovamente quell’ultima passeggiata insieme sul lungomare di Gioiosa, perché ora sono consapevole del fatto che sarebbe stata la nostra ultima camminata insieme. Una passeggiata di cui ricordo ogni attimo, le foto fatte quel giorno, i manifesti strappati del circo vicino al vecchio passaggio a livello, la lumaca in fondo al lungomare, l’asfalto bagnato e lei che mi dice: «Cla andiamo a casa, sono stanca». Siamo state bene. Eravamo semplicemente io e lei.

Sò che “l’essere felice a piene mani” mi è stato strappato quel giorno, sono consapevole di questo, ma credo anche che in questa vita ci possa essere altro. Tempo fa ho osservato le stelle: si osservano ogni sera, ma non le ricordavo così belle e splendenti, forse perché era da tanto tempo che non mi prendevo un attimo per stare immersa nel buio di una montagna ad osservare il cielo. Ciò che ho capito quella sera è che posso ancora sorprendermi. Osservare delle semplici stelle e scoprire che brillano e palpitano come mille cuori, ognuna diversa dall’altra, qualcuna in modo più flebile, altre in modo più intenso.

Il mio sogno di felicità?

Potrebbero essere delle stelle, potrebbe essere un abbraccio, potrebbe essere un sorriso sulla porta, un aperitivo con le amiche, delle olive mangiate con Mattia a Milano, mille risate con Vitto e Mauri in galleria per figuracce colossali, un medico gentile di cui ti fidi che ti da una buona notizia e ti dimentichi di pagare perché vivi sulle nuvole, oppure potrebbero essere tutte queste cose insieme. Forse il mio sogno di felicità potrebbe consistere nel trovare il coraggio, che gli altri dicono di vedere in me, ma che io non riesco a scorgere; forse il sogno consiste nel credere che la “felicità” possa realmente esistere e che questa non si manifesti sorridendo, ma credere che prima o poi potrai rifarlo senza avere paura.

***

Questionario di Proust:

Qual è, per lei, la più grande disgrazia?

Dove le piacerebbe vivere?

Qual è il suo ideale di felicità sulla terra?

Quali colpe le ispirino maggiore indulgenza?

Chi sono i suoi registi preferiti?

Chi sono i suoi pittori preferiti?

Chi sono i suoi compositori preferiti?

Che qualità apprezza in un uomo?

Che qualità apprezza in una donna?

Quali sport pratica?

Sarebbe capace di uccidere qualcuno?

Qual è la sua occupazione preferita?

Chi le sarebbe piaciuto essere?

Qual è il tratto principale del suo carattere?

Cosa apprezza di più negli amici?

Qual è il suo difetto principale?

Qual è la prima cosa che l’attrae in una donna?

Qual è il suo colore preferito?

Qual è il suo fiore preferito?

Chi sono i suoi autori preferiti in prosa?

Chi sono i suoi poeti preferiti?

Chi sono i suoi eroi nella vita reale?

Quali sono i suoi nomi preferiti?

Cosa detesta più di tutto?

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Crede all’immortalità dell’anima?

Come vorrebbe morire?

Qual è lo stato attuale del suo animo?

***

 

Testo e vita di ©Claudia Stritof
Immagine di copertina ©SASHA IGNATIADOU.
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"L’unica maniera per realizzare i propri sogni è svegliarsi" https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#respond Sat, 20 Dec 2014 16:51:50 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1476 C’e chi rimanda la sveglia per oltre un’ora. Chi si alza subito e prepara il caffè. Chi legge le notizie del giorno sotto le coperte. Chi fa l’amore. Chi accende la televisione. Chi ascolta la radio. Chi inizia a parlare con il proprio compagno o la propria famiglia. Chi è muto e scontroso per molte ore. Tutti noi abbiamo i nostri rituali la mattina appena svegli e li svolgiamo meticolosamente per iniziare bene la giornata.

Io sono una mattiniera, in periodi di maggior produttività mi capita di svegliarmi anche alle 4:30, il perché non lo so, ma svegliarmi presto, mi rilassa, mi fa riflettere senza sentir nessun rumore intorno o il cellulare che squilla. Quando vivevo a Firenze abitavo al quarto piano e la mattina era mia abitudine dirigermi verso la cucina, preparare il caffè e tornare in camera con la tazzina piena. La scrivania era davanti alla finestra e mentre bevevo il caffè osservavo le molte finestre di fronte.

Photo-by-Otto

Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922).

Una signora era già in piedi, prendeva il caffè in cucina poi andava nel salotto. Alle 6.30 si accendevano le luci della coppia che abitava al piano di sotto e una alla volta tutte le finestre del palazzo si illuminavano. Pian piano i suoni aumentavano, iniziavano a passare tram con più frequenza e la città si animava. Quel mio osservare, capire le abitudini o gli orari era un modo per cercare di comprendere le persone o semplicemente immaginare cosa loro potessero fare in quel dato momento.

Cercando delle fotografie sull’argomento in realtà mi sono imbattuta nel libro di Mason Currey, «Daily Rituals» (Rituali quotidiani), uscito nel 2013 in cui racconta come grandi artisti, scrittori e personaggi affrontavano la loro giornata di lavoro, dall’alzataccia mattutina all’andare a dormire.

Molti sono gli artisti che prediligono alzarsi presto la mattina: Mozart, l’architetto Frank Lloyd Wright e Georgia O’Keeffe, solo per citarne alcuni, spinti da varie ragioni come la possibilità di scrivere indisturbati, oppure perché  ispirati e con la mente libera dai pensieri o approfittare delle prime ore del mattino prima che la famiglia si svegli.

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Hemingway era uno di questi, nonostante le sue notti fossero dedite alla svago e all’alcol, si svegliava verso le 5:30, preparava la sua tazza di caffè e iniziava a scrivere immerso nella solitudine della sua stanza. Anche Beethoven si svegliava molto presto, lo immagino in vestaglia e pantofole mentre si avvicina alla cucina e prepara il suo caffè contando i chicchi (dovevano essere 60 per una tazza), iniziando poi a comporre. Dopo un po’ di ore interrompeva il lavoro e passeggiava per tutto il pomeriggio, non andando mai a dormire più tardi delle 22:00. Gustav Mahler, invece, era uno di quei tipi scorbutici la mattina, si svegliava alle 6:00 anche quando era in vacanza; Thomas Mann a differenza si alzava tutti i giorni alle 8:00, preparava il caffè dopo mezz’ora e faceva colazione con la moglie. Anche Jane Austen preparava la colazione per la famiglia alle 9:00, non prima però di aver suonato il pianoforte. Mentre Haruki Murakami, quando è in fase di stesura di un romanzo si sveglia puntualmente alle 4:00.

Sylvia Plath cercava disperatamente una routine stabile conciliando creatività e vita familiare, soprattutto dopo il divorzio con il marito Ted Hughes. Sveglia verso le 5:00 per scrivere indisturbata mentre i figli dormivano, poi preparava la colazione, svegliava i bambini e così iniziava la giornata.

Un colpo di pistola sparato dal vicino di casa svegliava molto presto Victor Hugo all’alba, il caffè gli veniva portato dalla sua amante Juliette Drouet, sua vicina di casa. Mangiava due uova crude e subito dopo iniziava a scrivere. L’architetto Le Corbusier si svegliava alle 6:00 per svolgere i suoi 45 min. di ginnastica.

Poi ci sono coloro che si svegliavano a metà mattina come Scott Fitzgerald che si alzava alle 11:00 e allo stesso orario si alzava David Foster Wallace. Gustave Flaubert invece si svegliava solo un’ora prima, batteva al soffitto per chiamare la madre che scendeva al piano inferiore e chiacchierava con lui per un po’ di tempo.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Proust si svegliava tardissimo, tra le 15:00 e le 18:00. Il suo era un rituale molto particolare perché si racconta che era solito fare prima una tiratina di oppio per curare l’asma di cui soffriva, nel frattempo preparava il caffè e mangiava il suo buon croissant, per poi iniziare a scrivere nella stanza insonorizzata con il sughero. Ma abitudini particolari caratterizzavano anche Benjamin Franklin che sedeva nudo accanto alla finestra per un po’ di tempo in completo relax, infine Honoré de Balzac che dormiva poco, si sa che beveva circa 50 tazze al giorno di caffè per restare sveglio. Si svegliava all’una di notte e scriveva per tutta la notte. Genio e sgregolatezza… ognuno di noi ha abitudini diverse nello svegliarsi. Ma l’importante è farlo… e per concludere cito Antonio Machado Ruiz, pittore e scrittore spagnolo:

“Dopo il vivere e il sognare, ecco ciò che più conta: il risveglio”.

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f012-1

Hermann Hesse con Thomas Mann, St. Moritz, 1932.

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Tabella Routines.

Tabella Routines.

 

 

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