freud – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Thu, 30 Aug 2018 09:56:54 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Il tempo per dirsi addio https://www.cultmag.it/2018/08/30/addio/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/08/30/addio/#respond Thu, 30 Aug 2018 08:09:48 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5632 Quando si vivono momenti di tristezza non si riesce a controllare il proprio pensiero razionalmente, ma ci si sente bloccati, come se ci si trovasse a vagare in un girone dell’inferno senza una via d’uscita.
Capita che la mente si ritrovi come sotto un lento attacco ipocondriaco “da passato riemerso” e che presa alla sprovvista non sappia gestire la situazione.
Questi giorni sono stati densi, inaspettati e totalizzanti poiché mi sono trovata ancora una volta ad osservare il dolore nel volto delle persone che mi circondavano e condividerlo con loro.
I racconti ascoltati, le paure, l’angoscia e l’incertezza di chi rimane è familiare a chi ha già sperimentato il senso profondo della perdita… Eppure quando pensi di essere uscita indenne da certi pensieri e certi “ricordi tristi”, ecco che all’improvviso questi riemergono e ti ritrovi ad essere impaurita da tutto ciò che ti sta accanto.
La paura di perdere le persone che ami da un momento all’altro senza poter far nulla, la paura di star male, la paura di veder soffrire chi vuoi bene, la paura di un domani incerto e degli avvenimenti incontrollabili.
Esistono delle “recidive di dolore” che nascono dalla sofferenza altrui, ma questo è un dolore diverso rispetto a quello vissuto in prima persona. Non è la tristezza quotidiana, né quello intenso dell’ultimo bacio, ma è altro per forma e contenuto emotivo.
Un intreccio di malinconia e dispiacere unito alla paura delle sensazioni provate in passato e ora riecheggiate dalla nuova perdita. Freud lo chiamava il “ritorno del rimosso”: un ricordo riemerso da un oblio profondo, che con tanta fatica si è cercato di dimenticare ma che per un evento consimile è riemerso con tutta la sua carica perturbante.
Questo non si manifesta immediatamente, perché la voglia di stare accanto a chi vuoi bene prevale, ma qualcosa dentro di te si smuove e quando si rimane soli i pensieri iniziano a prendere forma nei meandri oscuri della mente.

In questi giorni mi sono chiesta più volte cosa sia il tempo…

Il “tempo quotidiano” che ti insegna pian piano a far pace con te stessa, quello del tragitto per arrivare sul luogo di lavoro, quello passato tra gli scaffali del supermercato.

Il “tempo lento” delle ore interminabili prima di un esame, del viaggio verso casa, della notte passata in ospedale al capezzale della persona a cui si vuole bene, e infine, il “tempo fulmineo” delle ore passate piacevolmente a chiacchierare, delle cene in famiglia o delle serate con gli amici.
Il tempo è vissuto sempre con soggettività, a tratti veloce, a tratti interminabile: è questo il vero paradosso, il suo essere sempre in eccesso o in difetto, quando ad essere messi in gioco sono sentimenti importanti della propria vita.

Più che il tempo “quotidiano” o il tempo “eterno”, mi piace pensare al tempo cairologico, al momento giusto, opportuno, quel momento che noi giudichiamo essere speciale per una qualche ragione.
Non un tempo quantitativo, come successione di istanti ed eventi, ma una qualità della vita e dei sentimenti che, in positivo o in negativo, rimangono dentro di sé andando a costituire la nostra vera essenza.
Proust, in quel gran capolavoro che è La recherche, scriveva: «troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso», ed è esattamente così.
I nostri ricordi, nettare vitale dell’esistenza, quando riemergono possono far sorgere una moltitudine di sensazioni, dal sorriso sulle labbra alle lacrime negli occhi e, ahimè, in questi giorni sono riemerse le lacrime…

Mario. Un omino magro, con il cappello in testa e il papillon al collo. Un omino simpatico, che era anche un uomo grande e forte, anche se dal fisico gracile e mingherlino.
Silvana. Una signora d’altri tempi, sempre con i tacchetti, i capelli ben curati e i vestiti eleganti. Anche lei era gracilina, soprattutto in questo ultimo periodo. Erano entrambi due lottatori. Entrambi hanno vinto importanti battaglie ma soprattutto le hanno combattute. Due vite vissute pienamente. Due vite scomparse improvvisamente a poche ore di distanza l’una dall’altra.

Il tempo della trista mietitrice, in questo caso, è stato fulmineo, al contrario di quello da me vissuto tramite i ricordi negli ultimi giorni. Un tempo fatto dal ricordo delle ore trascorse insieme, di discorsi densi, di abbracci dati e di risate.

Dopo questo scritto, lento e ponderato, le paure aleggiano ancora su di me ma in forma più lieve… ciò che ho cercato di fare è cambiare il punto di vista, un pò come ci mostra Anselm Kiefer nel suo Sol Invictus. Certamente l’artista ci fa vedere la caducità della vita e la fragilità dell’esistenza, ma non per farci esperire la mera morte del corpo, ma la rinascita e la rigenerazione dell’uomo.
Il girasole, con il suo capo reclinato in maestoso silenzio sul corpo celebra l’ultimo triste commiato alla transitorietà e sottrae l’uomo – così come allo stesso modo fanno i nostri ricordi – all’ineluttabile passare del tempo sublimandolo eternamente all’ordine universale.
«Il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano il tempo è eternità», non ricordo dove ho letto questa frase, causa la mia passione sfrenata per i post-it, ma il succo è questo, quello che si dovrebbe fare è solo amare il proprio tempo perché altro non significa che vivere la propria vita intensamente e liberamente, assaporandone la vera essenza circondandoci delle persone a noi care.

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Anselm Kiefer, Sol Invictus, 1995.

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Testo e vita di ©Claudia Stritof
Immagine di copertina @Anselm Kiefer, The Orders of the Night, 1996.
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Il risveglio piangente https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#respond Fri, 01 Dec 2017 19:47:20 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5301 Premessa: questo scritto è nato da una fotografia, che a sua volta è nata da un sogno e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni per tutta questa giornata che sta per concludersi.

In alcuni giorni si sente un male lancinante dentro, un male che ti fa sospirare e che ti fa scuotere qualcosa che non sai come far tacere… sei semplicemente inquieta.

Non sono ancora passati quattro anni da quando Mari non c’e più e “quel qualcosa” che cerchi di nascondere ogni tanto emerge quando meno te lo aspetti. Se questo insorge come pensiero durante la giornata allora il risultato saranno tanti ricordi e sospiri, ma se questo emerge nel sogno allora vorrà dire che la tua giornata sarà inevitabilmente segnata dal ricordo di una sensazione pseudo-fisica, che illusoriamente ti fa pensare di aver abbracciato di nuovo tua sorella. Un misto di beltà e follia.

Con l’Ipod fermo al 2006 allora ho deciso di non bloccarmi e… scrivere di getto con la foto già ben stampata nella mente. E’ un oggetto che ho già fotografato ma che per me  è di inestimabile valore perché rappresenta Lei: la sua guancia, il suo rossetto impresso nella plastica, il suo naso… in poche parole il suo volto.

Questa notte ho sognato Mari, mi capita molto di rado, ma quando accade – per quanto possa essere doloroso – mi fa stare bene al punto da non volermi svegliare più. Puntualmente questo accade quando le emozioni che sto provando diventano troppo forti… e questo comporta il più delle volte il “risveglio da ciangiulina”.

Come spesso accade con i voli pindarici che si fanno durante i sogni, improvvisamente dalla casa di Bologna mi sono ritrovata catapultata a Gioiosa. La giornata è tempestosa, salgo in casa e mia nonna mi dice: «mamma e Mari sono a casa di Isa».

Attraverso il giardino e m’incammino nella strada buia, intorno a me nessun rumore, solo l’infrangersi delle onde sul muro del lungomare. Una persona per pochi istanti mi segue ma mentre cerco di voltarmi per guardarla le strane ciabatte che porto ai piedi mi cadono. Noncurante le prendo in mano e inizio a correre. L’appartamento di Isa è diverso e subito vedo mamma e Mari. Corro verso di lei senza pensarci e la abbraccio.

Mari non è la stessa: è un pò fredda, triste e rallentata nei movimenti… e ad un certo punto mi dice: «Ah, ma che bel giubbottino stretto che hai… finalmente non ti vesti più come una zingarella». Mentre saluto mamma, Mari mi porge una piccola scatola contenente all’interno dei top con una grande cucitura sul lato e afferma: «Cla dobbiamo attaccare il vetro dell’oculista nella parte retrostante». Io le rispondo: «certo Mari, li faremo tutti… non ti lascio più».

Esattamente in questo preciso momento mi sveglio!

Non credo che sogni e frasi sconnesse possano interessare a qualcuno, ma ciò che mi preme ricordare è quell’abbraccio: intenso, lungo, evanescente. Un abbraccio che mi ha stretto il cuore fino quasi a farlo esplodere di immensa gioia e di immenso dolore tanto da farmi svegliare alle 3 di notte in lacrime.

Credo sia normale ogni tanto svegliarsi piangendo, a me capita, e incuriosita sono  andata a leggere un pò di commenti sull’argomento. Uno di questi dice: «i sogni dicono sempre qualcosa di sé […] svegliarsi piangendo è quello che rende la sensazione avvertita nel sogno verosimile e poi reale, per cui sicuramente ti lascia un vissuto di tristezza. Talora i sogni ci aiutano a parlare con noi stessi circa eventi o situazioni che viviamo che ci condizionano e talvolta anche indirettamente viviamo […] I sogni […] certamente hanno importanza, se al risveglio ancora ne vivi le conseguenze». Beh, su quest’ultimo punto direi che è decisamente vero. I sogni sono parte di me, parte della mia vita, parte del mio passato e parte di ciò che ho perso… ed è anche l’unico modo per poterlo riottenere per pochi fugaci istanti. Dopotutto non credo che una piccola lacrima abbia mai fatto male a nessuno e infatti come ha scritto Bachelard «noi soffriamo per i sogni» ma è proprio grazie ad essi che noi «guariamo». Questo perché ci regalano la possibilità di poter riassaporare un ricordo che nel sogno ha tutta la consistenza della vita reale. Attimi inafferrabili, sensazioni che presto verranno dimenticate ma che per un momento sono state fugacemente reali.

Day 335 Il risveglio piangente. Bologna, 1 dicembre 2017.
L’immagine di oggi è nata da un sogno, che a sua volta ha dato vita ad uno scritto e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni

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Immagine di copertina ©Clément Lefèvre.

Testo e vita di ©Claudia Stritof.

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