juliet art magazine – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Wed, 18 Mar 2020 08:33:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Charlie Chaplin. Genio danzante https://www.cultmag.it/2017/03/18/charlie-chaplin-genio-danzante/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/03/18/charlie-chaplin-genio-danzante/#respond Fri, 17 Mar 2017 23:25:17 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4580 Un uomo con la bombetta in testa e il bastone di bambù cammina di spalle su una strada polverosa come un vero gentiluomo inglese, ma nel suo modo di atteggiarsi, nella sua giacchetta troppo stretta, nelle scarpe e nei pantaloni molto grandi si nota qualcosa di dissonante.

È un uomo povero, un vagabondo… in poche parole è Charlot, celebre alter ego di Charlie Chaplin.

Indimenticabile nelle sue gag, Chaplin è stato – e continua a essere -un’icona del cinema e simbolo universale dell’uomo buono che nonostante le avversità della vita continua a lottare con il sorriso sulle labbra e la dolcezza nel cuore.

Lo psicologo Steven Weissman ha detto: “le persone che hanno avuto un’infanzia molto infelice, da adulti possono diventare persone distruttive o di straordinario talento” e senza ombra di dubbio Chaplin è diventato un’artista a tutto tondo come pochi nella storia della cinematografia.

Durante una pausa di The Kid, 1921. ©Roy Export Company Est._S.A.S. Digitalizzazione Cineteca di Bologna.

Charles Spencer Chaplin nasce il 16 aprile 1889 in un sobborgo povero di Londra. La sua è un’infanzia difficile, segnata dall’abbandono del padre e della grave malattia psicologica della madre, rinchiusa in un manicomio mentre i due fratelli, Sydney e Charlie, crescono in un istituto per bambini indigenti.

Il riscatto avviene quando Sydney – fratello più grande di  quattro anni – inizia a muovere i primi passi nel mondo del music hall portando con sé anche il fratello minore che debutta con gli Eight Lancashire Lads, una famosa compagnia che riuniva otto bambini dotati di grande talento.

Le cose cambiano quando Sidney viene ingaggiato da Fred Karno – all’epoca uno dei più grandi impresari teatrali – il quale lo convince a prendere in prova anche Charlie, che non si lascia sfuggire l’occasione e subito si fa notare per le sue grandi doti artistiche, diventando in breve tempo la punta di diamante della compagnia di Karno.

Durante una delle tournée americane Chaplin viene notato da Mack Sennett che lo convince a firmare un contratto per la sua casa di produzione cinematografica, la Keystone. Con Sennett, Chaplin inizia la sua formazione da attore per il grande schermo realizzando numerose commedie slapstick, caratterizzate da una sequenza ininterrotta di gag accidentali che danno vita a inseguimenti esilaranti, ed è proprio in questo periodo che Charlie inizia a costruire il suo celebre personaggio The Tramp.

Dopo una collaborazione con la Essanay, Chaplin firma il contratto con la Mutual Film che da carta bianca all’artista, il quale inizia a realizzare film più impegnati e di durata più lunga, fino al 1919 quando insieme a Douglas Fairbanks, Mary Pickford e D. W. Griffith fondano la celebre United Artist.

Da Sunnyside, 1918-19. ©Roy Export Company Est._S.A.S. Digitalizzazione Cineteca di Bologna.

È riduttivo definire Charlie Chaplin un comico, certamente agli inizi lo è stato,  ma con grande caparbietà e con il duro lavoro ha raggiunto la fama internazionale in tempi in cui il cinema muoveva i suoi primi passi.

Chaplin è stato non solo un attore ma anche regista, sceneggiatore, produttore e ballerino. Non è un caso che mille volte sugli schermi abbiamo visto Charlot ballare per strada, nei locali e nei bar, volteggiare come una libellula sui pattini e fare improbabili spaccate, un legame il suo con la danza che non è mai venuto meno e che è stato anche molto apprezzato dal famoso ballerino russo Vaslav Nijinsky.

Nel 2017 la mostra Charlie Chaplin. Genio danzante, presso il MUSAM – Museo del Giocattolo e del bambino di Ancona, ideata da Simona Lisi e dal Festival Cinematica, in collaborazione con l’Association Chaplin/Roy Export e la Cineteca di Bologna, oltre a ripercorre alcuni momenti essenziali della vita professionale di Chaplin, celebrava l’importante legame tra l’attore e il ballerino russo perché “non solo Charlot si cimenta spesso in passi di danza” ma “Charlie Chaplin ama i danzatori e ne rispetta il lavoro, coreografa le scene di danza dei suoi film dando indicazioni precisissime” agli attori.

Assolutamente fondamentale per ripercorrere l’opera del grande artistica è il sito Charlie Chaplin Archive, dove è presente il catalogo on-line contenente «l’intero archivio professionale e personale di Charles Chaplin scrupolosamente conservato negli anni, dagli esordi sui palcoscenici del music-hall inglese agli ultimi giorni della sua vita in Svizzera». Oltre 75 anni di documenti manoscritti e dattiloscritti, fotografie e ritagli stampa ripercorrono la carriera del più universale tra i cineasti, gettando nuova luce sulla sua carriera, la sua vita, ma soprattutto sul suo metodo di lavoro.

Quella di Charlie Chaplin è stata una carriera lunga e duratura, costellata da molti successi ma anche da profonde sofferenze che ne hanno temprato il carattere e che lo hanno portato ad assurgere all’Olimpo della cinematografia. Dopo tutto come disse Calvero in Luci della Ribalta: “il tempo è un grande autore: trova sempre il perfetto finale” e Chaplin, con le sue movenze scattanti e frenetiche, con il suo sguardo dolce e innocente ha regalato e continua a regalare emozioni senza tempo.

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Testo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine online (23/02/2017)

Durante una pausa di The Kid, 1921. ©Roy Export Company Est._S.A.S. Digitalizzazione Cineteca di Bologna.

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Berenice Abbott. Topografie https://www.cultmag.it/2017/02/23/berenice-abbott-topografie/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/02/23/berenice-abbott-topografie/#respond Thu, 23 Feb 2017 20:51:36 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4530 “Innanzitutto definiamo cosa non è una fotografia. Una fotografia non è un dipinto, una poesia, una sinfonia, una danza. Non è solo una bella immagine, non un virtuosismo tecnico e nemmeno una semplice stampa di qualità. È o dovrebbe essere un documento significativo, una pungente dichiarazione, che può essere descritto con un termine molto semplice: selettività. La fotografia non potrà mai crescere fino a quando imiterà le altre arti visive. Deve camminare da sola, deve essere se stessa”.

Una frase famosa, più volte citata quando si parla della fotografa che l’ha pronunciata, Berenice Abbott, la quale non solo con queste poche parole esprime la sua posizione rispetto alla fotografia pittorialista d’inizio Novecento, ma è soprattutto un’esplicita dichiarazione di poetica personale e coerenza concettuale. Uguale solo a se stessa la fotografia, deve essere selettiva e indagatrice, deve cogliere i mutamenti in atto nella società e lo spirito del proprio tempo con il fine di comunicare al pubblico la concretezza e la scientificità del reale. Non poteva quindi che chiamarsi BERENICE ABBOTT. Topografie la prima mostra antologica a lei dedicata in Italia presso il Museo MAN di Nuoro, con la curatela di Anne Morin. 

L’esposizione presenta una selezione di ottantadue stampe originali realizzate dalla Abbott tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta, divise in tre sezioni ben strutturate attraverso le quali viene ripercorsa l’intera carriera della fotografa americana. Si parte dalla sezione dei ritratti che indubbiamente caratterizza l’inizio della sua carriera come assistente di Man Ray, che conosce a New York dopo essersi trasferita dall’Ohio per studiare scultura. Insieme decidono di partire alla volta di Parigi e qui sotto consiglio dell’artista dada realizza numerosissimi ritratti dei più importanti esponenti dell’avanguardia artistica e letteraria del tempo. La sua prima mostra personale si svolge alla galleria Le Sacre du Printemps nel 1926, un anno fatidico durante il quale apre anche il proprio laboratorio fotografico che diventa luogo d’incontro per intellettuali e artiste. Sempre a Parigi, la Abbott conosce il famoso fotografo Eugène Atget e subito rimane folgorata dalle sue bellissime immagini di una Parigi che sta scomparendo, fatta di angoli nascosti, mercatini delle pulci e insegne fatte a mano, tanto che sarà lei a fotografarlo in uno dei pochi ritratti pervenuteci dell’artista, così come sarà lei – dopo la morte del fotografo – ad acquistare molti dei suoi negativi promuovendone la conoscenza attraverso pubblicazioni e mostre sia in Europa che negli Stati Uniti.

Sotto l’influenza artistica di Atget la Abbott si dedica a progetti riguardanti gli importanti mutamenti che in quegli anni stanno avvenendo nelle grandi metropoli, e in particolare, con il ritorno a New York inizia il famoso lavoro Changing New York, a cui è anche dedicata la seconda sezione della mostra presso il MAN. Un progetto immenso e un archivio ricco di fotografie attraverso il quale la Abbott ha documentato giornalmente i mutamenti architettonici, topografici e urbanistici che negli anni Trenta hanno interessato la Grande Mela con “fotografie caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre e da angolature dinamiche”. L’ultima sezione della mostra è invece dedicata alla fotografia scientifica, che ha caratterizzato la sua carriera dagli anni Quaranta in poi, prima diventando photo-editor della rivista Science Illustrated, poi durante gli anni Cinquanta dedicandosi alla realizzazione di illustrazioni sui principi della luce e della meccanica per il Massachusetts Institute of Technology. La mostra BERENICE ABBOTT. Topografie al MAN di Nuoro – realizzata grazie al contributo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna – celebra l’arte e la ricerca di questa straordinaria fotografa che morì il 9 dicembre 1991 lasciando ai posteri un corpus di opere di straordinario valore artistico e scientifico.

BERENICE ABBOTT. Topografie
a cura di Anne Morin
17 Febbraio 2017 – 21 Maggio 2017
Museo MAN, via S. Satta 27- 08100, Nuoro

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Testo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine online (15/02/2017)

Dorothy Whitney, Paris, 1926 © Berenice Abbott_Commerce Graphics_Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York

Nightview, New York, 1932 © Berenice Abbott_Commerce Graphics_Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York

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Bill Viola e Lanfranco. Un dialogo attraverso i secoli. https://www.cultmag.it/2016/01/12/bill-viola-e-lanfranco-un-dialogo-attraverso-i-secoli/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/12/bill-viola-e-lanfranco-un-dialogo-attraverso-i-secoli/#respond Tue, 12 Jan 2016 13:22:33 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2655 A Palazzo Magnani di Reggio Emilia si è tenuta la quarta edizione di Arte in agenda. A tu per tu con… rassegna che dal 2012 si pone l’obiettivo d’indagare tematiche importanti ponendo a confronto «singole opere e personalità tra le più significative» della storia dell’arte.

Quest’anno la scelta è stata fatta su due opere distanti tra loro per tempo e tecnica esecutiva ma concettualmente affini: da una parte la contemporaneaAscensione di Isotta (La forma della luce nello spazio dopo la morte), 2005 del video-artista Bill Viola, facente parte del ciclo Love/Death: the Tristan Project e dall’altra la tela del pittore emiliano Giovanni Lanfranco,Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli, 1616-1618 circa.

La mostra, promossa dalla Fondazione Palazzo Magnani, Bill Viola e Lanfranco. Eterne visioni tra presente e passato, indaga i concetti di amore e morte attraverso il sacrificio di due eroine, l’una del mondo cavalleresco e l’altra del mondo cristiano.

La prima è Isotta, docile fanciulla che con voce tenue e spezzata dal dolore per la morte di Tristano, sacrifica la propria vita per ricongiungersi all’amato nel dolce sonno eterno, ed è così che Bill Viola la rappresenta, un corpo esanime che lentamente assurge alla morte, interrompendo lo scorrere del normale flusso temporale della vita. Simile atmosfera sospesa, resa drammaticamente intensa dalla luce fortemente contrastata caratterizza anche l’opera del pittore parmense Lanfranco, Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli.

La Santa, sospesa a mezz’aria, viene innalzata da tre putti verso il cielo in modo che possa unirsi in un abbraccio eterno con il divino, infatti secondo la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Maddalena «desiderosa di dedicarsi alla contemplazione delle cose celesti si recò nel deserto e vi rimase per trent’anni», in un luogo dove non vi era né cibo né acqua ma in cui ogni giorno «gli angeli sollevavano nell’alto dei cieli la beata Maddalena, che poteva ascoltare, con le sue orecchie mortali, le celesti armonie» e così nutrirsi dell’amore divino.

Innegabile è il legame tra queste due opere in cui «Isotta e Maddalena si librano avvolte nei panneggi delle loro vesti lasciandosi portare dove il loro destino le chiama, in un gesto di ardente accettazione che è dono d’amore. Il legame tenace e indissolubile tra la dimensione spirituale e materiale emana dalle due immagini condensandosi in una tensione emotiva profonda». Altrettanto forte è lo studio del passato in entrambi gli artisti che, facendo tesoro degli insegnamenti della storia dell’arte e dei grandi maestri, hanno condensato nelle rispettive opere importanti richiami iconografici, l’uno trasponendoli su tela, l’altro attraverso pixel elettronici, ma non per questo le affinità concettuali vengono meno.

Tesi avvalorata dalle parole dello studioso Salvatore Settis, che nel saggio Un pittore del nostro tempo: Bill Viola, pubblicato in occasione della mostra, afferma riguardo all’artista contemporaneo: «Bill Viola pensa se stesso come un pittore, vive la propria arte nel dialogo con l’arte del passato… Attraverso l’opera di Bill Viola noi, osservatori ora stupefatti, ora commossi, ora increduli, dobbiamo fare i nostri conti con l’arte, la sua e quella del passato».

Bill Viola e Lanfranco. Eterne visioni tra presente e passato è una mostra che va al di là del solo appagamento visivo e accompagna lo spettatore in un viaggio nelle profondità dell’animo umano, traghettandolo in concetti cari all’arte e all’esistenza quali la morte corporea e l’amore eterno e spirituale, in un continuum spazio-temporale che ripercorre un’esperienza artistica lunga molti secoli.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine (10 gennaio 2016)

Bill Viola, Isolde’s Ascension (The Shape of Light in Space After Death), 2005 Performer: Sarah Steben, Fondazione CRT, Castello di Rivoli-Torino © Kira Perov, Courtesy Bill Viola Studio

Bill Viola, Isolde’s Ascension (The Shape of Light in Space After Death), 2005 Performer: Sarah Steben, Fondazione CRT, Castello di Rivoli-Torino © Kira Perov, Courtesy Bill Viola Studio

Giovanni Lanfranco: Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli, 1616/1618 ca., olio su tela, 110×78 cm, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

Giovanni Lanfranco: Santa Maria Maddalena portata in cielo dagli angeli, 1616/1618 ca., olio su tela, 110×78 cm, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli

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Joel-Peter Witkin e l’oblio della ragione. https://www.cultmag.it/2016/01/12/joel-peter-witkin-e-loblio-della-ragione/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/12/joel-peter-witkin-e-loblio-della-ragione/#respond Tue, 12 Jan 2016 13:11:35 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2644 A Lucca, dal 21 novembre al 13 dicembre, la nuova edizione del Photolux Festival, Biennale internazionale di Fotografia, che per l’edizione 2015 propone il tema Sacro e Profano, traghettando lo spettatore in un «viaggio interiore, alla scoperta dei luoghi dello spirito e degli uomini che li animano». Tra la rosa di nomi internazionali non poteva mancare quello del  fotografo Joel-Peter Witkin, che più di ogni altro ha affrontato queste tematiche, spesso in chiave citazionista, con densi riferimenti alla storia dell’arte, alla letteratura e non in ultima alla religione. Morte, orrore, erotismo e sofferenza, sono solo alcuni dei dilemmi esistenziali che affiorano come visioni macabre nelle fotografie dell’artista americano, in cui i protagonisti sono «personaggi che vivono ai margini della società – nani, ermafroditi, persone con disabilità o deformità», teste e arti mutilati.

Una dopo l’altra le immagini di Witkin solcano i mari dell’irrazionale e dell’oblio, richiamando alla memoria le bellissime parole scritte da Charles Baudelaire nel Castigo dell’orgoglio: «subito la ragione lo lasciò. D’un nero velo si coprì la fiamma di quel sole; irruppe tutto il caos in quella intelligenza […] In lui il silenzio prese dimora con la notte, come in una cella la cui chiave è persa». Baudelaire coglie con esattezza il momento fatidico in cui la follia s’impossessa della mente superba dell’uomo che ha osato salire troppo in alto, senza speranza di salvezza senza il raziocinio come converrebbe, ed ecco che le fotografie di Witkin ricordano al visitatore questa stessa condizione, offrendo la possibilità di un riscatto morale grazie a un intenso percorso catartico che l’uomo deve intraprendere per aspirare alla salvezza. Le immagini, secondo quanto afferma l’artista, hanno il compito di sommuovere l’essere e «infiammare le anime», proponendosi come motivo di riflessione circa «la storia della civiltà occidentale e le conseguenza morali delle decisioni prese nel corso della storia stessa».

Complessi tableaux-vivants, quelli di Witkin, che per composizione, tecnica e utilizzo del bianco e nero ricordano i fotomontaggi degli albori della fotografia, e in particolare le photographic composition di O. G. Rejlander, trovando con il fotografo ottocentesco un ulteriore punto di tangenza nelle tematiche allegoriche affrontate: la lotta dell’uomo tra il Bene e il Male e l’ineluttabile pensiero di morte. Le immagini ripercorrono il vissuto dell’artista, costellato di ricordi che lo hanno portato ad apprezzare l’inusuale e il macabro: la nonna italiana con cui è cresciuto e che l’artista afferma essere stata una donna storpia ma dall’animo incantevole, le assidue frequentazioni dei Freak Show a Coney Island, e in ultimo un evento avvenuto all’età di sei anni, quando assistette a un incedente stradale durante il quale la testa di una bambina gli rotolò davanti. La mostra presso Villa Bottini è curata da Enrico Stefanelli ed è realizzata in collaborazione con la Baudoin Lebon Galerie di Parigi, inoltre numerose le mostre che animano la città di Lucca in questi giorni, a cui si aggiungono molti eventi collaterali dedicati al vasto mondo della fotografia.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine (5 dicembre 2015)

Joel-Peter Witkin, Cupid and Centaur in the Museum of Love, 1992. © Joel-Peter Witkin.

Joel-Peter Witkin, Cupid and Centaur in the Museum of Love, 1992. © Joel-Peter Witkin.

Joel-Peter Witkin, Venus in chains, stampa ai sali d’argento. © Joel-Peter Witkin.

Joel-Peter Witkin, Venus in chains, stampa ai sali d’argento. © Joel-Peter Witkin.

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