mamma – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Fri, 12 Feb 2021 22:56:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 La Grande Madre https://www.cultmag.it/2020/05/10/la-grande-dea/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2020/05/10/la-grande-dea/#respond Sun, 10 May 2020 11:32:05 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6675 La Grande Madre è frutto di una riflessione intorno al concetto di donna intesa come entità creatrice e trasformatrice che dall’antichità, fino a oggi è stata venerata in molte culture in quanto fonte di vita e mediatrice con il divino.

Un giorno ero in visita alla Raccolta Lercaro di Bologna, dove sono conservate molte opere di eccelsa bellezza e grande profondità concettuale.

In questa giornata, dedicata alla festa della mamma, ho deciso di ripercorrere con la mente una visita svolta ormai molto tempo fa e fare il mio augurio attraverso l’arte.

Nellasala vi erano due opere di Eugenio Pellini La madre del 1897 e L’idolo del 1906, a cui si aggiunge una bellissima scultura di Jean Michel Folon, Femme-oiseau del 2002, collocata nella sala dedicata ai reperti fossili in virtù del suo materiale: pietra fossile del Marocco.

Da quel momento, osservando attentamente le tre figure di donna, ho iniziato a riflettere sull’aspetto spirituale che le tre opere sembravano esprimere, anche attraverso i loro titoli.

Eugenio Pellini, La Madre, 1897, bronzo. Courtesy Raccolta Lercaro, Bologna. ©Fotografia di Claudia Stritof

Inizialmente a colpirmi è stata la cromia dell’opera di Folon, seguita subito dopo dalla consapevolezza che le tre sculture rappresentassero tre diverse visioni di donna colte con una posizione delle braccia, atte a stringere il bambino nelle sculture di Pellini, e il grembo nella scultura di Folon.

La distanza concettuale e cronologica trasmessami dalle tre opere è stata colmata quando ho visto nelle pagine della biografia di Alberto Giacometti, la meravigliose scultura Femme qui marche.

È stato in questo preciso momento che ho notato come le sculture disposte in sequenza facessero emergere un ragionamento sulla forma femminile e sulla sua progressiva astrazione.

A questo punto le mie riflessioni sono sorte spontanee e tutte convergevano sull’idea de La Grande Dea, divinità primordiale che incarna il ciclo della vita.

Giunta a casa, iniziai a scrivere questo testo, accostando la riflessione, alla lettura di alcuni testi critico-letterari da cui estrapolai citazioni per potenziare il significato concettuale della mia riflessione.

Si sono dimostrate fondamentali per legare e rendere esplicito il significato della sequenza dando così una lettura nuova all’insieme e anche alle singole opere.

Apuleio ne L’Asino d’oro, racconto come la Dea, rivolgendosi allo sventurato Lucio, disse: «io sono colei che è la madre naturale di tutte le cose, signora e reggitrice di tutti gli elementi, la progenie iniziale dei mondi, il culmine dei poteri divini, regina di tutti coloro che popolano gli inferi […] Il mio no­me, la mia divinità sono adorati ovunque nel mondo, in di­versi modi, con svariate usanze e con molti epiteti».

Eugenio Pellini, L’Idolo, 1906, bronzo. Courtesy Raccolta Lercaro, Bologna. ©Fotografia Claudia Stritof

La Dea rappresenta la fertilità, intesa nella duplice accezione, materna e sensuale: nuda e in piedi simboleggia la sensualità, mentre seduta è simbolo di protezione e nutrimento.

«Come madre e signora della terra, la Grande Madre è il “trono in sé” […] su cui il bambino, nato da questo grembo siede in torno. Essere preso in grembo, così come essere portato al petto è un modo simbolico per esprimere l’adozione del bambino, e dell’uomo, da parte del femminile», ed è così che essa è raffigurata da Pellini nelle sculture La Madre e L’Idolo.

A sottolineare questa varietà è proprio Mefistofele, che nel primo atto della seconda parte del testo goethiano, racconta al Faust di un luogo in cui «vi sono auguste dive il cui regno è la solitudine; intorno ad esse non v’è né spazio né tempo, e non si può parlare di esse senza sentirsi turbati. Sono le Madri […] Le une sedute, altre in piedi e vaganti così come si trovano. Forme, continuo cambiamento di forma, eterna presenza del senso eterno! Immagini di tutte le creature…».

Il testo rende esplicito il polimorfismo della Grande Dea, dalle forme umane ma anche astratte, così come appare nelle sculture ieratiche di Giacometti sopracitata, divinità acefale la cui femminilità è visibile solo grazie all’enfatizzazione posta sugli organi sessuali. 

Jean Michel Folon, Femme-oiseau, 2002, pietra fossile del Marocco. Raccolta Lercaro, Bologna. ©Fotografia Claudia Stritof

La vulva così come «i seni minuscoli, appena accennati rafforzano la tendenza, inconscia, a trascendere la dimensione corporea elementare. Diviene particolarmente evidente il momento dell’astrazione, attraverso il quale si accentua il carattere significativo, simbolico, trasformatore del femminile […] Una dea raffigurata in tal modo non rappresenta solo una dea della fertilità, ma anche una dea della morte e dei morti. Essa è la madre terra, la madre della vita, che domina su tutto ciò che è scaturito e nato da lei e che ritorna a lei».

Ed ecco che la scultura Femme-oiseau di Folon chiude il cerchio: una dea maestosa con le braccia incrociate sotto il petto a mettere in evidenza i piccoli seni, la quale, vista frontalmente è una statua votiva di dea primigenia, come quelle che un tempo venivano custodite all’interno delle celle degli antichi templi, ma se vista lateralmente manifesta il suo aspetto mostruoso con la testa di uccello con piccoli occhi neri incavati e il becco rivolto al cielo. La Dea così rappresentata nell’antichità era la mediatrice tra cielo e terra, colei che trasportava le anime dei defunti e le proteggeva vegliando in solitudine negli inferi.

Siamo giunti alla fine di un percorso lungo e non poco travagliato ma che ha portato sicuramente ad una nuova riflessione intorno al concetto di madre.

Jean Michel Folon, Femme-oiseau, 2002, particolare. Raccolta Lercaro, Bologna. ©Fotografia Claudia Stritof

Se all’inizio mi era sembrato impossibile legare concettualmente e formalmente opere così diverse, oggi La Grande Dea ha assunto la sua forma definitiva, trovando nel mutamento della forma la chiave di volta per comprendere secoli di letture iconografiche sul tema della divinità e della Madre. Attraverso l’arte, il potere visionario senza tempo di artisti, che attraverso il simbolo della Madre, hanno manifestato il loro legame atavico che unisce l’uomo al divino.

Testi di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati
BIBLIOGRAFIA:
- Johann Wolfgang Goethe, Faust, liberliber [Progetto Manunzio], 2005.
- Robert Graves, La Dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico, Apelphi Edizioni, 2009.
- Erich Neumann, La Grande Dea. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Astrolabio Ubaldini editore, 1981.
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I fiori erano ormai appassiti in quel giardino segreto così come il tempo di Mari era ormai giunto al termine.

Il dolore è una ubriacatura colossale. Le sensazioni di un dolore forte sono quelle. Ma nessuno me l’aveva mai detto. Il dolore che si prova quando si è piccoli è diverso. Pian piano si assimila, si abbraccia e si cresce con esso. Ma quando si è grandi si pensa continuamente e alcune volte questi pensieri possono far male come mille stilettate al ventre.

Il dolore è un sentimento che si prova spesso nel corso della vita, dovrebbe rafforzarci e le sofferenze dovrebbero renderci coraggiosi.

Sto cercando di riconquistare questa “forza”, anche se non è semplice. A 26 anni, appena compiuti, un male abominevole ha portato via la mia metà razionale, mia sorella, e tutta la forza che si è avuta fin a quel momento all’improvviso svanisce.

Spesso vengo risucchiata dal divano cercando di pensare ai momenti felici ma ciò che sopraggiunge come un mostro dalle tenebre è il ricordo di un anno di malattia.

Mi dicono che i ricordi felici arriveranno… un pò come avveniva in Peter Pan. Prima o poi quei pensieri ci faranno volare, e forse sarà così, forse le favole non mentono, sono pillole che addolciscono i momenti di tristezza.

Ma ora è difficile. E’ difficile scrivere ciò che si prova in questi momenti. Alterno momenti in cui colta da una fiacca adrenalina faccio ordine, momenti in cui mi butto sul divano, momenti in cui leggo o scrivo. Guardo qualche foto, ma anche quello fa male. Avvicinarsi ai suoi libri, ai suoi vestiti e alla sua camera non se ne parla. Era così bella, ora io invecchierò e lei porterà per sempre il vestito color rubino che le stava d’incanto.

E’ come se vivessi sospesa a mezz’aria, cercando di non farmi troppe domande per paura di darmi delle risposte. Tutte le certezze che avevo prima vacillano. Dicevo: “dopo la morte? Nulla!!”, ora spero che lei non soffra, che non sia sola, che sia con mio padre e che non senta freddo.

“Dove sarà? Ci vedrà? La rivedrò?” Domande a cui nessuno può rispondere. Continui pensieri che assillano la mente. Forse anche lei fluttua come i miei pensieri, cerca una via e un modo per ricominciare.

Avrei tanta voglia di sapere se sta bene. Vorrei sapere se la malattia che l’aveva così tanto trasformata alla fine sia stata finalmente sconfitta e se mia sorella sia tornata la solita sister sorridente e qualche volta un po’ arrabbiata verso il mondo.

Con Mari ho foto da quando sono nata, con lei condividevo gioie, pensieri, litigi da sorella, regali, telefonate lunghissime e messaggi da appena sveglie al mattino presto prima di incominciare a studiare.

E ora? Chi farà tutto questo con me? Chi mi correggerà la tesi prima di inviarla al prof? Chi mi spronerà a non aver paura?

Che strana cosa il dolore… e che strana cosa la perdita.

Quando guardavo il film A time for dancing piangevo sempre quando alla fine leggevo: “basato su una storia vera”. Non sapevo che quella storia sarebbe diventata la nostra. In un anno è successo di tutto. Un anno. Gli anni passano così inutilmente, noi non ci accorgiamo del tempo che scorre, ma lui ci divora. All’improvviso tutto cambia.

Mi ponevo un unica domanda: “Perchè?”. Mi dicevo c’e ancora Speranza. E allora partiamo per Lourdes.

Da quella vasca io non sono uscita asciutta. Ma ho pregato. Mari ci credeva veramente e quegli occhi pieni di tranquillità e speranza, davanti al prete, non potrò mai scordarli. Erano così dolci e pieni di luce. Forse il miracolo era destinato a qualche altro fedele. Noi ci abbiamo creduto. Lei ci ha creduto.

Ora invece continuo a ripetere: “evabbè”. Tutto unito, sospirando. Come se questo fosse il destino che ci attendeva. Così era scritto ma non lo sapevamo. Quello che rimane è una fotografia annerita. Una pellicola esposta alla luce prematuramente e ormai bruciata. Ma non è persa, questo sbaglio del destino può insegnarci a rendere unica quella foto. Forse si deve solo aspettare e scrivere sulla pellicola, graffiarla con segni sinuosi in modo che diventino ricordi cicatrizzati sulla pelle. Un dolore che non si cancella e io voglio fidarmi di chi mi dice che presto queste sensazioni si trasformeranno in altro. Ma fa male. Non devo dimenticare che “è come se fosse qua con me”, ma al momento è una magra consolazione. Lei non c’è e non ci sarà.

In questo periodo ho ricevuto molte parole, lettere e frasi di una dolcezza infinita. Non mi sarei mai aspettata tutto questo amore, ma ogni singola parola, anche la più timida e impaurita, mi ha, e ci ha, dato forza. Storie e ricordi che fanno bene, piccoli graffi che iniziano a scalfire quella superficie così spessa come pietra lavica. Piccole fiammelle d’amore così luminose che a momenti risplendono e ti accarezzano il volto con gentilezza, sperando che prima o poi l’equilibrio si ristabilisca e al dolore subentri la gioia dei ricordi.

Come ho sempre sostenuto l’arte aiuta a farci capire il mondo e i piccoli cambiamenti che avvengono in noi e che spesso sottovalutiamo. Allora la prima opera che mi è venuta è in mente è quella  dell’artista Sam Taylor Wood: A little Death. Descrive perfettamente quello che ho visto in un anno di vita: la trasformazione del corpo, la perdita, la morte. Caravaggio rappresentò diverse vanitas e la mela bacata era il simbolo di morte e caducità ma la Wood attraverso il video fa vedere la decomposizione del corpo, giorno per giorno. Il lento appassire della vita. Immagini forti, colte in un tempo lungo ma concentrate in un breve video, che altro non è che la vita.

Questo scritto nato per me stessa e come sfogo personale, è stato letto da mamma in chiesa per il trigesimo di Mari, abbiamo deciso di condividerlo con tutti coloro che ci hanno mostrato il loro amore, parole sicuramente non felici, ma piene di forza d’amore. Un modo per ringraziare chi prova a donarci il loro amore e ci abbraccia con il pensiero.

Io non sarei mai riuscita a leggerlo. Posso scrivere e scrivere… ma non leggere i miei pensieri. Mamma ha avuto questa grande forza con la mano tremolante e la voce distrutta dal dolore, ma forte e ferma. Un amore infinito.

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