Maria Macrì Lucà – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Fri, 12 Feb 2021 22:41:47 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Il giorno del tuo 34° compleanno https://www.cultmag.it/2020/09/13/il-giorno-del-tuo-34-compleanno/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2020/09/13/il-giorno-del-tuo-34-compleanno/#comments Sun, 13 Sep 2020 14:18:46 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6709 Esattamente un anno fa iniziavo lo scritto dedicato a Mari con una “congiunzione”; elemento grammaticale di unione tra passato e presente, in vista di un futuro che all’ora mi era sconosciuto.

Questo anno è trascorso e, dopo molti mesi, sappiamo essere stato un anno denso per tutti, colmo di incertezze e insicurezze. Un anno di progetti saltati, di altri creati, di vite da riscrivere, di parentesi da chiudere. Un anno di esigenze sorte, di dubbi instillati e di intense emozioni vissute.

Un anno che – visti gli ultimi avvenimenti – è assolutamente da portare a termine.

Settembre non è il mio mese portafortuna, non credo lo sia mai stato, ma lo amo, per la calma che questo dona allo spirito, per i profumi che accompagnano i pomeriggi di fine estate e le serate passate con il primo fresco autunnale.

Settembre per me è un mese un po’ ballerino, denso di ricordi e di concentrazione; il mio spartiacque emozionale, anche perché di solito significava partire e allontanarmi dalla mia famiglia per andare “su”. Oggi, invece, ho deciso di andare con calma, di fermarmi e riflettere.

Ciò che ho notato in questi giorni, riguardando le fotografie di quando eravamo piccole Mari e io, come, crescendo, fossimo rimaste caratterialmente uguali.

Io sempre pasticciona e mai in posa nelle fotografie, lei sempre impeccabile, sorridente e fotogenica.

Alle feste io mi divertivo arrampicandomi sugli alberi, come ancor oggi mi piace girovagare nella natura, lei invece prendeva il microfono cantava e ballava, come sempre. Ero sempre io a seguirla e lei molte volte si infastidiva essendo la sorella più grande.

Ma forse forse… era proprio questo il nostro bello.

Nell’ultimo periodo sto riflettendo molto sul presente e, le infinite elucubrazioni mentali, mi hanno spinta a pormi delle domande su come ho affrontato la sua perdita e come ho cercato di colmare la sua assenza.

Ho scritto tanto di lei, di noi… dei vari momenti affrontati: il dolore indelebile della malattia per molti anni e poi, pian piano, il sorgere di bellissimi ricordi vissuti insieme.

Mi sono accorta anche di averla cercata a un ritmo frenetico nelle altre persone, sperando di trovare all’esterno un legame come il nostro, speranza vanificata perché impossibile sostituire l’amore di una sorella o l’appoggio che lei poteva darmi in determinate situazioni, conoscendo ogni mia piccola titubanza o incertezza; ma probabilmente la cosa più grave è che ho cercato lei in me come un tornado impazzito.

Una continua ricerca che mi ha portata a convivere per molto tempo con una persona diversa da quella bambinetta dispettosa che si agita e scalpita all’interno di me.

Eravamo due parti diverse di un meraviglioso universo e ci compenetravamo per le nostre differenze. La cosa più complicata sta proprio in questo: ritrovare l’equilibrio da soli è difficile, ma è l’unica via per mantenere viva la propria essenza e salvare la propria unica meravigliosa esistenza.

Chi sono? Cosa farò? Qual’è il mio posto e con chi? Domande che mi hanno ossessionata per troppo tempo e che ora mi spingono a sostituire quella congiunzione con cui iniziai lo scritto dell’anno scorso, con una pausa, intensa in senso musicale, come un preciso momento di silenzio.

Ogni mia decisione avrà una conseguenza e di questo ne sono consapevole, ne sono stata sempre consapevole, perché l’unica cosa che non vorrei nella mia vita, sono i rimpianti.

Il passato, il modo in cui siamo cresciuti, le amicizie e le paure che nel corso degli anni si sono insediate in noi, velatamente agiscono e ci presentano il conto, che sia esso positivo o negativo. Più rifletto e più comprendo che ho sempre amato sorprendere e amo essere sorpresa, anche perché – ormai è una certezza – ogni volta in cui ho smesso di sorprendermi tutto è andato storto.

Qualcosa cambia e capisci che l’aria da assaporare è altra, che può esserci molto di più da pretendere da se stessi e anche dagli altri per stare bene.

Probabilmente sta qui il segreto: essere consapevoli, creare le proprie immagini del desiderio e immergersi in esse affinché la famosa legge d’attrazione si attui. Più facile a dirsi, che a farsi, ma da quel poco che ho capito in questa strana vita è che l’accettazione è il punto di partenza per scrivere nuove pagine di vita. 

Alcune volte la vita sembra sfuggire e allora è proprio quello il momento di prendersi una pausa per respirare e poi continuare il proprio tragitto.

Y. Klein, Senza titolo monocromo blu (IKB 3), 1960 © Adagp, Paris

Io l’ho capito poco tempo fa al museo di arte contemporanea di Nizza, quando mi sono trovata di fronte al tappeto blu di Yves Klein, un’opera che mi ha donato grade tranquillità e una strana sensazione di fluidità nel pensiero come antidoto all’insopportabile pesantezza della mente. 

Osservando quel blu oltremare ho sentito l’esigenza di afferrare il mio tempo, entrare in contatto con me stessa, controllare i pensieri assordanti e librarli nel vuoto.

Una potenza che invade l’Universo, sia quello fisico che quello mentale, questo è l’International Blu Klein, «la più perfetta espressione del blu», sintesi tra cielo e terra.

Klein non trovandolo pronto sul mercato dovette fermarsi, sperimentare e creare tale essenza cromatica. Un duro lavoro di ricerca, non facile certo, ma volto a creare la propria personale meraviglia.

Un concetto non così banale, soprattutto dopo il periodo denso che tutti abbiamo affrontato, perché il solo che ci consente di prenderci il tempo necessario per comprendere la vibrazione che ci ha percorso violentemente negli ultimi mesi.

Klein scriveva: «ora voglio andare oltre l’arte – oltre la sensibilità – oltre la vita. Voglio andare nel vuoto: la mia vita dovrebbe essere come la mia sinfonia del 1949, una nota continua, liberata dall’inizio alla fine, legata ed eterna al tempo stesso perché essa non ha inizio né fine… Voglio morire e voglio che si dica di me: Ha vissuto perciò vive».

Mari ha vissuto e io continuo a farlo. Anche quando sapeva che non ce l’avrebbe fatta, lei ha lottato. Io non sono lei, non lo sono mai stata, ma ci siamo sempre compenetrate e questa è stata la nostra forza ed è la mia.

Per molto tempo ho creduto di dover trovare una me che probabilmente non è mai esistita e se non tutte le cose giungono per casualità, in questi miei ultimi mesi una poesia scritta dalla mia bisnonna, Maria Macrì Lucà, mi è venuta in soccorso.

Sorella che taci e sorridi

che giaci

tra fiori odorosi di zagara bianchi,

con piccole mani,

congiunte sul cuore […]

tu senti sorella, il mio pianto,

Tu senti il mio canto!

Sorella, è già sera

per il cuore che non ebbe mattino!

Passò la bufera

sul dolce giardino della mia giovinezza

e tutto travolse, infranse, schiacciò […]

E allora sorella, tu sola sentisti

che tetro terrore mi colse,

che cupo silenzio m’avvolse!

Nel buio, nel fango, prostrata,

inutile cosa restai […]

e buio era il cuore e il pensiero […]

E allora, sorella che giaci,

tra fiori odorosi,

parlasti, con voce lontana, velata

ma chiara al cuore,

dicesti: “Sorella,

asciuga il tuo pianto!

Detergi le piaghe!

Sorridi! Cammina!

Sorella, la vita è un’istante

che passa veloce:

Si ferma, Si tace,

e viene, Sorella, nei Cieli

la Pace!”

Tutto si acquieterà.

La mia bisnonna, così come coloro che hanno amato e poi perso, conoscono quanto sia dura la strada per risorgere; basta fermarsi un attimo, darsi il tempo per riflettere e “impregnarsi con la più perfetta forma del blu”, per poi osservare con chiarezza pensieri e sentimenti.

Si deve andare avanti, questo può essere un percorso più o meno lungo, ma si deve fare, per non dimenticare chi si era ed essere se stessi con consapevolezza.

Buon trentaquattresimo compleanno, mia dolce sister… oggi, come ogni anno, brinderò a te. 

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Testo ©di Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.
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Raffaele Montepaone. Vi racconto la bellezza delle donne calabresi. https://www.cultmag.it/2016/01/18/raffaele-montepaone-vi-racconto-la-bellezza-delle-donne-calabresi/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/18/raffaele-montepaone-vi-racconto-la-bellezza-delle-donne-calabresi/#respond Mon, 18 Jan 2016 22:25:30 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2857 Raffaele Montepaone, fotografo vibonese, ha fatto del suo essere calabrese un marchio di fabbrica. La sua è una fotografia reportagistica caratterizzata da un bianco e nero fortemente contrastato grazie al quale riesce a dar risalto alle singolarità epidermiche dei soggetti ritratti. Non a caso le “muse” del progetto d’esordio Life sono le anziane donne calabresi con le mani e il volto solcato da profonde rughe. A pochi giorni dalla partecipazione a SetUp Contemporary Art Fair, che si terrà dal 29 al 31 gennaio all’Autostazione di Bologna, abbiamo incontrato il fotografo per farci raccontare in prima persona il suo lavoro.

© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

CLAUDIA STRITOF: Life è il progetto che ha segnato il tuo inizio ufficiale in fiere nazionali, potresti dirmi come nasce il tuo interesse verso le donne calabresi e i loro volti?

RAFFAELE MONTEPAONE: L’interesse verso quei volti è nato da un incontro casuale con zia Concetta (così si faceva chiamare). Nel 2007 lavoravo come fotoreporter per un quotidiano locale, mi chiesero un servizio su Stilo, piccola perla dell’entroterra ionico-reggino e lì incontrai la prima protagonista dei miei scatti, una novantenne laboriosa, simbolo della tradizione religiosa e popolare di quel paese. Inizialmente non fu facile fotografarla ma questo non mi turbò perché ero così affascinato dai suoi racconti che preferii conoscerla prima di ritrarla. Solo dopo un pò di tempo maturò in me la consapevolezza che quello era ciò che volevo fare: rappresentare la bellezza e la grandezza della vita tramite quegli occhi e quei volti che nonostante i segni del tempo riuscivano ancora a stupirsi e a stupirmi.

CSImmagino che tutte le donne da te ritratte abbiano affascinanti storie da condividere. Ci potresti raccontare quella che più ti ha colpito? 

RM: Sì, sono proprio le loro storie senza tempo che mi emozionano ancor prima di ritrarle. La storia più toccante fu quella di due sorelle (presenti nella serie Life), che si sposarono a loro volta con due fratelli ma il loro destino fu totalmente diverso. La prima ebbe una vita agiata con un marito rispettoso e molti figli mentre la seconda sposò il fratello violento e geloso, non ebbe figli e passò la sua vita tra paura e frustrazione. Mi raccontarono che le loro vite erano state presagite in un sogno in cui la Madonna avrebbe donato ad una delle due lenzuola di lino, simbolo di prosperità, mentre all’altra donò un fascio di legna, simbolo di sventure. Rimasi turbato dal terrore con il quale la più sfortunata mi parlò del marito nonostante all’epoca del nostro incontro fosse già morto.

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© Raffaele Montepaone.

CS: In percentuale sono più le donne che tu fotografi che non gli uomini, come mai questa scelta?

RM: In realtà non c’è una spiegazione, forse è solo perché gli uomini hanno più imbarazzo e pudore nel farsi fotografare e di conseguenza è più difficile coglierne l’anima. O forse, perché il mio occhio è più affascinato dalle donne con le lunghe chiome bianche che nonostante i solchi del tempo sul volto riescono a trasmettermi la vera bellezza, la femminilità che non sfiorisce.

CS: Quali i valori della Calabria di allora che ti hanno trasmesso queste donne? Quali conserveresti e invece da quali ti senti più lontano?

RM: Sono anche io un calabrese, e da buon calabrese attaccato ai valori più semplici ed importanti della vita: i sentimenti sani, i legami familiari, il valore del sacrificio, e ciascuno dei miei soggetti mi ha arricchito moralmente e trasmesso nuovi insegnamenti. Di contro mi sento molto lontano dal fanatismo religioso e dal bigottismo che è anche facile incontrare in persone di una certa età.

© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

CS: Perché solo l’utilizzo del bianco e nero? Esistono soggetti che immagineresti a colori?

RM: Io vedo in bianco e nero e fotografo di conseguenza così come osservo. Ritengo che il colore spesso distolga l’osservatore. Il bianco e nero nelle fotografie accentuano la distanza. Per me non sono solo colori, ma simboli primigeni, rappresentano il bene e il male, la vita e la morte, la luce e l’oscurità, l’inferno e il paradiso, l’inizio e la fine.

CS: La scrittrice calabrese Maria Macrì Lucà scrisse: «eterne vicende umane anche se tragiche, anche se grottesche, si ammantano di luci misteriose, si vestono di stupito candore, diventano poesia per chi sa guardare con occhi attenti». Credo che vi siano delle tangenze tra questo passo tratto da “Vecchio mondo e Vecchia gente”, con le tue immagini. Cosa ti fanno venire in mente queste parole?

RM: Ritengo che la scrittrice abbia tradotto in parole ciò che io tento di trasmettere con le mie immagini. Un occhio attento coglierà nelle mani, nei solchi dell’epidermide, negli occhi dei miei soggetti tutto il candore, il mistero, lo stupore e la poesia del loro vissuto.

CS:Potresti darci un’anticipazione sui tuoi progetti?

RM: I progetti in cantiere sono tanti, ma il principale rimarrà Life, diciamo rivisitato in chiave moderna. A breve darò qualche anticipazione.

CS: Prossime mostre dove verrano esposte le tue opere, oltre alla già citata SetUp Art Fair?

RM: Le prossime mostre saranno dal 6 marzo al 10 aprile a Legnano nell’ambito del Festival Fotografico Europeo, a marzo Christie’s batterà una mia opera all’asta il cui ricavato andrà in beneficenza e a luglio Life approderà in un famoso Festival di fotografia che per scaramanzia non anticipo…

Articolo-intervista di Claudia Stritof pubblicato su The Mammoth’s Reflex  (15 gennaio 2016).

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© Raffaele Montepaone.

© Raffaele Montepaone.

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Mare cristallino e riflessi nucleari https://www.cultmag.it/2014/06/21/mare-cristallino-e-riflessi-nucleari/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/06/21/mare-cristallino-e-riflessi-nucleari/#comments Sat, 21 Jun 2014 17:18:42 +0000 http://claudiastritof.com/?p=995

“Un mondo vivido di luci e di colori, fresco, fragrante, come fu voluto da Dio, nei primordi della creazione. Ed i personaggi che lo popolano sono ancora nudi, inesperti, senza parola. Passano i secoli, le generazioni si susseguono veloci, ma Adamo ed Eva vivono ancora nell’Eden. Nascono, muoiono. Un arco di tempo che racchiude la vita: fanciullezza, vecchiaia. Bonacce e tempeste. Eterne vicende umane; ma le vicende, anche se tragiche, anche se grottesche, si ammantano di luci misteriose, si vestono di stupito candore, diventano poesia per chi sa guardare con occhi attenti”.

Maria Macrì LucàVecchio mondo e vecchia gente, 1969

Le coste calabresi sono state d’ispirazione per poeti, artisti e girovaghi che le hanno amate e lodate per il verde lussureggiante della sua flora, per la fresca brezza marina e il mare blu cobalto. E’ un profondo legame quello che unisce il mare e l’uomo “pisciaro” rispetto a chi nasce altrove. Il mio mare corre sinuoso cristallino e trasparente lungo la costa come se non avesse una fine.

Eterne vicende umane e paesane si svolgono in questa terra, racconti che diventano poesia e racconto negli occhi di chi sà guardare. Quella che vi racconto io è una storia “generazionale”, che va dalla fanciullezza alla vecchiaia, in cui tutti sono coinvolti, una storia reale scritta dall’avidità dei “potenti”.

E allora perchè iniziare con il nostro mare cristallino e trasparente? Semplicemente perchè il nostro mare può arrabbiarsi e allora si increspa con le sue creste schiumose e le onde si infrangono con tutta la loro potenza sulla spiaggia, creando il boato tipico del mare in tempesta.

 © Claudia Stritof.

© Claudia Stritof.

E’ una mare speciale, che molti posti balneari “d’eccellenza” non hanno la fortuna di avere, ma noi con il nostro mare e le nostre coste non sappiamo viverci, forse qualche anno fa si, quando nelle estati afose le strade brulicavano di turisti, ma tutto questo ormai non c’e più. E’ solo un vano ricordo e un eterno rimpianto.

Il mare trasmette sensazioni contrastanti e ad oggi non riesco a guardarlo con gli stessi occhi, come non riesco più a guardare i monti e l’Aspromonte, oppure passare sotto la galleria della Limina e pensare al male che si cela in essi.  Mare e montagna convivono a pochi passi l’uno dall’altro con semplicità e perfezione, ma le nostre bellezze e le nostre peculiarità sono state minate e contaminate, da chi per soldi non ha pensato a cosa sarebbe accaduto venti anni dopo.

Vite spezzate di giovani, ragazzi, ragazze, mamme, papà, nonne, nonni, fratelli e sorelle, nessuno si salva dagli innumerevoli casi tumorali, che giornalmente colpiscono amici e conoscenti. Come un tempo ha scritto Corrado Alvaro: “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile”, forse in molti hanno frainteso questa frase e la disonestà si è impadronita generazione dopo generazione delle menti, intaccando chi volente o nolente vive in queste terre “sterminate”.

I viaggi nel nostro mare risalgano a tempi antichi, ma negli ultimi venti anni questi viaggi sono stati segnati da una partenza ma non da una destinazione. Navi perse o meglio “navi a perdere” che hanno solcato i nostri mari e lì hanno “deciso” di affondare.

Le “navi dei veleni” sono uno degli argomenti di cui molto spesso si sente parlare, ma che molto spesso si dimentica. Più guardo il mare e la terra e più mi chiedo: “e se fosse proprio la nostra terra a farci morire?

L’incidenza tumorale in Calabria, e in particolar modo sulla costa jonica è molto alta. Spesso si leggono notizie sui quotidiani locali e nazionali, in cui vengono riportate dichiarazioni di nuovi pentiti che indicano presunti luoghi dove i barili sono stati interrati e/o navi affondate ma indagini serie non vengono fatte. Perchè non si studiano le cause? Perché si ha paura della risposta? Dobbiamo soccombere tutti prima che i mali che qualcuno ha deciso di portare nella nostra terra per il vil denaro vengano scoperti?

Leggere i dati e le previsioni sull’incidenza spaventa. Il mare può nascondere anche questo male? E se questo nostro mare non fosse più puro? Se fosse proprio lui una delle cause che ci porta ad ammalarci? E perchè inquinare il mare? Per cosa? Per soldi? Chi ci pensa alla popolazione? Molte le indagini, molte le inchieste e molti i miei pensieri e la voglia di capire.

Credo che nessuno dovrebbe provare il dolore della perdita e parlando con molte persone ad un certo punto ti rendi conto che sono molte le persone che giornalmente sono colpite nella mia zona da questo male e si rafforza in me l’idea che sia un sintomo di un male collettivo. Un caso dopo l’altro che ad un certo ti porta a chiederti: e a me quando toccherà?

Molte le navi affondate  i motivi che sposso si leggono sono diversi come quello di  incassare i soldi delle assicurazioni, oppure aiutare i “potenti” a smaltire rifiuti che nessuno vorrebbe, di solito radioattivi. Ecco che allora il Sud del mondo viene riscoperto nel suo splendore e il mediterraneo diventa la meta privilegiata per questi viaggi senza meta.

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea in provincia di Cosenza nel 1994 . ANSA/ FRANCESCO ARENA

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea in provincia di Cosenza nel 1994 . ANSA/ FRANCESCO ARENA

Alcuni nomi: la nave Aso, affondata il 17 maggio 1979 al largo di Locri. Trasportava solfato ammonico, prodotto di scarto dell’industria chimica. I documenti ufficiali riportano che la nave sarebbe affondata dopo aver colpito un oggetto sommerso. Il 31 ottobre 1986 affonda la nave Mikigan, al suo interno granulato di marmo, che come il cemento, scherma la presenza di sostanze tossiche e radioattive, affondato nel mar Tirreno. Il 21 settembre 1987 affonda la nave Rigel. Il processo si è chiuso nel maggio del 1992 inchiodando i responsabili. E’ stato un naufragio doloso e truffa alle assicurazioni. La Rigel partita da Marina di Carrara ha poi fatto meta su altre coste fino al giorno in cui venne affondata a Capo Spartivento. Nessun S.O.S lanciato dalla nave, i resoconti sono confusi, ciò che destò l’interesse gli inquirenti fu un’intercettazione telefonica in cui veniva menzionato un carico contenente “merda”. Il 9 dicembre 1988  affonda la Four Star I in un luogo non precisato nello jonio meridionale. Il 14 dicembre 1990 la Jolly Rosso, della società di Ignazio Messina, si arenò ad Amantea (CS), l’inabissamento non riuscì. La nave è stata coinvolta in una lunga inchiesta e che nonostante sia stata archiviata nel 2009, la vicenda è stata collegata all’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sullo smaltimento di rifiuti radioattivi.

Il giornalista Claudio Cordova afferma: Tante le note “riservate”. La prima è del 17 novembre 1992, allorquando gli 007 del Centro di Reggio Calabria segnalano come i fratelli Cesare e Marcello Cordì, all’epoca latitanti, avrebbero gestito lo smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi provenienti da depositi del Nord e Centro Italia, sotterrandoli lungo i canali scavati per la posa in opera di tubi per metanodotti nel Comune di Serrata, in provincia di Reggio Calabria |…| Agli atti d’archivio, però, vi sono anche le indagini per la cattura del super latitante Giuseppe Morabito, il “Tiradritto” di Africo, paese della Locride. E’ il 1994, Morabito verrà arrestato solo dieci anni dopo, ma già in quell’occasione i Servizi segnalano che il latitante, in cambio di una partita di armi, avrebbe concesso l’autorizzazione a far scaricare, nella zona di Africo, un non meglio precisato quantitativo di scorie tossiche e, presumibilmente, anche radioattive, trasportate tramite autotreni dalla Germania. Ma tutto questo non basta, Africo dopo tutto è lontana all’incirca mezz’ora dal mio paese, e quindi non stupiamoci se anche noi siamo rimasti indenni a discariche abusive di materiale tossico, serve solo il tempo che il male emerga dalla terra e nella provincia di Reggio Calabria, i luoghi dove si trovano le discariche, per la maggior parte grotte, sono: Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico (100 fusti), Motta San Giovanni, Serra San Bruno (Cz), Stilo, Gioiosa Jonica, Fabrizia (Cz).

Natale de Grazia

Natale de Grazia

Per chi non è di qui non conoscerà questi paesi, ma sono tutti molto vicini e invece chi vi abita li conoscerà uno per uno, perché vi è nato, perché ci sono gli amici o parenti, perché ha festeggiato una pasquetta, o semplicemente ci lavora o lo visita.

Forse troppo nozionismo il mio, forse è solamente un elenco di “carrette” e di carte, ma chi studia ciò che sta avvenendo nel nostro paese, c’e, esiste, sono persone che si pongono domande e visto che le risposte non vengono date da chi di dovere, le cercano da soli. Io le domande me le pongo e credo che sia giusto condividerle, per la nostra salute, anche se ormai forse è stata intaccata, e quindi credo sia giusto farlo per chi verrà. Ogni anno, vedo “la mia terra” peggiorare, e tutto questo a causa dei suoi stessi abitanti, a causa di chi dall’alto ha deciso di non prendersi cura di Lei come di una mamma e che non la culla come una figlia da far crescere nel modo più genuino possibile.

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