perdita – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 13 Sep 2021 10:30:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Il giorno del tuo 35° compleanno https://www.cultmag.it/2021/09/12/il-giorno-del-tuo-35-compleanno/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2021/09/12/il-giorno-del-tuo-35-compleanno/#respond Sun, 12 Sep 2021 18:12:18 +0000 https://www.cultmag.it/?p=7014 Lei aveva 27 anni, oggi sarebbero stati 35, mentre io vado per i 34.

Trentaquattro anni?! Ormai iniziano a essere tantini e percepisco il cambiamento in me e nei miei amici; cambiano le nostre abitudini e i nostri progetti di vita.

Addio alla meravigliosa spensieratezza della fanciullezza, quella che faceva credere invincibile e che rendeva la mente leggera. Non c’erano programmi, si assaporava la bellezza del momento, una chitarra intorno al falò, il treno dal sud per andare al concerto del Primo Maggio, la partita di calcetto a Camocelli e i viaggi in littorina.

Il passato è denso di ricordi e ogni tanto mi chiedo come sarebbe stata la mia vita con Mari accanto. Dove sarei stata oggi? Cosa avrei fatto? Sarei tornata giù o avrei abitato altrove? Avrei avuto una casa tutta mia o avrei continuato a fare i mie mille traslochi? 

E Lei? Lei sarebbe diventata Notaio? Avrebbe avuto dei figli e quindi io dei nipotini? Dove avrebbe vissuto? La nostra crociera sui fiordi l’avremmo fatta?

Domande. Tante domande, domande che non potranno mai avere una risposta e che ogni tanto si affastellano nella mia mente e mi fanno riflettere sulle decisioni prese in passato. La sua morte è stato il mio spartiacque, perché è stato quello l’esatto momento in cui la mia vita è cambiata.

Sono stata in balia di venti e burrasche. Ho tenuto il timone saldamente tra le mani, altre volte mi sono persa, altre ancora ritrovata. Ho sorriso, ho pianto, mi sono annoiata, mi sono divertita.

La vita è un percorso in continuo divenire, ci porta a mutare perennemente e se esattamente un anno fa cercavo con tutta me stessa un periodo di pausa e di silenzio dal rumore esterno, quest’anno invece comprendo di non essermi mai concessa quel tempo tanto agognato.

Una meravigliosa parola “tempo” e ancor di più lo è desiderare che questo si possa fermare come per magia su un dato momento vissuto per assaporare quel che si sta esperendo.

Quante volte durante la nostra vita accade questo? Raramente e me ne accorgo ora.

Non è facile comprendere gli avvenimenti che ci accadono giornalmente, perché quando si provano sensazioni forti, quali il dolore o la felicità, si rimane accecati, inebriati, storditi, sottomessi.

Dal giorno in cui Lei è morta ho cercato disperatamente di dare un nome al dolore e ai sentimenti che provavo. Li affrontavo e li sondavo con la riflessione, la scrittura e la fotografia, ma solo oggi mi accorgo di avere dimenticato la cosa più importante: imparare a dare un nome a tutte le mie emozioni, comprese quelle positive, per affrontare con sicurezza e maturità il mio futuro.

Scrive Alda Merini: “ieri ho sofferto il dolore”. Una poesia struggente, come solo lei sa fare. Intrisa di maturità sentimentale e di una delicatezza dilaniante che attraversa il lettore e afferra  il cuore stringendolo in una morsa.

Questo fa un animo sensibile, consapevole del proprio Essere e del proprio vissuto: affronta le proprie emozione e le comprende.

Da un nome e un’identità al proprio Essere.

Tempo fa in un articolo di una psicologa, leggevo: “l’atto di ‘dare un nome’ spesso segna l’inizio di una vita […] Chiedersi come si chiama quello che ho dentro è un passaggio fondamentale nell’acquisizione di una vera scoperta di noi, che non finisce mai”. 

È difficile raggiungere l’intelligenza emotiva, ma va fatto, perché altrimenti si rischia di avere rimpianti e di non comprendere la propria realtà.

Lo scritto continua: “attraverso un importante ‘filo conduttore’, quello delle emozioni, dei vissuti e dei ricordi, possiamo comprendere meglio i nostri desideri, le nostre aspettative, le nostre reazioni: sono tutte importanti, da ascoltare con attenzione, da immaginare nel loro dispiegarsi ed attuarsi, fino alle estreme conseguenze. È come immaginarsi il film di quello che vorremmo, nei dettagli, aiuta a conoscersi, a precisarsi meglio gli obiettivi di vita, a favorirne la realizzazione, a modificarli evitando di inseguire effimeri, tanto deludenti, falsi obiettivi”.

Dare un nome a ciò che fino a questo momento non sapevamo definire segna l’inizio del viaggio.

Mi sono sempre mossa a velocità differenti, anche schizofreniche, e se nello scritto dell’anno scorso chiedevo a me stessa una pausa, oggi credo che, a un anno di distanza, io non abbia voglia di fermarmi.

Affrontare le paure, ascoltare il silenzio, elogiarlo, comprendere la fitta trama che si sta dipanando è ciò che credo essere necessario.

È impossibile dimenticare se stessi per cercare qualcosa che non si è, ma si può aggiustare il tiro e allora quel romanticismo pervasivo, quella smodata voglia di sognare e di sorprendere, con il giusto nome e consapevolezza, assumerebbe anche una solida e concreta forma.

Questa estate, dopo 7 anni dalla morte di Mari, ho deciso di sostituire il quaderno rosa all’interno della cappella dove è sepolta. Non avevo mai avuto il coraggio di leggerlo, credevo fosse irrispettoso farlo, perché, come me, molte persone in questi anni hanno scritto frasi d’amore e di speranza a lei dedicati. Un dialogo silenzioso e amorevole.

Dopo aver passato un intero giorno a guardarlo, alla fine ho deciso di lasciarmi traghettare dal fiume di parole e ho camminato in punta di piedi in tante vite differenti, compresa la mia.

C’è chi è stato male, ma ha avuto il coraggio di lottare contro una malattia devastante; chi ha voluto cambiare vita e Le chiedeva il coraggio per mollare tutto; c’è chi in sette anni ha realizzato il sogno di una vita.

Ho letto preghiere, ho provato speranza, ho sentito determinazione e vissuto ricordi, anche quelli della nostra infanzia. Ho letto messaggi indirizzati a me e parole d’amore dedicate a mia madre.

Parole in movimento, parole sature e consapevoli…

Merini chiudeva la sua poesia con un interrogativo: “perché l’immobilità mi fa terrore?”.

Un brindisi a te mia dolce sister nel giorno del tuo trentacinquesimo compleanno.

Sempre nel mio cuore.

Testo e vita di ©Claudia Stritof 
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Quattro anni senza te… https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#comments Mon, 12 Feb 2018 15:04:18 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5423 Ernest Hemingway scriveva: «oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni dipende da quello che farai tu oggi».

Questa frase, pronunciata con parole e da persone diverse, ultimamente mi è stata detta molto di frequente. E’ difficile mettere in pratica il concetto espresso in queste poche righe perché è connotato da una coraggiosa voglia di esistenza. Vuol dire afferrare la propria vita a denti stretti e farla volgere al meglio in modo cosciente e consapevole.

A me questa consapevolezza e questo coraggio molto spesso mancano, mi crogiolo nei ricordi e nei pensieri… vago, osservo, ascolto, provo a cambiare le cose ma poi basta un intoppo per tornare al mio bicchiere sempre mezzo vuoto.

Ultimamente ho deciso di prendere una pausa da tutto ciò che era la mia vita di prima, dalle mie certezze e dalle mie insicurezze. Sto cercando di affrontare il mondo “da sola” e ho deciso di farlo cambiando le carte in tavola quasi all’improvviso. Ho preso delle decisioni che stanno avendo delle conseguenze – sopratutto sul mio sonno, visto che ormai dormire è diventata un’impresa non da poco – ma ho deciso di farlo lo stesso. Non so se queste mi porteranno ad una realtà più consapevole, ma semplicemente dentro di me ho sentito che era giunto il momento, perché se si ha paura della solitudine non si avrà mai la lucidità per poter stare bene con gli altri.

Un giorno leggendo Se il sole muore di Oriana Fallaci ho ritrovato le sensazioni che stavo provando: «sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa […] Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi».

Leggendo questa frase mi sono detta: ecco un’altra persona che sa come vivere. Alcune volte mi chiedo come si possa raggiungere questa consapevolezza… Se c’e un qualche libro rivelatore di cui non sono a conoscenza, una poesia o una musica che da avvio al tuo cambiamento facendoti acquisire concretezza. Cosa fa dire “eccomi, sono al mondo e sto bene!”?

Le domande che la Fallaci pone mi hanno spaventata perché mi sono resa conto di essere titubante, di cercare amore e di aver paura di riceverlo e ormai, alla soglia dei trent’anni, è ora di fare i conti con il mio dolore ma anche con le mie gioie e le mie insicurezze.

Oggi è il 12 febbraio 2018. Sono passati quattro anni  da quel maledetto giorno e da allora sono successe così tante cose che mi sembra essere passata una vita intera.

Non so dire cosa sia cambiato effettivamente e non posso neanche dire che il dolore sia meno intenso: in alcuni giorni si sente un male lancinante che ti scuote e che non comprendi. Senti che la solitudine si impossessa di te lentamente e poi esplode all’improvviso.

Ricordo Mari quanto era meravigliosa, ricordo il suo sorriso e il suo modo di prendermi in giro. Ricordo che era bellissima e sicura di sé. Ricordo che in alcuni momenti mi faceva incavolare tantissimo, e che io facevo incavolare lei, tanto da non parlarmi per giorni interi.

Oggi scrivere è difficile, sarà la pioggia, saranno gli impegni della giornata, ma faccio fatica a pensare, o meglio, a ricordare. Allora ho preso il mio diario di quei giorni ormai lontani. Un diario che spezza il cuore, perché in quei momenti non ho avuto la lucidità di filtrare i miei pensieri e ho descritto minuziosamente ogni apparizione giornaliera di quel maledetto mostro sul suo corpo.

Vi risparmio questa lettura perché penso che non faccia bene a nessuno, ma ciò di cui mi stupisco è la lucidità della perdita che non ricordavo assolutamente di avere: il 14 novembre 2013 «io e Mari abbiamo fatto una bella passeggiata sul lungomare, abbiamo scherzato tanto e parlato. Lei è molto tenera. Alterna momenti di tristezza a momenti di grinta».

Il 15 novembre è stato un giorno positivo «abbiamo guardato Ritorno al futuro […] Nel pomeriggio Mari si è levata quella maledetta tuta e finalmente è tornata splendete e impeccabile come una volta. Sempre sui tacchi, sempre perfetta mentre mamma è in cucina che prepara la pizza». Durante lo stesso giorno annotavo: «non riesco a non pensare che lei non sarà lì a sostenermi quando starò male, a gioire quando sarò felice. Rimarrò senza Lei che per tutta la vita ho imitato e amato più di ogni altra cosa. Cerco di non pensarci ma non ci riesco e l’unica cosa che spero ogni notte prima di addormentarmi è che lei si svegli bella, grintosa e sorridente come pochi mesi fa». Lo scritto prosegue con note “tecniche”: «eliminare la puntura di cortisone. Introdurre deltacortene e diminuire keppra di uno (siamo a quattro). V giorno di Themodal».

Da questo scritto mi sono resa conto che dopo quattro anni non ricordo più i nomi dei medicinali, eppure li conoscevo come mamma ricorda a memoria le preghiere del suo rosario… le bisbigliavo ogni attimo e le annotavo minuziosamente sul quadernino delle medicine, con tutti i vari parametri.

…arriviamo al 9 dicembre. Era un lunedì soleggiato e la mia mente era attanagliata da mille domande: «raccontare le proprie storie di vita, le proprie gioie e i propri malanni… a cosa serve? Forse serve a qualcuno che è nella tua stessa condizione? Forse serve a dare la carica a chi sta meglio e alcune volte perde il coraggio di vivere? Forse serve solo a me. Mari deve fare la risonanza e al momento è dentro. Lei è sempre più confusa. Il glioblastoma è una bestia nera, io cerco informazioni su cosa accadrà. Mi sembra di non darle nessun aiuto. Parlo con le persone che hanno il suo stesso male: la signora che ho incontrato oggi ha 65 anni e anche lei ha un tumore al cervello. Prende soldesam, keppra, etc. ma i dosaggi sono minori, molto più bassi rispetto a quelli di Mari […] Rimane la speranza di un risultato positivo… Ma so che non sarà così… Ho paura delle posate che cadono dalle sue mani e dei bicchieri versati».

Direi che posso conclude qui con i ricordi e torniamo al presente e alla bellissima scoperta che mi ha fatto fare Vittoria proprio in questi giorni: il Questionario di Proust – un test molto interessante per cercare di comprendere qualcosina in più della propria persona. Una delle domande è:

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Non so bene quale sia la mia risposta definitiva ma il mio primo pensiero è stato “poter tornare indietro nel tempo”, riabbracciare Mari e vivere nuovamente quell’ultima passeggiata insieme sul lungomare di Gioiosa, perché ora sono consapevole del fatto che sarebbe stata la nostra ultima camminata insieme. Una passeggiata di cui ricordo ogni attimo, le foto fatte quel giorno, i manifesti strappati del circo vicino al vecchio passaggio a livello, la lumaca in fondo al lungomare, l’asfalto bagnato e lei che mi dice: «Cla andiamo a casa, sono stanca». Siamo state bene. Eravamo semplicemente io e lei.

Sò che “l’essere felice a piene mani” mi è stato strappato quel giorno, sono consapevole di questo, ma credo anche che in questa vita ci possa essere altro. Tempo fa ho osservato le stelle: si osservano ogni sera, ma non le ricordavo così belle e splendenti, forse perché era da tanto tempo che non mi prendevo un attimo per stare immersa nel buio di una montagna ad osservare il cielo. Ciò che ho capito quella sera è che posso ancora sorprendermi. Osservare delle semplici stelle e scoprire che brillano e palpitano come mille cuori, ognuna diversa dall’altra, qualcuna in modo più flebile, altre in modo più intenso.

Il mio sogno di felicità?

Potrebbero essere delle stelle, potrebbe essere un abbraccio, potrebbe essere un sorriso sulla porta, un aperitivo con le amiche, delle olive mangiate con Mattia a Milano, mille risate con Vitto e Mauri in galleria per figuracce colossali, un medico gentile di cui ti fidi che ti da una buona notizia e ti dimentichi di pagare perché vivi sulle nuvole, oppure potrebbero essere tutte queste cose insieme. Forse il mio sogno di felicità potrebbe consistere nel trovare il coraggio, che gli altri dicono di vedere in me, ma che io non riesco a scorgere; forse il sogno consiste nel credere che la “felicità” possa realmente esistere e che questa non si manifesti sorridendo, ma credere che prima o poi potrai rifarlo senza avere paura.

***

Questionario di Proust:

Qual è, per lei, la più grande disgrazia?

Dove le piacerebbe vivere?

Qual è il suo ideale di felicità sulla terra?

Quali colpe le ispirino maggiore indulgenza?

Chi sono i suoi registi preferiti?

Chi sono i suoi pittori preferiti?

Chi sono i suoi compositori preferiti?

Che qualità apprezza in un uomo?

Che qualità apprezza in una donna?

Quali sport pratica?

Sarebbe capace di uccidere qualcuno?

Qual è la sua occupazione preferita?

Chi le sarebbe piaciuto essere?

Qual è il tratto principale del suo carattere?

Cosa apprezza di più negli amici?

Qual è il suo difetto principale?

Qual è la prima cosa che l’attrae in una donna?

Qual è il suo colore preferito?

Qual è il suo fiore preferito?

Chi sono i suoi autori preferiti in prosa?

Chi sono i suoi poeti preferiti?

Chi sono i suoi eroi nella vita reale?

Quali sono i suoi nomi preferiti?

Cosa detesta più di tutto?

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Crede all’immortalità dell’anima?

Come vorrebbe morire?

Qual è lo stato attuale del suo animo?

***

 

Testo e vita di ©Claudia Stritof
Immagine di copertina ©SASHA IGNATIADOU.
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Il risveglio piangente https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#respond Fri, 01 Dec 2017 19:47:20 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5301 Premessa: questo scritto è nato da una fotografia, che a sua volta è nata da un sogno e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni per tutta questa giornata che sta per concludersi.

In alcuni giorni si sente un male lancinante dentro, un male che ti fa sospirare e che ti fa scuotere qualcosa che non sai come far tacere… sei semplicemente inquieta.

Non sono ancora passati quattro anni da quando Mari non c’e più e “quel qualcosa” che cerchi di nascondere ogni tanto emerge quando meno te lo aspetti. Se questo insorge come pensiero durante la giornata allora il risultato saranno tanti ricordi e sospiri, ma se questo emerge nel sogno allora vorrà dire che la tua giornata sarà inevitabilmente segnata dal ricordo di una sensazione pseudo-fisica, che illusoriamente ti fa pensare di aver abbracciato di nuovo tua sorella. Un misto di beltà e follia.

Con l’Ipod fermo al 2006 allora ho deciso di non bloccarmi e… scrivere di getto con la foto già ben stampata nella mente. E’ un oggetto che ho già fotografato ma che per me  è di inestimabile valore perché rappresenta Lei: la sua guancia, il suo rossetto impresso nella plastica, il suo naso… in poche parole il suo volto.

Questa notte ho sognato Mari, mi capita molto di rado, ma quando accade – per quanto possa essere doloroso – mi fa stare bene al punto da non volermi svegliare più. Puntualmente questo accade quando le emozioni che sto provando diventano troppo forti… e questo comporta il più delle volte il “risveglio da ciangiulina”.

Come spesso accade con i voli pindarici che si fanno durante i sogni, improvvisamente dalla casa di Bologna mi sono ritrovata catapultata a Gioiosa. La giornata è tempestosa, salgo in casa e mia nonna mi dice: «mamma e Mari sono a casa di Isa».

Attraverso il giardino e m’incammino nella strada buia, intorno a me nessun rumore, solo l’infrangersi delle onde sul muro del lungomare. Una persona per pochi istanti mi segue ma mentre cerco di voltarmi per guardarla le strane ciabatte che porto ai piedi mi cadono. Noncurante le prendo in mano e inizio a correre. L’appartamento di Isa è diverso e subito vedo mamma e Mari. Corro verso di lei senza pensarci e la abbraccio.

Mari non è la stessa: è un pò fredda, triste e rallentata nei movimenti… e ad un certo punto mi dice: «Ah, ma che bel giubbottino stretto che hai… finalmente non ti vesti più come una zingarella». Mentre saluto mamma, Mari mi porge una piccola scatola contenente all’interno dei top con una grande cucitura sul lato e afferma: «Cla dobbiamo attaccare il vetro dell’oculista nella parte retrostante». Io le rispondo: «certo Mari, li faremo tutti… non ti lascio più».

Esattamente in questo preciso momento mi sveglio!

Non credo che sogni e frasi sconnesse possano interessare a qualcuno, ma ciò che mi preme ricordare è quell’abbraccio: intenso, lungo, evanescente. Un abbraccio che mi ha stretto il cuore fino quasi a farlo esplodere di immensa gioia e di immenso dolore tanto da farmi svegliare alle 3 di notte in lacrime.

Credo sia normale ogni tanto svegliarsi piangendo, a me capita, e incuriosita sono  andata a leggere un pò di commenti sull’argomento. Uno di questi dice: «i sogni dicono sempre qualcosa di sé […] svegliarsi piangendo è quello che rende la sensazione avvertita nel sogno verosimile e poi reale, per cui sicuramente ti lascia un vissuto di tristezza. Talora i sogni ci aiutano a parlare con noi stessi circa eventi o situazioni che viviamo che ci condizionano e talvolta anche indirettamente viviamo […] I sogni […] certamente hanno importanza, se al risveglio ancora ne vivi le conseguenze». Beh, su quest’ultimo punto direi che è decisamente vero. I sogni sono parte di me, parte della mia vita, parte del mio passato e parte di ciò che ho perso… ed è anche l’unico modo per poterlo riottenere per pochi fugaci istanti. Dopotutto non credo che una piccola lacrima abbia mai fatto male a nessuno e infatti come ha scritto Bachelard «noi soffriamo per i sogni» ma è proprio grazie ad essi che noi «guariamo». Questo perché ci regalano la possibilità di poter riassaporare un ricordo che nel sogno ha tutta la consistenza della vita reale. Attimi inafferrabili, sensazioni che presto verranno dimenticate ma che per un momento sono state fugacemente reali.

Day 335 Il risveglio piangente. Bologna, 1 dicembre 2017.
L’immagine di oggi è nata da un sogno, che a sua volta ha dato vita ad uno scritto e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni

***

Immagine di copertina ©Clément Lefèvre.

Testo e vita di ©Claudia Stritof.

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Tre anni senza te… https://www.cultmag.it/2017/02/12/tre-anni-senza-te/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/02/12/tre-anni-senza-te/#comments Sun, 12 Feb 2017 09:43:28 +0000 https://www.cultmag.it/?p=4512 3 anni… in alcuni momenti mi sembra un’infinità di tempo come se fossero passati secoli da quel 12 febbraio 2014.

Non scorderò mai il momento in cui è andata via: ero sul terrazzo che parlavo al telefono con il mio migliore amico e ho chiuso la chiamata improvvisamente. Non scorderò la disperazione sul volto di mia madre, né le mani di mio zio che angosciosamente toccavano i miei capelli mentre io accarezzavo la guancia di Mari per l’ultima volta. Non scorderò mai quello che ho provato e che mi è impossibile raccontare perché troppo forte e ancora troppo doloroso per me.

Dopo tre anni concretizzare le parole è difficile perché non so dire cosa sia cambiato, ma io sono diversa e i miei occhi anche. Ne ho avuto la certezza qualche giorno fa quando un’amica ha commentato una mia foto che risale a circa quattro anni fa e che aveva scattato proprio Marinella: «Bonita!! E di più l’occhio ridente». La cosa mi ha fatto riflettere perché questa semplice frase denota una realtà a cui non posso sfuggire: i miei occhi sono diversi e lo saranno per sempre. Come ha detto mia cugina: “non possono essere  gli stessi, e Cla, i tuoi non lo sono già da tanto tempo”.

Da 3 anni vivo a fasi alterne come se ogni tanto dentro di me venisse a mancare la corrente o al contrario fossi in sovraccarico di emozioni.

Fino a qualche tempo fa ero ossessionata dal ricordo della malattia, che purtroppo quando emerge mi allontana dai momenti felici passati insieme a lei. Per fortuna però questi ultimi stanno iniziando a riemergere, anche se al momento sono pochi.

I miei “ricordi felici” sono giunti in un momento banale ed erano anch’essi pensieri che qualcuno giudicherebbe futili e che invece mi hanno fatto sorridere. Piccoli e timidi flashback felici che speri non finiscano mai per poter indugiare nei ricordi di te e lei insieme.

Il ritorno dei miei fragili flashback ha coinciso con il rinascere del mio sorriso. E’ molto strano spiegarlo ma era come se mi fossi persa: ricordavo la malattia e il suo dolore ma non ricordavo Noi felici. Come se la malattia avesse obliato i miei ricordi: le orecchie da renna che indossavamo a Natale, le nostre cene a base di Traminer o Muller, le mille ore che perdeva a farmi i capelli con la piastra, quando mi costringeva a indossare i tacchi e invece quando terrorizzata dalla sua guida pazza mi attaccavo alla maniglia della macchina.

Nella perdita di una persona cara ciò che viene a mancare è la quotidianità, i piccoli momenti di normalità e routine, che in realtà capiamo essere preziosi solo nel momento in cui non li abbiamo più. Ciò che cambia sono le emozioni e i sentimenti. Diventano contrastanti: vorresti essere felice ma non lo sei mai pienamente, hai quel sentimento dentro che fa male e non ci puoi fare nulla.

Banalmente, quando penso alle nostre giornate di shopping, il pensiero mi rende immensamente felice, ma allo stesso tempo, quando poi sono costretta a fare shopping da sola divento triste, perché lei era l’unica che riusciva a farmi comprare dei vestiti che non fossero neri.

Ogni tanto, guardando il nostro divano rosso, ripenso a quando dopo pranzo ci sdraiavamo lì e guardavamo un’infinità di programmi scemi, cosa che ormai mi capita raramente, ed è lì che ti accorgi che quei continui litigi per decidere cosa guardare facevano parte di te e che hai perso la tua parte “diversa” quella che ti faceva essere un pò più lei e che ti influenza positivamente nel tuo modo di essere.

Paulo Coelho in Adulterio scrive: «Che cosa c’è di sbagliato nella routine della quotidianità? A essere sincera, proprio niente. Solo… Solo il terrore segreto che tutto cambi all’improvviso, cogliendomi alla sprovvista» ed è quello che è successo a Noi. Tutto è cambiato improvvisamente e allora pensi che quella quotidianità non era poi così male.

Un pò di tempo fa a Padova mi è capitato di assistere a due scene meravigliose per quanto banali ma che hanno generato in me il ricordo che mi ha fatto sorridere.

Due ragazze – figlie di amici di famiglia – la mattina prima di andare a scuola avevano litigato per dei jeans non prestati. Scese dalla macchina: una camminava avanti e l’altra dietro senza mai parlarsi. La cosa ha suscitato in me tanta tenerezza perché lo stesso succedeva a noi: non si sa per quale ragione i vestiti un giorno venivano prestati con felicità, il giorno dopo invece diventavano motivo di litigio. Le ragazze non sanno che quel momento, benché caratterizzato dal risentimento, è in realtà un momento prezioso del loro vissuto, ed è giusto che non lo sappiano perché rappresenta la loro quotidianità.

Ma la storia delle due sorelle non finisce qui, infatti, il giorno dopo scherzavano e ridevano come se nulla fosse successo, come solo due sorelle possono fare perché si sa «le sorelle non hanno bisogno di parole. Hanno perfezionato un linguaggio di smorfie e sorrisi» che solo loro possono capire. Un legame indissolubile e profondo che cela in se quel pizzico di fanciullezza che solo una sorella può conoscere di te.

In questi tre anni mi sono persa nei miei pensieri, mi sono ritrovata, mi sono ripersa e ritrovata nuovamente. Cerco una strada, cerco di tramutare ciò che ho perso in qualcosa da raccontare agli altri perché è difficile raccontare se stessi quando si è persa una parte del proprio essere.

Credo che a 3 anni di distanza la mia mente sia confusa… che la mia ricerca nel capire perché ci sia successo questo non è mai giunta al termine e ti accorgi anche che la continua ricerca in alcuni momenti ti porta fuori strada. Sei qui ma non sei in nessun luogo e molti dei tuoi momenti ti ritrovi a viverli in solitudine.

Mi è capitato di raccontare la mia storia a persone appena conosciute in un ospedale, in un supermercato, su un treno e a mia volta ascoltare le loro. E’ più facile parlare con chi non si conosce perché non ci sono pregiudizi e paura, semplice partecipazione e onesta apertura dell’anima, probabilmente perché sai che quella persona non la rivedrai mai più.

Riflettendo sulla vita e sul percorso che ognuno di noi compie per giungere al proprio traguardo personale mi è tornato in mente un video dell’artista Giovanna Ricotta dal titolo Fai la cosa giusta.

Fai la cosa giusta… è una metafora che si svolge in tre fasi dell’esistenza in cui l’artista incarna la “moto-geisha-samurai”: la prima fase è la consapevolezza «del dover fare qualcosa», la fase intermedia è caratterizzata dalla “follia” creativa e per ultima la disciplina «che permette di arrivare alla meta compiendo la giusta azione».

In fin dei conti ciò che si deve ricercare nella vita, come nell’arte, è la concentrazione, credere che pensieri e azioni positive possano farci stare bene un domani e che la nostra genuina follia possa realmente farci scoprire la nostra strada. E’ dura, lo so, ma vale la pena provarci, cercare giorno per giorno di ricordare chi siamo stati, con chi lo siamo stati e come eravamo per capire chi stiamo diventando.

Vi lascio con un piccolo frammento di Noi, di Lei. Una conversazione avvenuta tra me e Mari quando già il male che ce l’ha portata via l’aveva aggredita, ma lei forte, bella e tenace non ha mai smesso di sognare. Di poter ricominciare a vivere e di lottare per ciò in cui credeva fermamente.

M: Comunque ieri ultimo esame!!! E da oggi vita nuova… Preparazione intensiva.
C: Bellezza. E io che non riesco a studiare.
M: E mi sento fiduciosa, vincerò presto il concorso. Il cervello mi funziona e sto imparando e studiando un casino di cose!!! Oggi vado anche a tagliare i capelli.
C: Iuuuu. E certo che vinci il concorso. Dobbiamo aprire anche una galleria d’arte.
M: Niente galleria…non ti finanzierò!!!! 😋😋
C: Seeeeee. Come no…

La nostra quotidianità. La sua forza, la nostra vita. Ciao Sister.

***

Testo, pensieri e vita di Claudia Stritof.

MAMbo, Fai la cosa giusta (performance), Giovanna Ricotta – Foto di Marcello-Medici.

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