Proust – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Thu, 12 Mar 2020 17:56:12 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Il tempo per dirsi addio https://www.cultmag.it/2018/08/30/addio/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/08/30/addio/#respond Thu, 30 Aug 2018 08:09:48 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5632 Quando si vivono momenti di tristezza non si riesce a controllare il proprio pensiero razionalmente, ma ci si sente bloccati, come se ci si trovasse a vagare in un girone dell’inferno senza una via d’uscita.
Capita che la mente si ritrovi come sotto un lento attacco ipocondriaco “da passato riemerso” e che presa alla sprovvista non sappia gestire la situazione.
Questi giorni sono stati densi, inaspettati e totalizzanti poiché mi sono trovata ancora una volta ad osservare il dolore nel volto delle persone che mi circondavano e condividerlo con loro.
I racconti ascoltati, le paure, l’angoscia e l’incertezza di chi rimane è familiare a chi ha già sperimentato il senso profondo della perdita… Eppure quando pensi di essere uscita indenne da certi pensieri e certi “ricordi tristi”, ecco che all’improvviso questi riemergono e ti ritrovi ad essere impaurita da tutto ciò che ti sta accanto.
La paura di perdere le persone che ami da un momento all’altro senza poter far nulla, la paura di star male, la paura di veder soffrire chi vuoi bene, la paura di un domani incerto e degli avvenimenti incontrollabili.
Esistono delle “recidive di dolore” che nascono dalla sofferenza altrui, ma questo è un dolore diverso rispetto a quello vissuto in prima persona. Non è la tristezza quotidiana, né quello intenso dell’ultimo bacio, ma è altro per forma e contenuto emotivo.
Un intreccio di malinconia e dispiacere unito alla paura delle sensazioni provate in passato e ora riecheggiate dalla nuova perdita. Freud lo chiamava il “ritorno del rimosso”: un ricordo riemerso da un oblio profondo, che con tanta fatica si è cercato di dimenticare ma che per un evento consimile è riemerso con tutta la sua carica perturbante.
Questo non si manifesta immediatamente, perché la voglia di stare accanto a chi vuoi bene prevale, ma qualcosa dentro di te si smuove e quando si rimane soli i pensieri iniziano a prendere forma nei meandri oscuri della mente.

In questi giorni mi sono chiesta più volte cosa sia il tempo…

Il “tempo quotidiano” che ti insegna pian piano a far pace con te stessa, quello del tragitto per arrivare sul luogo di lavoro, quello passato tra gli scaffali del supermercato.

Il “tempo lento” delle ore interminabili prima di un esame, del viaggio verso casa, della notte passata in ospedale al capezzale della persona a cui si vuole bene, e infine, il “tempo fulmineo” delle ore passate piacevolmente a chiacchierare, delle cene in famiglia o delle serate con gli amici.
Il tempo è vissuto sempre con soggettività, a tratti veloce, a tratti interminabile: è questo il vero paradosso, il suo essere sempre in eccesso o in difetto, quando ad essere messi in gioco sono sentimenti importanti della propria vita.

Più che il tempo “quotidiano” o il tempo “eterno”, mi piace pensare al tempo cairologico, al momento giusto, opportuno, quel momento che noi giudichiamo essere speciale per una qualche ragione.
Non un tempo quantitativo, come successione di istanti ed eventi, ma una qualità della vita e dei sentimenti che, in positivo o in negativo, rimangono dentro di sé andando a costituire la nostra vera essenza.
Proust, in quel gran capolavoro che è La recherche, scriveva: «troviamo di tutto nella nostra memoria: è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso», ed è esattamente così.
I nostri ricordi, nettare vitale dell’esistenza, quando riemergono possono far sorgere una moltitudine di sensazioni, dal sorriso sulle labbra alle lacrime negli occhi e, ahimè, in questi giorni sono riemerse le lacrime…

Mario. Un omino magro, con il cappello in testa e il papillon al collo. Un omino simpatico, che era anche un uomo grande e forte, anche se dal fisico gracile e mingherlino.
Silvana. Una signora d’altri tempi, sempre con i tacchetti, i capelli ben curati e i vestiti eleganti. Anche lei era gracilina, soprattutto in questo ultimo periodo. Erano entrambi due lottatori. Entrambi hanno vinto importanti battaglie ma soprattutto le hanno combattute. Due vite vissute pienamente. Due vite scomparse improvvisamente a poche ore di distanza l’una dall’altra.

Il tempo della trista mietitrice, in questo caso, è stato fulmineo, al contrario di quello da me vissuto tramite i ricordi negli ultimi giorni. Un tempo fatto dal ricordo delle ore trascorse insieme, di discorsi densi, di abbracci dati e di risate.

Dopo questo scritto, lento e ponderato, le paure aleggiano ancora su di me ma in forma più lieve… ciò che ho cercato di fare è cambiare il punto di vista, un pò come ci mostra Anselm Kiefer nel suo Sol Invictus. Certamente l’artista ci fa vedere la caducità della vita e la fragilità dell’esistenza, ma non per farci esperire la mera morte del corpo, ma la rinascita e la rigenerazione dell’uomo.
Il girasole, con il suo capo reclinato in maestoso silenzio sul corpo celebra l’ultimo triste commiato alla transitorietà e sottrae l’uomo – così come allo stesso modo fanno i nostri ricordi – all’ineluttabile passare del tempo sublimandolo eternamente all’ordine universale.
«Il tempo è troppo lento per coloro che aspettano, troppo rapido per coloro che temono, troppo lungo per coloro che soffrono, troppo breve per coloro che gioiscono, ma per coloro che amano il tempo è eternità», non ricordo dove ho letto questa frase, causa la mia passione sfrenata per i post-it, ma il succo è questo, quello che si dovrebbe fare è solo amare il proprio tempo perché altro non significa che vivere la propria vita intensamente e liberamente, assaporandone la vera essenza circondandoci delle persone a noi care.

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Anselm Kiefer, Sol Invictus, 1995.

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Testo e vita di ©Claudia Stritof
Immagine di copertina @Anselm Kiefer, The Orders of the Night, 1996.
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"L’unica maniera per realizzare i propri sogni è svegliarsi" https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#respond Sat, 20 Dec 2014 16:51:50 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1476 C’e chi rimanda la sveglia per oltre un’ora. Chi si alza subito e prepara il caffè. Chi legge le notizie del giorno sotto le coperte. Chi fa l’amore. Chi accende la televisione. Chi ascolta la radio. Chi inizia a parlare con il proprio compagno o la propria famiglia. Chi è muto e scontroso per molte ore. Tutti noi abbiamo i nostri rituali la mattina appena svegli e li svolgiamo meticolosamente per iniziare bene la giornata.

Io sono una mattiniera, in periodi di maggior produttività mi capita di svegliarmi anche alle 4:30, il perché non lo so, ma svegliarmi presto, mi rilassa, mi fa riflettere senza sentir nessun rumore intorno o il cellulare che squilla. Quando vivevo a Firenze abitavo al quarto piano e la mattina era mia abitudine dirigermi verso la cucina, preparare il caffè e tornare in camera con la tazzina piena. La scrivania era davanti alla finestra e mentre bevevo il caffè osservavo le molte finestre di fronte.

Photo-by-Otto

Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922).

Una signora era già in piedi, prendeva il caffè in cucina poi andava nel salotto. Alle 6.30 si accendevano le luci della coppia che abitava al piano di sotto e una alla volta tutte le finestre del palazzo si illuminavano. Pian piano i suoni aumentavano, iniziavano a passare tram con più frequenza e la città si animava. Quel mio osservare, capire le abitudini o gli orari era un modo per cercare di comprendere le persone o semplicemente immaginare cosa loro potessero fare in quel dato momento.

Cercando delle fotografie sull’argomento in realtà mi sono imbattuta nel libro di Mason Currey, «Daily Rituals» (Rituali quotidiani), uscito nel 2013 in cui racconta come grandi artisti, scrittori e personaggi affrontavano la loro giornata di lavoro, dall’alzataccia mattutina all’andare a dormire.

Molti sono gli artisti che prediligono alzarsi presto la mattina: Mozart, l’architetto Frank Lloyd Wright e Georgia O’Keeffe, solo per citarne alcuni, spinti da varie ragioni come la possibilità di scrivere indisturbati, oppure perché  ispirati e con la mente libera dai pensieri o approfittare delle prime ore del mattino prima che la famiglia si svegli.

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Hemingway era uno di questi, nonostante le sue notti fossero dedite alla svago e all’alcol, si svegliava verso le 5:30, preparava la sua tazza di caffè e iniziava a scrivere immerso nella solitudine della sua stanza. Anche Beethoven si svegliava molto presto, lo immagino in vestaglia e pantofole mentre si avvicina alla cucina e prepara il suo caffè contando i chicchi (dovevano essere 60 per una tazza), iniziando poi a comporre. Dopo un po’ di ore interrompeva il lavoro e passeggiava per tutto il pomeriggio, non andando mai a dormire più tardi delle 22:00. Gustav Mahler, invece, era uno di quei tipi scorbutici la mattina, si svegliava alle 6:00 anche quando era in vacanza; Thomas Mann a differenza si alzava tutti i giorni alle 8:00, preparava il caffè dopo mezz’ora e faceva colazione con la moglie. Anche Jane Austen preparava la colazione per la famiglia alle 9:00, non prima però di aver suonato il pianoforte. Mentre Haruki Murakami, quando è in fase di stesura di un romanzo si sveglia puntualmente alle 4:00.

Sylvia Plath cercava disperatamente una routine stabile conciliando creatività e vita familiare, soprattutto dopo il divorzio con il marito Ted Hughes. Sveglia verso le 5:00 per scrivere indisturbata mentre i figli dormivano, poi preparava la colazione, svegliava i bambini e così iniziava la giornata.

Un colpo di pistola sparato dal vicino di casa svegliava molto presto Victor Hugo all’alba, il caffè gli veniva portato dalla sua amante Juliette Drouet, sua vicina di casa. Mangiava due uova crude e subito dopo iniziava a scrivere. L’architetto Le Corbusier si svegliava alle 6:00 per svolgere i suoi 45 min. di ginnastica.

Poi ci sono coloro che si svegliavano a metà mattina come Scott Fitzgerald che si alzava alle 11:00 e allo stesso orario si alzava David Foster Wallace. Gustave Flaubert invece si svegliava solo un’ora prima, batteva al soffitto per chiamare la madre che scendeva al piano inferiore e chiacchierava con lui per un po’ di tempo.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Proust si svegliava tardissimo, tra le 15:00 e le 18:00. Il suo era un rituale molto particolare perché si racconta che era solito fare prima una tiratina di oppio per curare l’asma di cui soffriva, nel frattempo preparava il caffè e mangiava il suo buon croissant, per poi iniziare a scrivere nella stanza insonorizzata con il sughero. Ma abitudini particolari caratterizzavano anche Benjamin Franklin che sedeva nudo accanto alla finestra per un po’ di tempo in completo relax, infine Honoré de Balzac che dormiva poco, si sa che beveva circa 50 tazze al giorno di caffè per restare sveglio. Si svegliava all’una di notte e scriveva per tutta la notte. Genio e sgregolatezza… ognuno di noi ha abitudini diverse nello svegliarsi. Ma l’importante è farlo… e per concludere cito Antonio Machado Ruiz, pittore e scrittore spagnolo:

“Dopo il vivere e il sognare, ecco ciò che più conta: il risveglio”.

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Hermann Hesse con Thomas Mann, St. Moritz, 1932.

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Tabella Routines.

Tabella Routines.

 

 

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