sogni – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Thu, 12 Mar 2020 17:56:12 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 "L’unica maniera per realizzare i propri sogni è svegliarsi" https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/12/20/lunica-maniera-per-realizzare-i-propri-sogni-e-svegliarsi/#respond Sat, 20 Dec 2014 16:51:50 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1476 C’e chi rimanda la sveglia per oltre un’ora. Chi si alza subito e prepara il caffè. Chi legge le notizie del giorno sotto le coperte. Chi fa l’amore. Chi accende la televisione. Chi ascolta la radio. Chi inizia a parlare con il proprio compagno o la propria famiglia. Chi è muto e scontroso per molte ore. Tutti noi abbiamo i nostri rituali la mattina appena svegli e li svolgiamo meticolosamente per iniziare bene la giornata.

Io sono una mattiniera, in periodi di maggior produttività mi capita di svegliarmi anche alle 4:30, il perché non lo so, ma svegliarmi presto, mi rilassa, mi fa riflettere senza sentir nessun rumore intorno o il cellulare che squilla. Quando vivevo a Firenze abitavo al quarto piano e la mattina era mia abitudine dirigermi verso la cucina, preparare il caffè e tornare in camera con la tazzina piena. La scrivania era davanti alla finestra e mentre bevevo il caffè osservavo le molte finestre di fronte.

Photo-by-Otto

Valentin Louis Georges Eugène Marcel Proust (Parigi, 10 luglio 1871 – Parigi, 18 novembre 1922).

Una signora era già in piedi, prendeva il caffè in cucina poi andava nel salotto. Alle 6.30 si accendevano le luci della coppia che abitava al piano di sotto e una alla volta tutte le finestre del palazzo si illuminavano. Pian piano i suoni aumentavano, iniziavano a passare tram con più frequenza e la città si animava. Quel mio osservare, capire le abitudini o gli orari era un modo per cercare di comprendere le persone o semplicemente immaginare cosa loro potessero fare in quel dato momento.

Cercando delle fotografie sull’argomento in realtà mi sono imbattuta nel libro di Mason Currey, «Daily Rituals» (Rituali quotidiani), uscito nel 2013 in cui racconta come grandi artisti, scrittori e personaggi affrontavano la loro giornata di lavoro, dall’alzataccia mattutina all’andare a dormire.

Molti sono gli artisti che prediligono alzarsi presto la mattina: Mozart, l’architetto Frank Lloyd Wright e Georgia O’Keeffe, solo per citarne alcuni, spinti da varie ragioni come la possibilità di scrivere indisturbati, oppure perché  ispirati e con la mente libera dai pensieri o approfittare delle prime ore del mattino prima che la famiglia si svegli.

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Miller Hemingway (Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961).

Ernest Hemingway era uno di questi, nonostante le sue notti fossero dedite alla svago e all’alcol, si svegliava verso le 5:30, preparava la sua tazza di caffè e iniziava a scrivere immerso nella solitudine della sua stanza. Anche Beethoven si svegliava molto presto, lo immagino in vestaglia e pantofole mentre si avvicina alla cucina e prepara il suo caffè contando i chicchi (dovevano essere 60 per una tazza), iniziando poi a comporre. Dopo un po’ di ore interrompeva il lavoro e passeggiava per tutto il pomeriggio, non andando mai a dormire più tardi delle 22:00. Gustav Mahler, invece, era uno di quei tipi scorbutici la mattina, si svegliava alle 6:00 anche quando era in vacanza; Thomas Mann a differenza si alzava tutti i giorni alle 8:00, preparava il caffè dopo mezz’ora e faceva colazione con la moglie. Anche Jane Austen preparava la colazione per la famiglia alle 9:00, non prima però di aver suonato il pianoforte. Mentre Haruki Murakami, quando è in fase di stesura di un romanzo si sveglia puntualmente alle 4:00.

Sylvia Plath cercava disperatamente una routine stabile conciliando creatività e vita familiare, soprattutto dopo il divorzio con il marito Ted Hughes. Sveglia verso le 5:00 per scrivere indisturbata mentre i figli dormivano, poi preparava la colazione, svegliava i bambini e così iniziava la giornata.

Un colpo di pistola sparato dal vicino di casa svegliava molto presto Victor Hugo all’alba, il caffè gli veniva portato dalla sua amante Juliette Drouet, sua vicina di casa. Mangiava due uova crude e subito dopo iniziava a scrivere. L’architetto Le Corbusier si svegliava alle 6:00 per svolgere i suoi 45 min. di ginnastica.

Poi ci sono coloro che si svegliavano a metà mattina come Scott Fitzgerald che si alzava alle 11:00 e allo stesso orario si alzava David Foster Wallace. Gustave Flaubert invece si svegliava solo un’ora prima, batteva al soffitto per chiamare la madre che scendeva al piano inferiore e chiacchierava con lui per un po’ di tempo.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Ritratto di Honoré de Balzac (Tours, 20 maggio 1799 – Parigi, 18 agosto 1850). Tratto da un dagherrotipo del 1842. Photo by DeAgostini/Getty Images.

Proust si svegliava tardissimo, tra le 15:00 e le 18:00. Il suo era un rituale molto particolare perché si racconta che era solito fare prima una tiratina di oppio per curare l’asma di cui soffriva, nel frattempo preparava il caffè e mangiava il suo buon croissant, per poi iniziare a scrivere nella stanza insonorizzata con il sughero. Ma abitudini particolari caratterizzavano anche Benjamin Franklin che sedeva nudo accanto alla finestra per un po’ di tempo in completo relax, infine Honoré de Balzac che dormiva poco, si sa che beveva circa 50 tazze al giorno di caffè per restare sveglio. Si svegliava all’una di notte e scriveva per tutta la notte. Genio e sgregolatezza… ognuno di noi ha abitudini diverse nello svegliarsi. Ma l’importante è farlo… e per concludere cito Antonio Machado Ruiz, pittore e scrittore spagnolo:

“Dopo il vivere e il sognare, ecco ciò che più conta: il risveglio”.

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Hermann Hesse con Thomas Mann, St. Moritz, 1932.

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Tabella Routines.

Tabella Routines.

 

 

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I fiori erano ormai appassiti in quel giardino segreto così come il tempo di Mari era ormai giunto al termine.

Il dolore è una ubriacatura colossale. Le sensazioni di un dolore forte sono quelle. Ma nessuno me l’aveva mai detto. Il dolore che si prova quando si è piccoli è diverso. Pian piano si assimila, si abbraccia e si cresce con esso. Ma quando si è grandi si pensa continuamente e alcune volte questi pensieri possono far male come mille stilettate al ventre.

Il dolore è un sentimento che si prova spesso nel corso della vita, dovrebbe rafforzarci e le sofferenze dovrebbero renderci coraggiosi.

Sto cercando di riconquistare questa “forza”, anche se non è semplice. A 26 anni, appena compiuti, un male abominevole ha portato via la mia metà razionale, mia sorella, e tutta la forza che si è avuta fin a quel momento all’improvviso svanisce.

Spesso vengo risucchiata dal divano cercando di pensare ai momenti felici ma ciò che sopraggiunge come un mostro dalle tenebre è il ricordo di un anno di malattia.

Mi dicono che i ricordi felici arriveranno… un pò come avveniva in Peter Pan. Prima o poi quei pensieri ci faranno volare, e forse sarà così, forse le favole non mentono, sono pillole che addolciscono i momenti di tristezza.

Ma ora è difficile. E’ difficile scrivere ciò che si prova in questi momenti. Alterno momenti in cui colta da una fiacca adrenalina faccio ordine, momenti in cui mi butto sul divano, momenti in cui leggo o scrivo. Guardo qualche foto, ma anche quello fa male. Avvicinarsi ai suoi libri, ai suoi vestiti e alla sua camera non se ne parla. Era così bella, ora io invecchierò e lei porterà per sempre il vestito color rubino che le stava d’incanto.

E’ come se vivessi sospesa a mezz’aria, cercando di non farmi troppe domande per paura di darmi delle risposte. Tutte le certezze che avevo prima vacillano. Dicevo: “dopo la morte? Nulla!!”, ora spero che lei non soffra, che non sia sola, che sia con mio padre e che non senta freddo.

“Dove sarà? Ci vedrà? La rivedrò?” Domande a cui nessuno può rispondere. Continui pensieri che assillano la mente. Forse anche lei fluttua come i miei pensieri, cerca una via e un modo per ricominciare.

Avrei tanta voglia di sapere se sta bene. Vorrei sapere se la malattia che l’aveva così tanto trasformata alla fine sia stata finalmente sconfitta e se mia sorella sia tornata la solita sister sorridente e qualche volta un po’ arrabbiata verso il mondo.

Con Mari ho foto da quando sono nata, con lei condividevo gioie, pensieri, litigi da sorella, regali, telefonate lunghissime e messaggi da appena sveglie al mattino presto prima di incominciare a studiare.

E ora? Chi farà tutto questo con me? Chi mi correggerà la tesi prima di inviarla al prof? Chi mi spronerà a non aver paura?

Che strana cosa il dolore… e che strana cosa la perdita.

Quando guardavo il film A time for dancing piangevo sempre quando alla fine leggevo: “basato su una storia vera”. Non sapevo che quella storia sarebbe diventata la nostra. In un anno è successo di tutto. Un anno. Gli anni passano così inutilmente, noi non ci accorgiamo del tempo che scorre, ma lui ci divora. All’improvviso tutto cambia.

Mi ponevo un unica domanda: “Perchè?”. Mi dicevo c’e ancora Speranza. E allora partiamo per Lourdes.

Da quella vasca io non sono uscita asciutta. Ma ho pregato. Mari ci credeva veramente e quegli occhi pieni di tranquillità e speranza, davanti al prete, non potrò mai scordarli. Erano così dolci e pieni di luce. Forse il miracolo era destinato a qualche altro fedele. Noi ci abbiamo creduto. Lei ci ha creduto.

Ora invece continuo a ripetere: “evabbè”. Tutto unito, sospirando. Come se questo fosse il destino che ci attendeva. Così era scritto ma non lo sapevamo. Quello che rimane è una fotografia annerita. Una pellicola esposta alla luce prematuramente e ormai bruciata. Ma non è persa, questo sbaglio del destino può insegnarci a rendere unica quella foto. Forse si deve solo aspettare e scrivere sulla pellicola, graffiarla con segni sinuosi in modo che diventino ricordi cicatrizzati sulla pelle. Un dolore che non si cancella e io voglio fidarmi di chi mi dice che presto queste sensazioni si trasformeranno in altro. Ma fa male. Non devo dimenticare che “è come se fosse qua con me”, ma al momento è una magra consolazione. Lei non c’è e non ci sarà.

In questo periodo ho ricevuto molte parole, lettere e frasi di una dolcezza infinita. Non mi sarei mai aspettata tutto questo amore, ma ogni singola parola, anche la più timida e impaurita, mi ha, e ci ha, dato forza. Storie e ricordi che fanno bene, piccoli graffi che iniziano a scalfire quella superficie così spessa come pietra lavica. Piccole fiammelle d’amore così luminose che a momenti risplendono e ti accarezzano il volto con gentilezza, sperando che prima o poi l’equilibrio si ristabilisca e al dolore subentri la gioia dei ricordi.

Come ho sempre sostenuto l’arte aiuta a farci capire il mondo e i piccoli cambiamenti che avvengono in noi e che spesso sottovalutiamo. Allora la prima opera che mi è venuta è in mente è quella  dell’artista Sam Taylor Wood: A little Death. Descrive perfettamente quello che ho visto in un anno di vita: la trasformazione del corpo, la perdita, la morte. Caravaggio rappresentò diverse vanitas e la mela bacata era il simbolo di morte e caducità ma la Wood attraverso il video fa vedere la decomposizione del corpo, giorno per giorno. Il lento appassire della vita. Immagini forti, colte in un tempo lungo ma concentrate in un breve video, che altro non è che la vita.

Questo scritto nato per me stessa e come sfogo personale, è stato letto da mamma in chiesa per il trigesimo di Mari, abbiamo deciso di condividerlo con tutti coloro che ci hanno mostrato il loro amore, parole sicuramente non felici, ma piene di forza d’amore. Un modo per ringraziare chi prova a donarci il loro amore e ci abbraccia con il pensiero.

Io non sarei mai riuscita a leggerlo. Posso scrivere e scrivere… ma non leggere i miei pensieri. Mamma ha avuto questa grande forza con la mano tremolante e la voce distrutta dal dolore, ma forte e ferma. Un amore infinito.

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