sogno – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 09 Mar 2020 22:31:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 RealDoll: androidi e sentimento nella fotografia di Elena Dorfman. https://www.cultmag.it/2019/06/04/realdolls-androidi-e-sentimento-nella-fotografia-di-elena-dorfman/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2019/06/04/realdolls-androidi-e-sentimento-nella-fotografia-di-elena-dorfman/#respond Tue, 04 Jun 2019 06:00:59 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1197 Le RealDoll, ovvero bambolo estremamente realistiche, non sono giocattoli solo sessuali ma veri e propri oggetti d’affezione, che si trovano in vendita dal 1996, grazie alla prima lungimirante azienda che iniziò a produrle, la Abyss Creation, nello stabilimento di San Marcos, in California.

L’idea di queste bambole è stata dello scultore Matthew McMullen, che non a caso è chiamato lo “Steve Jobs del sesso”, il quale ha sempre nutrito una profonda ammirazione verso la donna e il suo corpo, tanto da iniziare a produrre manichini estremamente realistici che lo ritraessero con assoluta veridicità.

La strada è stata molto lunga e, pian piano, con lo sviluppo della tecnologia le real doll, sono state perfezionate, donando loro anche la parola e facendo assumerle espressioni facciali sempre più umane, come chiudere gli occhi o farli muovere autonomamente.

Elena Dorfman, Valentine 3, dalla serie “Still Lovers”, 2002.
C-Print, Aluminium 74,6 x 74,6 cm Courtesy the artist; Edwynn Hook Gallery, New York
© Elena Dorfman

Quando lo scultore mise in vendita le prime bambole sul suo sito internet, il successo non tardò ad arrivare, ma se lo scopo da lui immaginato era prevalentemente sessuale, in realtà chi iniziò ad acquistarle manifestava tutt’altra volontà. I clienti richiedevano esplicitamente bambole realistiche, dotate di un anatomia perfetta e aderente al vero in tutto e per tutto, così come fondamentale era la sensazione che queste dovevano avere al tatto.

Le RealDoll hanno lo scheletro in PVC che permette loro di assumere movenze e posizioni simili al corpo umano, le articolazioni sono realizzate in acciaio inossidabile e il corpo in silicone ricrea una sensazione che al tatto ricorda quella dell’epidermide umana.

Le caratteristiche fisiche si scelgono in base ai propri gusti fin al minimo dettaglio, le mani assumono la posizione che si desidera, le ciglia sono truccate, le unghie perfette e così i capelli. Addirittura alcuni modelli sudano e sono dotate di un sistema di sensori interni, grazie al quale se si stringe un braccio, affiorano le vene blu, inoltre come dice il suo creatore, «alcuni modelli si riscaldano con il movimento, più le muovi più la temperatura in superficie si alza».

«Queste bambole non sono per tutti, non vanno nascoste o buttate sotto il letto», i proprietari le vedono nascere e le seguono durante tutto il percorso che le  porta a nascere, ne scelgono il nome, le caratteristiche fisiche, i dettagli, anche quelli più minuti, e ciò comporta in loro un grande investimento emotivo.

Credo che questo atteggiamento sia particolare, ma sappiamo che ormai il possesso delle RealDoll è molto diffuso, da analizzare certo, ma non da criticare o da pensare semplicemente come un puro sfogo sessuale; i sentimenti che portano ad acquisire una bambola, sono tra i più diversi e di sicuro non sono da prendere con leggerezza o scherno.

Elena Dorfman, Ginger Brook 4, 2001.
Dalla serie “Still Lovers”, 2002.
C-Print, Aluminium 74,6 x 74,6 cm Courtesy the artist; Edwynn Hook Gallery, New York
© Elena Dorfman

Numerose le indagine svolte su questi comportamenti e numerosi i documentari: Guys and Dolls (rinominato Love Me, Love My Doll per la messa in onda del 2007 da parte della BBC); nel 2007 è uscito Lars e una ragazza tutta sua di Craig Gillespie, in cui il protagonista (Ryan Goslin) introduce una bambola nella vita quotidiana e la porta ovunque, presentadole amici e parenti, fino ad ottenere il riconoscimento da parte della società.

Comportamento tra i più comuni, quando si inizia a presentare un’affezione da queste bambole, credendo in tutto e per tutto che esse siano reale e volendo condividere con loro ogni attimo della propria vita.

Un ricercatore britannico, David Levy, ha svolto un analisi approfondita su questo argomento e nel 2001 ha fondato la Intelligent Toys Ltd, essendo fermamente convinto che «presto i robot diventeranno partner sessuali per un vastissimo numero di persone».

Riccardo Campa, docente di Sociologia della Scienza all’Università di Cracovia e direttore della World Transhumanist Association, afferma: «Ci sarà un momento in cui i robot saranno quasi indistinguibili dagli esseri umani, ma più belli e privi di difetti», e continua, «a quel punto, il loro utilizzo anche a fini sessuali sarà inevitabile».

Con il raggiungimento della massima perfezione dell’interattività, i dispositivi pian piano riescono a reagire ai nostri movimenti e rispondere alla nostre emozioni.

Se l’analisi sociologica procede spedita nello studio di tale fenomeno, dobbiamo dire che anche quella artistica e fotogiornalistica si è fin da subito interessata a questo argomento.

Già Helmut Newton nella serie Simulato e Umano del 1978, aveva realizzato una campagna pubblicitaria con i manichini e sappiamo quanto questi siano stati cari a Freud nella dedizione del perturbante, ai Surrealisti, ma anche a tutta l’arte successiva.

Il fotogiornalista Zackary Canepari, incuriosito da questo argomento, è entrato dentro la fabbrica di McMullen realizzando un servizio tra il surreale e l’inquietante: con volti eterei riposti in una scatola o manichini inquietanti stesi ad asciugare su ganci di ferro.

©Zackari Canepari

Il mio interesse verso questo argomento però nasce molto tempo, quando ebbi modo di vedere una mostra curata da Franziska Nori, proprio su Elena Dorfman, artista nata a Boston ma che vive e lavora spostandosi tra New York e San Francisco.

Con la serie Still Lovers, ha deciso di entrare in questo mondo oscuro ai più, incontrando i proprietari delle bambole, che hanno voluto condividere con lei i sentimenti che portando ad adottare una bambola nella propria vita.

Legami emotivi forti che travalicano dall’essere meri oggetti sessuali ma, come ben si evince da queste immagini, le Real Doll, ovvero le bambole “umane” qui ritratte vengono viste come vere e proprie compagne di vita: si condivide la lettura di un libro, la visione della televisione tenendosi per mano, un pasto o una colazione.

Gli androidi sono già un discorso “vecchio”, le ricerche della Dorfman risalgono al 2001 e la creazione della RealDoll al lontano 1996. Dopo tutto questo tempo, possiamo essere sicuri di aver accettato e capito senza riserve queste storie d’amore, passione e sentimento?

Nel 2004 si pensava che entro il 2020 questi androidi sarebbero stati dotati di un inizio di coscienza… ma in un mondo come il nostro, dove la paura del diverso vige incontrastata, dove invece di andare avanti con il pensiero, regrediamo allo stato brado, siamo sicuri di essere realmente disposti a comprendere, senza farci scherno delle debolezze altrui, ammesso che queste lo siano. Quali sono i sentimenti che spingono una madre ad acquistare una bambola con le fattezze di una figlia che ormai non c’è più? Quali quelli di un ragazzo che semplicemente vuole guardare un programma tv con la sua ragazza?

Ci sentiamo realmente così pronti a giudicare, senza provare un attimo a capire?

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Revisione di un testo del 20 giugno 2014.

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Il risveglio piangente https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2017/12/01/5301/#respond Fri, 01 Dec 2017 19:47:20 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5301 Premessa: questo scritto è nato da una fotografia, che a sua volta è nata da un sogno e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni per tutta questa giornata che sta per concludersi.

In alcuni giorni si sente un male lancinante dentro, un male che ti fa sospirare e che ti fa scuotere qualcosa che non sai come far tacere… sei semplicemente inquieta.

Non sono ancora passati quattro anni da quando Mari non c’e più e “quel qualcosa” che cerchi di nascondere ogni tanto emerge quando meno te lo aspetti. Se questo insorge come pensiero durante la giornata allora il risultato saranno tanti ricordi e sospiri, ma se questo emerge nel sogno allora vorrà dire che la tua giornata sarà inevitabilmente segnata dal ricordo di una sensazione pseudo-fisica, che illusoriamente ti fa pensare di aver abbracciato di nuovo tua sorella. Un misto di beltà e follia.

Con l’Ipod fermo al 2006 allora ho deciso di non bloccarmi e… scrivere di getto con la foto già ben stampata nella mente. E’ un oggetto che ho già fotografato ma che per me  è di inestimabile valore perché rappresenta Lei: la sua guancia, il suo rossetto impresso nella plastica, il suo naso… in poche parole il suo volto.

Questa notte ho sognato Mari, mi capita molto di rado, ma quando accade – per quanto possa essere doloroso – mi fa stare bene al punto da non volermi svegliare più. Puntualmente questo accade quando le emozioni che sto provando diventano troppo forti… e questo comporta il più delle volte il “risveglio da ciangiulina”.

Come spesso accade con i voli pindarici che si fanno durante i sogni, improvvisamente dalla casa di Bologna mi sono ritrovata catapultata a Gioiosa. La giornata è tempestosa, salgo in casa e mia nonna mi dice: «mamma e Mari sono a casa di Isa».

Attraverso il giardino e m’incammino nella strada buia, intorno a me nessun rumore, solo l’infrangersi delle onde sul muro del lungomare. Una persona per pochi istanti mi segue ma mentre cerco di voltarmi per guardarla le strane ciabatte che porto ai piedi mi cadono. Noncurante le prendo in mano e inizio a correre. L’appartamento di Isa è diverso e subito vedo mamma e Mari. Corro verso di lei senza pensarci e la abbraccio.

Mari non è la stessa: è un pò fredda, triste e rallentata nei movimenti… e ad un certo punto mi dice: «Ah, ma che bel giubbottino stretto che hai… finalmente non ti vesti più come una zingarella». Mentre saluto mamma, Mari mi porge una piccola scatola contenente all’interno dei top con una grande cucitura sul lato e afferma: «Cla dobbiamo attaccare il vetro dell’oculista nella parte retrostante». Io le rispondo: «certo Mari, li faremo tutti… non ti lascio più».

Esattamente in questo preciso momento mi sveglio!

Non credo che sogni e frasi sconnesse possano interessare a qualcuno, ma ciò che mi preme ricordare è quell’abbraccio: intenso, lungo, evanescente. Un abbraccio che mi ha stretto il cuore fino quasi a farlo esplodere di immensa gioia e di immenso dolore tanto da farmi svegliare alle 3 di notte in lacrime.

Credo sia normale ogni tanto svegliarsi piangendo, a me capita, e incuriosita sono  andata a leggere un pò di commenti sull’argomento. Uno di questi dice: «i sogni dicono sempre qualcosa di sé […] svegliarsi piangendo è quello che rende la sensazione avvertita nel sogno verosimile e poi reale, per cui sicuramente ti lascia un vissuto di tristezza. Talora i sogni ci aiutano a parlare con noi stessi circa eventi o situazioni che viviamo che ci condizionano e talvolta anche indirettamente viviamo […] I sogni […] certamente hanno importanza, se al risveglio ancora ne vivi le conseguenze». Beh, su quest’ultimo punto direi che è decisamente vero. I sogni sono parte di me, parte della mia vita, parte del mio passato e parte di ciò che ho perso… ed è anche l’unico modo per poterlo riottenere per pochi fugaci istanti. Dopotutto non credo che una piccola lacrima abbia mai fatto male a nessuno e infatti come ha scritto Bachelard «noi soffriamo per i sogni» ma è proprio grazie ad essi che noi «guariamo». Questo perché ci regalano la possibilità di poter riassaporare un ricordo che nel sogno ha tutta la consistenza della vita reale. Attimi inafferrabili, sensazioni che presto verranno dimenticate ma che per un momento sono state fugacemente reali.

Day 335 Il risveglio piangente. Bologna, 1 dicembre 2017.
L’immagine di oggi è nata da un sogno, che a sua volta ha dato vita ad uno scritto e che a loro volta hanno dato vita ad una sequela di pensieri e riflessioni

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Immagine di copertina ©Clément Lefèvre.

Testo e vita di ©Claudia Stritof.

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