sole – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 23 Dec 2019 12:19:41 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Il fantastico mondo del "Giardino dei Tarocchi". https://www.cultmag.it/2015/01/02/il-fantastico-mondo-del-giardino-dei-tarocchi/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/01/02/il-fantastico-mondo-del-giardino-dei-tarocchi/#respond Fri, 02 Jan 2015 21:16:21 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1492 Niki de Saint Phalle (Parigi 1930- San Diego 2002) nel 1948 intraprende il suo percorso nell’arte. Inizialmente si dedica alla letteratura e in seguito al teatro, sognando di diventare attrice. In questo periodo posa come fotomodella per Vogue e Life. Durante la sua prima personale in Svizzera conosce Jean Tinguely, noto scultore di congegni ferrosi, i mecaniques, combinazioni di rifiuti della società industriale. Innamorata dello sculture nel 1960 si separa dal marito e due vivono la loro storia d’amore condividendo uno studio a Parigi. Nel 1961 realizza I Tiri o Shooting paintings e nello stesso periodo entra in contatto con il gruppo del Nouveaux Realisme. Dal 1965 inizia ad esplorare la figura femminile a grandezza naturale, realizzando le famosissime Nanas. Una delle più importanti è la Hon (Lei in svedese) che realizza per il Moderna Museet di Stoccolma. Una grande figura di donna giace sdraiata sul dorso con le gambe piegate, si accede al suo interno attraverso l’organo genitale e l’interno è diviso in diversi ambienti che lo spettatore può visitare. Nel seno sinistro vi è un planetario, nell’altro un milk bar mentre in una delle gambe una galleria che riproduce capolavori falsi di Paul Klee, Matisse etc. eseguiti appositamente dal critico Ulf Linde.

Naturalmente la Hon è stata realizzata grazie alla collaborazione di Jean Tinguely, compagno d’arte e di vita che assume la direzione del team tecnico per l’occasione e sempre dal rapporto artistico tra i due nasceranno opere importantissime come: la Fontana di Stravinsky di Parigi (1983) e il Giardino dei Tarocchi.

Il giardino dei Tarocchi

Il giardino dei Tarocchi

L’idea del parco si deve all’ispirazione avuta all’artista durante la visita di Parque Guell di Antonio Gaudì a Barcellona, poi rafforzata dalla visita al Giardino di Bomarzo in Italia. La costruzione del giardino inizia nel 1979 nella Maremma toscana. Durante un periodo di convalescenza in Svizzera, Niki incontra Marella Caracciolo Agnelli e le racconta il suo progetto di un giardino con rappresentati i 22 Arcani Maggiori, sculture ricoperte di vetri, specchi e ceramiche colorate. Afferma l’artista:

se la vita è un gioco di carte noi siamo nati senza conoscere il nostro ruolo, e tuttavia dobbiamo giocare la nostra mano. Durante i secoli l’uomo ha amato giocare con i tarocchi. Poeti, filosofi, alchimisti si sono voltati alla scoperta dei loro significati.

Un mondo magico e misterioso, ricco di colore e riflessi, il giardino è stato terminato con l’aiuto di numerosissimi artisti internazionali e locali nell’estate del 1996. L’accesso al giardino, realizzato da Mario Botta,  è separato da un doppio muro di recinzione in tufo con un’apertura circolare al centro. Oltrepassata questa linea di demarcazione si abbandona simbolicamente la realtà per accedere in un mondo fantastico. La strada sterrata giunge fino alla piazza centrale occupata dalle figure della Papessa e del Mago, i primi Arcani che iniziano il percorso. La vasca in cui si raccolgono le acque sgorganti a cascata della scalinata che procede nell’enorme bocca della Papessa, reminescenza dell’Orco di Bomarzo, è segnata al centro dalla Ruota della Fortuna, la scultura semimovente di Tinguely. Li fronteggiata la Forza, una donna vestita di bianco e di fronte un drago ricoperto da specchi verdi. I colori come avviene nei tarocchi tradizionali hanno valenza simbolica: il rosso è il colore della forza creatrice, il verde della vitalità primigena, il blu è il segno della profondità del pensiero, del desiderio ardente e della volontà. Sulle stradine sono riportati pensieri, memorie, citazioni, disegni, messaggi di speranza dell’artista così denotando non solo un percorso fisico ma anche spirituale. Poi vi è la figura del Sole,del Papa, opera di Tinguely. Successivamente vi è l’Appeso, detto anche L’albero della Vita. Di fronte la testa del Matto e qui si staglia il bianco e nero della figura della Giustizia.

giardino-dei-tarocchi16Procedendo nel boschetto ci sono i due Innamorati, gioiose figure fanno il picnic. Più dietro l’Eremita e il castello dell’Imperatore. Al centro del cortile vi è una vasca, dove quattro felici nanas fanno il bagno, schizzando dai seni getti d’acqua. Sul retro vi è la torre, simbolo delle costruzioni mentali. In seguito l’Imperatrice-Sfinge, nella quale Niki ha abitato per lunghi anni. All’interno è presente la stanza da letto in un seno, la cucina nell’altro e lo spazio centrale è arredato a soggiorno-studio. Proseguendo il percorso si giunge alla figura della Temperanza, dedicata alla memoria di Tinguely e di Ricardo Menon. L’igloo è rivestito di specchi e formelle ceramiche in forma di fiori, ed è presente un piccolo altare con il bassorilievo di una Madonna nera che veglia sulle fotografie degli amici scomparsi. Ritornando indietro si giunge all’ultimo settore del giardino, in cui si ergono: la Morte, posta su un basamento di specchi e simboleggiata da una figura a cavallo blu che falcia uomini e animali, il Diavolo con le ali di pipistrello spiegate e infine il Matto, filiforme scultura “skinny” in cui il giovane vagabondo è il simbolo del caos, dello spirito, dell’entusiasmo. E per ultimo il Mondo, eseguita con Tinguely.

Un mondo unico quello creato da Niki, da visitare in primavera o in estate circondanti da una folta vegetazione e splendente di luci e colori. Un viaggio fisico e mistico nel mondo della magia e degli Arcani per riscoprire sé stessi attraverso l’arte e la natura.

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Il giardino dei Tarocchi

Il giardino dei Tarocchi

Il giardino dei Tarocchi

Il giardino dei Tarocchi

Il giardino dei Tarocchi.

Il giardino dei Tarocchi.

Immagini dal sito del Giardino dei Tarocchi.

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Epistemologia della morte https://www.cultmag.it/2014/04/13/epistemologia-della-morte/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/04/13/epistemologia-della-morte/#comments Sun, 13 Apr 2014 16:22:45 +0000 http://claudiastritof.com/?p=841 La parola morte è una parole difficile da pronunciare. Solo pochi giorni fa, dopo tanto tempo, sono riuscita a pensarla realmente. E’ stata la prima volta dal giorno del funerale di mia sorella.

Piuttosto dico «è andata via» come se fosse in viaggio e in parte è vero: forse una nuova vita da intraprendere, forse l’inizio, forse la fine del viaggio. Sta di fatto che ancora non l’ho pronunciata, ma il fatto di averla scritta e pensata mi ha fatto riflettere.

Per curiosità sono andata a spulciare la definizione del sostantivo femminile Morte nella Treccani. Una descrizione semplice e scientifica:

“Cessazione delle funzioni vitali nell’uomo, negli animali e in ogni altro organismo vivente o elemento costituito di esso: è in lutto per la m. di un fratello; l’afta epizootica ha causato la m. molti bovini […]. Da un punto di vista biologico, la morte si può considerare come l’estinzione dell’individualità corporea, non tanto dei singoli elementi che la compongono, quanto delle necessarie correlazione tra organi e funzioni.”

Tutto così preciso e lineare, in pratica l’epistemologia della morte. E’ una cessazione dell’individualità corporea, e fin qui tutto chiaro, il corpo muore perchè le sue funzioni vitali cessano. Ma allora mi sorge una domanda: perchè è così difficile pronunciare questa parola?

Quando si entra in contatto con la morte, dire questa semplice parola diventa uno scoglio insormontabile. Le teorie sul dualismo anima e corpo sono molteplici e risalgono all’alba dei tempi.

Tante teorie, tante perdite e tante riflessioni sono state fatte nel corso dei secoli. Nel mio intimo ho sempre pensato alla morte e come questa fosse presente nella nostra vita. Fin da piccola (all’epoca ero anche una darkettona pensierosa e borchiata) ho riflettuto su di essa ma quando il Tristo Mietitore sopraggiunge con il suo manto nero è sempre inaspettata, a maggior ragione quando essa è prematura.

Allora come si affronta? Come si supera il dolore? Come si trovano le risposte a domande universali? Come si placano i pensieri? Cercando in un blog ho trovato un altro paranoico che come me che si poneva  domande sulla morte; un ragazzo al suo interessante scritto ha risposto: «Prima di tutto, scialla! E viviti la vita». Forse ha ragione l’anonimo ragazzo, viviamola così, con spensieratezza… espresso con un neologismo alquanto odioso ma che esprime bene il concetto che ognuno di noi dovrebbe ricordare sempre.

Secondo me, l’unica risposta che ci può essere è la riflessione e questa è sopraggiunta in me quando sono andata con un mio amico, Giuseppe, in un sito archeologico non distante dal mio paese, agli scavi del tempio dorico di Kaulon a Monasterace. All’inizio eravamo un pò increduli dell’erbacce e da come si debba giungere al sito attraversando la statale lasciando la macchina sul ciglio della strada ma nonostante queste incoerenze della terra in cui sono nata, è stata una bella emozione. Abbiamo scherzato e fatto qualche deduzione da finti-archeologi e ad un certo punto, arrivato il momento sigaretta, mi sono realmente voltata ad osservare il mare. All’improvviso mi ha colta una sensazione che non mi capitava da un pò di tempo: di tranquillità e di immobilità atemporale, non quella vissuta fino ad oggi con la paura di quello che sarebbe successo, ma di immersione nella storia senza tempo, il che potrebbe sembrare una contraddizione, ma è stata proprio quella la sensazione.

Il tempio si trova a 100 m. dal mare su un’altura e mettendosi di spalle a quella che un tempo era l’entrata del luogo sacro, si ha la visione dello Jonio in tutto il suo splendore, nonostante quel giorno la giornata fosse uggiosa. Lì ho iniziato a pensare alla storia e di come nel V sec. a.C questa terra era diversa, non c’era la statale ma solo quel magnifico tempio che si stagliava con il suo candore sul mare, doveva essere una  meravigliosa visione per chi giungeva con la nave a Punta Stilo.

In quel momento per la prima volta ho pensato alla parola morte, mi è sorta così dal nulla. Forse perchè ero tranquilla, forse perchè avevo la mente sgombra da altri pensieri o forse perchè ho pensato alla storia che va avanti e al tempo che mai si ferma.

Nell’ultimo periodo sono stata immobile, solo da qualche giorno ho iniziato a capire. Molti i consigli e le chiacchierate con amici in questo strano periodo; una sera Natty, un amico passato dal mio paese perchè in tour con la band, mi ha fatto capire che il tempo scorreva e che io mi ero immobilizzata nei pensieri, trascurando la mia anima e il mio corpo.

Anima e corpo una dualità inscindibile, ma fino ad un certo punto. Sul dove vada l’anima dopo la morte nessuno lo sa. Ognuno ha la sua fede e le sue credenze ma nel presente queste sono legate in modo univoco. Io stavo trascurando “l’anima vivente”, e così come facevo io anche molti altri lo fanno, persone a cui succedono cose inaspettate e all’improvviso ci si dimentica di vivere e si dimenticano le proprie passioni.

Ancora non ho raccolto i miei pensieri ma da qualche giorno sperimento, faccio cose nuove: cose che prima per stanchezza mentale non facevo.

Tiziano Terzani ci spiega la vita attraverso lo yin e lo yang. L’universo e l’armonia degli opposti sono la vita, la regolano e dovremmo sempre ricordarlo, ogni tanto si dimentica, ma leggere e vivere ce lo fa ricordare.

“Non c’e acqua senza fuoco, non c’e maschio senza femmina, non c’e notte senza giorno, non c’e sole senza luna, non c’e bene senza male e questo simbolo dello yin e dello yang è perfetto, perchè il bianco e il nero si abbracciano e all’interno del nero c’e un punto bianco e all’interno del bianco c’e un punto nero. Questa è una faccenda sulla quale non riflettiamo mai, noi che perseguiamo il piacere in ogni modo, non c’e piacere senza sofferenza e non c’e sofferenza senza piacere. Solo quando capisci questo godi del piacere e accetti la sofferenza”.

Queste parole molti le hanno lette, molti le hanno citate, molti non le conoscono ma sono una spiegazione efficace alla definizione di vita. Purtroppo spesso è difficile attuarle perchè il dolore a volte ci fa dimenticare e non vedere il bello e il piacevole. Che sia con una grossa risata o con una sigaretta fumata con un amico di fronte al mare sconfinato o una chiacchierata con un negroni in mano alle due di notte, alcune volte basta poco per lasciarsi andare e rivedere il bello e risentire la propria anima. Non è detto che questo stato duri ma sono piccole sensazioni che accrescono la nostra vita, la sua accettazione e alimentano i nostri sentimenti.

Molti mi chiedono come riesco a confidare i miei pensieri al blog ma la risposta è semplice: perchè credo nella condivisione dei sentimenti e dei pensieri, credo che la vita possa far riflettere e credo che le riflessioni egoisticamente mi facciano bene perchè ho avuto sempre l’esigenza di comunicare ciò che mi passava per la testa. Credo che la scrittura come l’arte ci insegni a capire per quel poco che è possibile la vita e i comportamenti umani. Il peso da portare sulle spalle di ognuno di noi cambia da persona a persona, ognuno ha i propri scheletri, i propri ricordi e i propri pensieri, l’importante è che con il tempo si impari a convivere con essi e il loro peso non ci schiacci e non ci tolga il respiro per vivere.

Le domande iniziali rimangono… e a molte di queste non c’e risposta. Ma alla morte si risponde con la vita, come fosse un calcolo matematico dai risultati impossibili da prevedere. L’arte alcune volte non viene capita ma basta aprire gli occhi e stare in silenzio per poco tempo per lasciarsi trasportare da ciò che essa vuole comunicarci, cogliendone gli infiniti insegnamenti.

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Marina Abramovic, Carrying the Skeleton" (2008).

Marina Abramovic, Carrying the Skeleton” (2008).

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