Traffic Gallery – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Mon, 13 Mar 2017 21:32:04 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Speciale Arte Fiera. La poesia negli scatti di Mustafa Sabbagh. https://www.cultmag.it/2016/02/08/speciale-arte-fiera-la-poesia-negli-scatti-di-mustafa-sabbagh/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/02/08/speciale-arte-fiera-la-poesia-negli-scatti-di-mustafa-sabbagh/#respond Mon, 08 Feb 2016 13:28:31 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2977 Mustafa Sabbagh è nato ad Amman in Giordana, da madre italiana e padre palestinese, crescendo tra l’Europa e il Medio Oriente, il che gli ha permesso di realizzare un percorso lavorativo e artistico di tutto rispetto: laureato in architettura a Venezia, decide di trasferirsi a Londra, dove diventa assistente di Richard Avedon e contemporaneamente insegna presso la storica Central Saint Martins College of Art and Design. Torna in Italia, questa volta a Ferrara e collabora con le più importanti riviste di moda, ma “insofferente ad un appiattimento al modello fotografico della moda mainstream” decide dal 2005 di dedicarsi all’arte contemporanea “ricreando una sorta di contro-canone estetico al cui interno il punctum è la pelle – come diario dell’unicità dell’individuo”.

Le sue opere sono complessi tableau vivant che subito denunciano le approfondite conoscenze intellettuali del fotografo, non solo in merito alla storia del costume e della moda ma di storia dell’arte tout court, da quella fiamminga – dalla quale ha appreso l’amore per i dettagli e per la luce finemente utilizzata nelle sue composizioni nero su nero – a quella italiana, abbracciando un arco temporale che dal Cinquecento arriva fino ai giorni nostri, con sapienti rimandi anche al cinema, alla musica e alla letteratura.

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh introietta questa variegata conoscenza e allo stesso tempo la trascende, creando delle opere di grande compostezza classica, ma che denunciano tutta la contemporaneità stilistica ed estetica, che scardina stereotipi e canoni imposti dalla società. Le sue donne e i suoi uomini sono senza tempo, androgeni travolgenti che spesso catturano lo spettatore per la loro affascinante presenza ma che contemporaneamente lo terrorizzano, facendo dei contrasti e delle dissonanze un punto di forza della sua poetica, perché come ha più volte affermato il fotografo la vera bellezza, non deve essere rassicurante ma “ferisce”.

Mustafa Sabbagh è un poeta dell’immagine, dalla linea sinuosa e mai aggressiva, il quale progetta i suoi set minuziosamente, ammantando i suoi soggetti di una sacralità atemporale e facendoli piombare in un’eterna armonia cosmica in cui ad emergere è la “multidimensionalità del nero, la sovversione di codici di abito e di genere”, l’autenticità dell’individuo e la profondità dell’essere, “umanamente sacra, religiosamente profana”.

Subito si riconosce l’iconografia ben codificata di quella che potrebbe sembrare una Madonna con il Cristo morto sulle gambe, ma ecco che subito un particolare rimanda ad un’altra cultura e ad altre influenze, un copricapo dalle forme definite che farebbe pensare a provenienze asiatiche, un volto con una maschera antigas ma che ad osservarlo bene richiama gli occhi di un ape, oppure raffinati costumi cinquecenteschi con forme geometriche, pizzi e merletti sovrapposti, corsetti e gorgiere voluminose in tessuto, esclusivamente nere.

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

“Più che il lato nascosto, ciò che mi propongo di catturare è il lato più profondo, le inclinazioni più vere, la naturale essenza dell’uomo, libera dagli impedimenti e dagli stereotipi – che sono il contrario della verità. E la fotografia è il mezzo più veloce e democratico per arrivare alla mia verità. Certo, non sempre ci riesco. Certo, la varietà umana non si può contenere in uno scatto”. M. Sabbagh

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su The Mammoth’s Reflex (3 febbraio 2016).

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Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Mustafa Sabbagh, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh, Risen from the Dead, 40x50, Courtesy Traffic Gallery

Sabbagh, Risen from the Dead, 40×50, Courtesy Traffic Gallery

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Nous Autres – conversando con Karin Andersen. https://www.cultmag.it/2016/01/22/nous-autres-conversando-con-karin-andersen/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/22/nous-autres-conversando-con-karin-andersen/#respond Fri, 22 Jan 2016 11:20:40 +0000 https://www.cultmag.it/?p=2880 Alla Traffic Gallery di Bergamo Nous Autres – Studi teriografici sul divenire dell’artista tedesca Karin Andersen. Abbiamo incontrato l’artista per conoscerla meglio.

La mostra Nous Autres – Studi teriografici sul divenire è un viaggio nel tuo mondo. Mi piacerebbe sapere come è nata l’idea dell’esposizione, che già dal titolo si propone di indagare un concetto importante come quello del divenire?
La mostra parte da alcuni lavori che sono nati grazie ad alcune mie collaborazioni precedenti con i due curatori Claudia Attimonelli e Vincenzo Valentino Susca:  disegni concepiti per la rivista Les Cahiers Européens de l’Imaginaire (CNRS Editions, Paris, www.lescahiers.eu),?utm_source=rss&utm_medium=rss di cui Vincenzo Susca è direttore e Claudia Attimonelli redattrice; e un ciclo di visual sviluppati per lo spettacolo teatrale Angelus Novissimus, scritto da Vincenzo Susca e Alain Béhar, andato in scena in Francia con la compagnia “Quasi” nel 2014. Tutti questi lavori, al di là delle loro specifiche tematiche, hanno un’idea di base in comune: l’indagine di una condizione teriomorfa in divenire, metafora di un allontanamento dagli orizzonti fissati dai paradigmi antropocentrici. Inoltre ci sono alcuni lavori recenti della serie Naughty Messy Nature, fotografie e video di piccole sculture organiche plasmate col tempo dalle muffe, che hanno molto a che fare con il concetto di divenire e con il teriomorfismo.

Uno dei temi centrali della contemporaneità è l’ibridazione che nei tuoi lavori è visibile sotto un duplice aspetto. In primis nell’utilizzo di tecniche artistiche differenti e in merito a questo vorrei sapere quale la ragione di questa versatilità e quale importanza riviste per te la contaminazione tra reale e immaginario.
La ragione della multimedialità non è il tentativo di utilizzare più tecniche possibili, non aspiro all’eclettismo, non è un concetto che mi interessa. Mi piace scegliere per ogni lavoro la tecnica più idonea. La scelta della tecnica di un lavoro può sottolinearne il concetto. Ad esempio, l’utilizzo simultaneo della fotografia insieme a tecniche di elaborazione digitale visibilmente graficizzate (e quindi non realistiche) è un mezzo per creare un dialogo fra reale immaginario, fra autentico e fake. Questo ovviamente ha molta importanza nel mio lavoro: non mi interessa l’immaginazione pura senza riferimenti alla realtà o all’attualità, e non mi interessa la realtà priva di incursioni fantastiche. Per dirla con una citazione di Vincenzo Susca, che è diventata il titolo di un’opera in mostra: J’adore danser en danger dans les interstices précaires, adoro ballare in pericolo su fragili interstizi.

Il secondo elemento in cui l’ibridazione è ben visibile riguarda le tue creature. Frutto artistico di un lungo lavoro di ricerca che nel 2003 ha trovato un elaborazione teorica nel libro Animal appeal. Uno studio sul teriomorfismo, scritto insieme allo studioso Roberto Marchesini. Ci potresti spiegare in poche parole la nozione di teriomorfismo?
In realtà la propensione al teriomorfismo l’ho sempre avuta, a partire dai primi  disegni d’infanzia, nei quali non disegnavo praticamente mai umani ma solo figure che si comportavano da umani ma avevano orecchie e code da animale. L’atteggiamento critico nei confronti dell’antropocentrismo invece era già presente nella mia tesi di laurea all’Accademia di Belle Arti, un lavoro su arte ed ecologia, e ha portato in maniera quasi automatica alla mia idea del teriomorfismo: una sorta di ginnastica mentale per uscire dai vincoli autoreferenziali dell’antroposfera e per  denunciare l’atteggiamento scorretto che la maggior parte degli umani ha sviluppato nei confronti del resto della biosfera. L’incontro con Roberto Marchesini è stato importantissimo per allargare i miei orizzonti teorici. Abbiamo scoperto di lavorare nella stessa direzione, ognuno nella sua disciplina. Così abbiamo iniziato a collaborare in maniera trasversale: grazie a lui ho approfondito i presupposti filosofici e scientifici del mio lavoro, mentre lui ha iniziato a far dialogare le sue teorie con il mondo dell’arte contemporanea.

Il corpo nelle tue opere compie mutazioni fisiche e psicologiche ben delineate. In merito a questo ci potresti raccontare come prendono vita le tue creature?
Le opere in genere nascono da una o più fotografie: le faccio a pezzi, le assemblo, ne sviluppo alcuni aspetti in postproduzione digitale, ci disegno e dipingo sopra in digitale, talvolta anche con colori reali. Il mio lavoro non è particolarmente biografico, in genere non ci sono relazioni tra il tipo di trasformazione e la personalità del modello umano di partenza. Ho una predilezione per le orecchie e i nasi, formalmente e concettualmente, ma sono potenzialmente interessata a lavorare su qualsiasi parte del corpo.

Hai mai raccontato delle storie a tuo figlio partendo dalle tue opere? Se si, potresti raccontarci un aneddoto? 
Le storie che racconto a mio figlio da quando era molto piccolo non sono ispirate dichiaratamente ai miei lavori. Sono bizzarre vicende a puntate con personaggi molteplici, piuttosto fantascientifiche. Ma ovviamente i personaggi sono tutti animaloidi. E sicuramente qualche contatto tra il mondo dei miei lavori e i mondi raccontati c’è, è inevitabile. Del resto la lettura delle opere da parte di mio figlio è sempre interessante e illuminante. Gli ibridi umano-animale gli sembrano una cosa piuttosto normale. Sicuramente è abituato agli animali antropomorfizzati dei cartoni animati, ma accetta senza problemi anche immagini della sua mamma trasformata in mutante. Ogni tanto scopro che spiega le mie opere in giro per casa ai suoi amici quando vengono a trovarlo, come se fosse una guida in una mostra.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Potresti darci qualche anticipazione?
I progetti futuri del momento sono: continuare i lavori a una nuova serie inedita di immagini fotografico-pittoriche, continuare i lavori a un progetto molto grande e impegnativo sul fronte delle immagini in movimento (non posso dire altro). Avere uno studio più grande. Imparare ad andare col monociclo.

 

Intervista realizzata da Claudia Stritof per Juliet art magazine (19 gennaio 2016).

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Karin Andersen. Nous Autres – Studi teriografici sul divenire
Traffic Gallery, Via San Tomaso 92, Bergamo
2 ottobre 2015 – 4 marzo 2016

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Naughty Messy Nature 7, 2015. Lambda print, cm 25 x 25, edition of 5 + 2 AP. Courtesy Traffic Gallery, Bergamo

Naughty Messy Nature 4, 2015. Lambda print, cm 25 x 25, edition of 5 + 2 AP

Naughty Messy Nature 4, 2015. Lambda print, cm 25 x 25, edition of 5 + 2 AP

Novissimus 4, 2015. Lambda pint, cm 50 x 50, edition of 5 + 2 AP. Courtesy Traffic Gallery, Bergamo

Novissimus 4, 2015. Lambda pint, cm 50 x 50, edition of 5 + 2 AP. Courtesy Traffic Gallery, Bergamo

Karin Andersen, Je te mange, je me mange (dettaglio trittico), 2013. Lambda print, cm 52 x 40, edition of 5 + 2 AP. Courtesy Traffic Gallery, Bergamo

Karin Andersen, Je te mange, je me mange (dettaglio trittico), 2013. Lambda print, cm 52 x 40, edition of 5 + 2 AP. Courtesy Traffic Gallery, Bergamo

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