tumore – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Sat, 13 Feb 2021 22:59:08 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 La fotografia del ricordo. Sei anni senza te. https://www.cultmag.it/2020/02/12/la-fotografia-del-ricordo-sei-anni-senza-te/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2020/02/12/la-fotografia-del-ricordo-sei-anni-senza-te/#comments Wed, 12 Feb 2020 07:12:12 +0000 https://www.cultmag.it/?p=6501 Eccoci giunti al sesto anno… il sesto della mia vita senza Mari.

Sei anni dal giorno in cui quel maledetto mostro l’ha portata via da noi. Io avevo 26 anni, lei 27… e tra qualche giorno ne compirò 32. Strana questa esistenza!

Quest’anno ho deciso di parlare di lei attraverso una delle mie passioni più grandi: la fotografia, poiché, ancor oggi, sono tante le persone che mi chiedono perché ho smesso di fotografare.

Alla domanda, non è mai seguita una risposta. Un giorno della mia vita ho mollato… No, non è questa la verità.

Il mio aver riposto la reflex nell’armadio è stata una decisione nata in seguito a un progetto, che all’inizio non si configurava come tale ma che mio malgrado lo è diventato.

All’epoca scattavo giornalmente. Mi truccavo, impersonavo altri soggetti, guardavo negli occhi le persone e chiedevo loro di poterle fotografare; l’unico momento in cui non volevo scattare era quando “andava fatto”: feste, cene, compleanni. La responsabilità, in quel caso, passava a mia sorella.

Un giorno ricevetti una telefonata: «devi tornare a casa, Mari sta male. Stiamo andando all’ospedale di Reggio Calabria».

Impaurita e senza altre informazioni, prendo la macchina fotografa e una borsa con due vestiti, mi fiondo sul primo treno e inizio la mia discesa verso Rosarno.

Non avendo la giusta concentrazione per leggere e né la voglia di riposare, passavo il tempo guardando dal finestrino, ascoltando musica e ogni tanto passeggiavo nei vagoni claustrofobici di Trenitalia.

Ferma, davanti a una delle porte di uscita, scattai. Ancora non sapevo che quella sarebbe stata solo la prima fotografia di una lunga serie del nostro ultimo anno passato insieme. 

Finalmente ero giunta in ospedale. Eravamo lì senza nessuna notizia, in attesa  dei medici. Tra uno scherzo e un pisolino di Mari, arriva il pranzo. In quel preciso momento mi accorgo che aveva poca forza e che quel cucchiaio di plastica tra le sue dita sembrava pesare come un macigno. Non capendo il motivo, scattai una seconda fotografia.

Dopo i primi giorni passati a Reggio, siamo arrivate a Verona e nella città scaligera, io ho continuato a scattare. Prima dell’operazione, dopo l’operazione, la notte accanto a lei, quando ci annoiavamo, il giorno appena mi svegliavo, il pomeriggio in attesa di entrare in ospedale. Ancora durante la chemio, la radio e durante gli infiniti pomeriggi passati nel convitto delle suore.

Io e Mari non avevamo mai smesso di scattare. Lei fotografava me, io lei. Inconsapevolmente era nato un progetto. Volevamo documentare la malattia, volevamo spiegare cosa significasse avere un gliobliostama IV grado e cosa volessero dire chemio e radio. Lo facevamo per noi ed era una continua e dolorosa scoperta che lei viveva in prima persona, io osservandola, parlandoci e vedendo ogni suo cedimento.

Mia sorella era una cazzuta e nonostante la malattia ha continuato a svolgere la sua vita: studiava per diventare notaio, si è laureata, andava in palestra, gioiva, rideva e – a parte l’esser passate alla birra analcolica – cercava di svolgere una vita il più normale possibile.

Non sapevamo quale sarebbe stata l’ultima fotografia, né quando questo sarebbe avvenuto, anche se a un certo punto dovetti fare i conti con la realtà e scattare l’immagine che nessuno vorrebbe conservare nella propria memoria. Io lo feci perché ne avevo bisogno.

Inconsapevolmente, dopo la morte di Mari, ho continuato a scattare ossessivamente, non la vita nel suo scorrere – essendo diventata sostanzialmente un ghiro – ma la mia attenzione era andata verso un oggetto, che ogni giorno stava lì a ricordarmi che lei non c’era più: il manifesto mortuario.

Era affisso sulla cassettina dell’elettricità nella strada parallela al mio portone di casa. Nel tempo quel manifesto ha iniziato a svanire, a logorarsi, fino a quando qualcuno non lo ha strappato. Evidente non ero l’unica persona a cui quel manifesto faceva male, solo dopo scoprì essere stata mia nonna.

Innumerevoli giorni (mesi) di divano dopo, torno all’università e durante quel maledetto viaggio in treno succede l’irreparabile: rubano la mia valigia con la memoria esterna e il computer. Non avevo più nulla se non rari file che avevo spostato su dropbox.

Il viaggio a Lourdes. ©Claudia Stritof.

Eccoci giunti al momento in cui ho ufficialmente posato la mia reflex nella sua custodia e nascosta nell’angolo più buio del mio armadio.

Qualche tempo dopo, accade di nuovo qualcosa e senza che io me ne rendessi conto incomincio un nuovo progetto con l’’instantanea appena regalatami da Cristiano.

Da quel giorno ho iniziato a documentare la mia vita con l’intenzione di ricordare giorno per giorno gli avvenimenti, associandoli a un testo, affinché mi ricordassero chi ero e cosa stavo diventando. Era nato il progetto 365, che poi è durato tre anni della mia vita e a cui ho posto fine quest’anno: il 31 dicembre 2019.

La perdita della persona amata – una sorella, una figlia, un marito o una moglie – è qualcosa che non si riesce a comprendere e che mai dovrebbe essere esperito.

Ci si sente a metà, come se qualcuno ti avesse portato via una parte di cuore; ma ci si deve rialzare. Io grazie a mia madre – donna coraggiosa, mia fonte d’ispirazione e mio modello d’amore -, alla mia famiglia e alle molte persone che mi sono state vicine, ci sono riuscita. Non è stato semplice e qualche volte ricasco nel mio pessimismo universale, ma non oggi, perché la mia voglia di prendere a morsi questa vita è tanta perché, dopo sei anni e innumerevoli peripezie, ho imparato qualcosina in più dalla vita.

Ora tutto sta mutando e se ho una paura matta dei prossimi mesi, non vedo l’ora di iniziare a viverli. Non so se sto prendendo le decisioni giuste, non so quale sia la decisione giusta, ma è giusto seguire ciò che al momento ci rende felici. A rendermi felice è poter scrivere di fotografia al momento, così come alcune persone e sento che il mio volermi bene, fa bene anche a chi mi sta intorno perché provano le mie emozioni, così come vivono le mie gastriti.

Wadsworth Longfellow scrisse: «le feste più sacre sono quelle che celebriamo in silenzio e solitudine. Sono gli anniversari segreti del cuore, quando il fiume dei sentimenti rompe gli argini».

Oggi certamente non è una festa, ma una ricorrenza, quella dell’ultimo bacio con mia sorella, e ho voluto tramutare questo “anniversario del cuore”, in una riflessione, cercando di rompere quelle barriere mentali che mi costringono all’immobilità, alla paura e al dolore asfissiante che provo dentro. Perché si prova purtroppo e oggi, come ogni anno, sento di volerlo condividere con chi amo.

Condividiamo questo dolore con mia madre e, con il tempo, ho scoperto con molte altre persone, che la loro esperienza mi hanno raccontato e da cui sono uscita fortificata. Quello che ho capito è che guardare il dolore in faccia fa male, ma dobbiamo sempre ricordare di aver ereditato un miracoloso destino che, aperte parentesi avrebbe potuto non essere così bastardo, ma essendolo stato, non ci deve far dimenticare la grinta, la passione, la forza che abbiamo compreso di avere, seppur celata in qualche meandro del nostro cuore.

I miei cuori. ©Claudia Stritof.

Mari ha amato la vita più di ogni altra cosa, celebrandola con la massima intensità in ogni suo giorno di vita, io sono sempre stata un pò “bradipo”, ma ciò non toglie che devo dire grazie, perché ho amato e amo, ho anche perso tanto e ho sofferto, ma poi mi sono sempre rialzata.

È difficile venire a patti con se stessi e, alcune volte, si pensa di non aver meritato questa vita, ma non è vero. Ultimamente mi hanno detto «devi vivere nelle infinite possibilità», non pensare ai “non” e ai “ma”. Pensa che ci riuscirai, provaci e ti sorprenderai. Solo così si riuscirà a mutare il proprio punto di vista sul mondo.

In un articolo letto pochi giorni fa, la psicologa Marie Laure Colonna, definiva i fratelli come un solo essere umano diviso a metà. Un’identità molteplice che si manifesta attraverso il più nobile dei sentimenti: l’amore che non svanirà mai.

Dopo sei anni, posso dire di aver imparato a gestire alcuni pensieri, ma la voglia di poter parlare con lei, di raccontarle le mie giornate e condividere la mia vita con lei non è mutata. Ho piuttosto imparato a convivere con il ricordo e vivere del suo amore, come di quello che mi circonda. Come disse, Susan Sontag, nel libro Davanti al dolore degli altri, «è la passività che ottunde i sentimenti», sta a noi rinnovarli con il dono dell’emozione, della condivisione e con la voglia di star bene “qui e ora”.

Come ogni anno, stasera con un negroni brinderò a te mia dolce sister. Sempre nei mie pensieri e nella mia vita.

Testo e fotografie di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati.
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Quattro anni senza te… https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2018/02/12/quattro-anni-senza-te/#comments Mon, 12 Feb 2018 15:04:18 +0000 https://www.cultmag.it/?p=5423 Ernest Hemingway scriveva: «oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma quello che accadrà in tutti gli altri giorni dipende da quello che farai tu oggi».

Questa frase, pronunciata con parole e da persone diverse, ultimamente mi è stata detta molto di frequente. E’ difficile mettere in pratica il concetto espresso in queste poche righe perché è connotato da una coraggiosa voglia di esistenza. Vuol dire afferrare la propria vita a denti stretti e farla volgere al meglio in modo cosciente e consapevole.

A me questa consapevolezza e questo coraggio molto spesso mancano, mi crogiolo nei ricordi e nei pensieri… vago, osservo, ascolto, provo a cambiare le cose ma poi basta un intoppo per tornare al mio bicchiere sempre mezzo vuoto.

Ultimamente ho deciso di prendere una pausa da tutto ciò che era la mia vita di prima, dalle mie certezze e dalle mie insicurezze. Sto cercando di affrontare il mondo “da sola” e ho deciso di farlo cambiando le carte in tavola quasi all’improvviso. Ho preso delle decisioni che stanno avendo delle conseguenze – sopratutto sul mio sonno, visto che ormai dormire è diventata un’impresa non da poco – ma ho deciso di farlo lo stesso. Non so se queste mi porteranno ad una realtà più consapevole, ma semplicemente dentro di me ho sentito che era giunto il momento, perché se si ha paura della solitudine non si avrà mai la lucidità per poter stare bene con gli altri.

Un giorno leggendo Se il sole muore di Oriana Fallaci ho ritrovato le sensazioni che stavo provando: «sono stupendi i trent’anni, ed anche i trentuno, i trentadue, i trentatré, i trentaquattro, i trentacinque! Sono stupendi perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa […] Non temiamo la punizione perché abbiamo concluso che non c’è nulla di male ad amarci se ci incontriamo, ad abbandonarci se ci perdiamo: i conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta, col nostro dolore da grandi».

Leggendo questa frase mi sono detta: ecco un’altra persona che sa come vivere. Alcune volte mi chiedo come si possa raggiungere questa consapevolezza… Se c’e un qualche libro rivelatore di cui non sono a conoscenza, una poesia o una musica che da avvio al tuo cambiamento facendoti acquisire concretezza. Cosa fa dire “eccomi, sono al mondo e sto bene!”?

Le domande che la Fallaci pone mi hanno spaventata perché mi sono resa conto di essere titubante, di cercare amore e di aver paura di riceverlo e ormai, alla soglia dei trent’anni, è ora di fare i conti con il mio dolore ma anche con le mie gioie e le mie insicurezze.

Oggi è il 12 febbraio 2018. Sono passati quattro anni  da quel maledetto giorno e da allora sono successe così tante cose che mi sembra essere passata una vita intera.

Non so dire cosa sia cambiato effettivamente e non posso neanche dire che il dolore sia meno intenso: in alcuni giorni si sente un male lancinante che ti scuote e che non comprendi. Senti che la solitudine si impossessa di te lentamente e poi esplode all’improvviso.

Ricordo Mari quanto era meravigliosa, ricordo il suo sorriso e il suo modo di prendermi in giro. Ricordo che era bellissima e sicura di sé. Ricordo che in alcuni momenti mi faceva incavolare tantissimo, e che io facevo incavolare lei, tanto da non parlarmi per giorni interi.

Oggi scrivere è difficile, sarà la pioggia, saranno gli impegni della giornata, ma faccio fatica a pensare, o meglio, a ricordare. Allora ho preso il mio diario di quei giorni ormai lontani. Un diario che spezza il cuore, perché in quei momenti non ho avuto la lucidità di filtrare i miei pensieri e ho descritto minuziosamente ogni apparizione giornaliera di quel maledetto mostro sul suo corpo.

Vi risparmio questa lettura perché penso che non faccia bene a nessuno, ma ciò di cui mi stupisco è la lucidità della perdita che non ricordavo assolutamente di avere: il 14 novembre 2013 «io e Mari abbiamo fatto una bella passeggiata sul lungomare, abbiamo scherzato tanto e parlato. Lei è molto tenera. Alterna momenti di tristezza a momenti di grinta».

Il 15 novembre è stato un giorno positivo «abbiamo guardato Ritorno al futuro […] Nel pomeriggio Mari si è levata quella maledetta tuta e finalmente è tornata splendete e impeccabile come una volta. Sempre sui tacchi, sempre perfetta mentre mamma è in cucina che prepara la pizza». Durante lo stesso giorno annotavo: «non riesco a non pensare che lei non sarà lì a sostenermi quando starò male, a gioire quando sarò felice. Rimarrò senza Lei che per tutta la vita ho imitato e amato più di ogni altra cosa. Cerco di non pensarci ma non ci riesco e l’unica cosa che spero ogni notte prima di addormentarmi è che lei si svegli bella, grintosa e sorridente come pochi mesi fa». Lo scritto prosegue con note “tecniche”: «eliminare la puntura di cortisone. Introdurre deltacortene e diminuire keppra di uno (siamo a quattro). V giorno di Themodal».

Da questo scritto mi sono resa conto che dopo quattro anni non ricordo più i nomi dei medicinali, eppure li conoscevo come mamma ricorda a memoria le preghiere del suo rosario… le bisbigliavo ogni attimo e le annotavo minuziosamente sul quadernino delle medicine, con tutti i vari parametri.

…arriviamo al 9 dicembre. Era un lunedì soleggiato e la mia mente era attanagliata da mille domande: «raccontare le proprie storie di vita, le proprie gioie e i propri malanni… a cosa serve? Forse serve a qualcuno che è nella tua stessa condizione? Forse serve a dare la carica a chi sta meglio e alcune volte perde il coraggio di vivere? Forse serve solo a me. Mari deve fare la risonanza e al momento è dentro. Lei è sempre più confusa. Il glioblastoma è una bestia nera, io cerco informazioni su cosa accadrà. Mi sembra di non darle nessun aiuto. Parlo con le persone che hanno il suo stesso male: la signora che ho incontrato oggi ha 65 anni e anche lei ha un tumore al cervello. Prende soldesam, keppra, etc. ma i dosaggi sono minori, molto più bassi rispetto a quelli di Mari […] Rimane la speranza di un risultato positivo… Ma so che non sarà così… Ho paura delle posate che cadono dalle sue mani e dei bicchieri versati».

Direi che posso conclude qui con i ricordi e torniamo al presente e alla bellissima scoperta che mi ha fatto fare Vittoria proprio in questi giorni: il Questionario di Proust – un test molto interessante per cercare di comprendere qualcosina in più della propria persona. Una delle domande è:

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Non so bene quale sia la mia risposta definitiva ma il mio primo pensiero è stato “poter tornare indietro nel tempo”, riabbracciare Mari e vivere nuovamente quell’ultima passeggiata insieme sul lungomare di Gioiosa, perché ora sono consapevole del fatto che sarebbe stata la nostra ultima camminata insieme. Una passeggiata di cui ricordo ogni attimo, le foto fatte quel giorno, i manifesti strappati del circo vicino al vecchio passaggio a livello, la lumaca in fondo al lungomare, l’asfalto bagnato e lei che mi dice: «Cla andiamo a casa, sono stanca». Siamo state bene. Eravamo semplicemente io e lei.

Sò che “l’essere felice a piene mani” mi è stato strappato quel giorno, sono consapevole di questo, ma credo anche che in questa vita ci possa essere altro. Tempo fa ho osservato le stelle: si osservano ogni sera, ma non le ricordavo così belle e splendenti, forse perché era da tanto tempo che non mi prendevo un attimo per stare immersa nel buio di una montagna ad osservare il cielo. Ciò che ho capito quella sera è che posso ancora sorprendermi. Osservare delle semplici stelle e scoprire che brillano e palpitano come mille cuori, ognuna diversa dall’altra, qualcuna in modo più flebile, altre in modo più intenso.

Il mio sogno di felicità?

Potrebbero essere delle stelle, potrebbe essere un abbraccio, potrebbe essere un sorriso sulla porta, un aperitivo con le amiche, delle olive mangiate con Mattia a Milano, mille risate con Vitto e Mauri in galleria per figuracce colossali, un medico gentile di cui ti fidi che ti da una buona notizia e ti dimentichi di pagare perché vivi sulle nuvole, oppure potrebbero essere tutte queste cose insieme. Forse il mio sogno di felicità potrebbe consistere nel trovare il coraggio, che gli altri dicono di vedere in me, ma che io non riesco a scorgere; forse il sogno consiste nel credere che la “felicità” possa realmente esistere e che questa non si manifesti sorridendo, ma credere che prima o poi potrai rifarlo senza avere paura.

***

Questionario di Proust:

Qual è, per lei, la più grande disgrazia?

Dove le piacerebbe vivere?

Qual è il suo ideale di felicità sulla terra?

Quali colpe le ispirino maggiore indulgenza?

Chi sono i suoi registi preferiti?

Chi sono i suoi pittori preferiti?

Chi sono i suoi compositori preferiti?

Che qualità apprezza in un uomo?

Che qualità apprezza in una donna?

Quali sport pratica?

Sarebbe capace di uccidere qualcuno?

Qual è la sua occupazione preferita?

Chi le sarebbe piaciuto essere?

Qual è il tratto principale del suo carattere?

Cosa apprezza di più negli amici?

Qual è il suo difetto principale?

Qual è la prima cosa che l’attrae in una donna?

Qual è il suo colore preferito?

Qual è il suo fiore preferito?

Chi sono i suoi autori preferiti in prosa?

Chi sono i suoi poeti preferiti?

Chi sono i suoi eroi nella vita reale?

Quali sono i suoi nomi preferiti?

Cosa detesta più di tutto?

Qual è il dono di natura che vorrebbe avere?

Crede all’immortalità dell’anima?

Come vorrebbe morire?

Qual è lo stato attuale del suo animo?

***

 

Testo e vita di ©Claudia Stritof
Immagine di copertina ©SASHA IGNATIADOU.
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Riposo assordante. https://www.cultmag.it/2016/01/14/riposo-assordante/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/01/14/riposo-assordante/#respond Thu, 14 Jan 2016 18:42:28 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1613 Notti insonni passate al tuo capezzale.

Ferma, immobile,

con la testa fasciata da un’aureola bianca macchiata di sangue.

Tubi estranei fuoriescono dalla  tua tempia e dal tuo naso.

Ore incessanti.

Un campanello suona, una luce lampeggia a intervalli regolari,

tutto succede vorticosamente.

Mal di testa! Grando 7.

Ti volti, mi guardi, mi chiedi aiuto.

Ti sorreggo la testa.

Liberati, dolce amore,

liberati dai verdi umori maligni.

Umori e malori.

Urla e fremiti.

Carezze silenziose, campanelli assordanti.

Su e giù per il corridoio.

Liquidi iniettati.

Un riposo breve.

Un riposo stanco.

Una veglia di amore,

 mio tenero angelo.

***

Testo e immagini ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Un anno è passato… https://www.cultmag.it/2015/02/04/un-anno-e-passato/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/02/04/un-anno-e-passato/#comments Wed, 04 Feb 2015 10:20:16 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1610 Un anno è passato e rileggendo le parole scritte di getto, ad un solo mese di distanza dalla morte di Mari, la sensazione di spossatezza non è cambiata. Più attenuata, certo. Ma purtroppo rimane lo stesso dolore, che credo mai cambierà.

Ho imparato a pronunciare la parola MORTE, ma non l’ho mai fatta mia, riesco a dirla di rado. Per me Mari “è andata via”, forse sperando che ancora torni da noi. Forse sperando in un suo abbraccio e in una sua carezza. Ancora oggi, spero che lei mi chiami e come se fosse partita per un lungo viaggio mi racconti tutto ciò che ha fatto in questo anno. Faccio fatica a non poter parlare con lei e allora le scrivo messaggi come se potesse leggerli, proprio come facevamo una volta, speranzosa di ricevere una risposta, che so che non arriverà.

Se ripenso all’anno scorso, proprio in questi giorni le davo l’ultima carezza e toccavo per l’ultima volta la sua guancia calda, oggi rimane solo il ricordo di quel contatto e di quella sensazione insostituibile.

Ho avuto una sorella, anche se per soli 27 anni, che mi è stata strappata via all’improvviso. La prossima settimana io avrò la stessa età e non mi sono neanche accorta che un anno è passato, come se avessi vissuto in una bolla d’aria, in cui ogni tanto manca l’ossigeno.

Da una parte ricerchi le fotografie per rivivere quei momenti felici, ma dall’altra in alcuni attimi vorresti non pensare, perché alcune volte i pensieri fanno molto male, sono come se un macigno che ti fa sprofondare in una sorta di oblio, non so bene perché ma improvvisamente la tranquillità svanisce e allora i pensieri affollano la mente.

Il tempo è trascorso, la vita è andata avanti, anche se molto lentamente, tutto è cambiato e nulla è più uguale a prima, ho sentito il “lento appassire della vita”, e fa male.

E’ passato un anno… e forse è troppo poco. Non so spiegare cosa sia cambiato ma posso dire che la nostra vita non è più la stessa. Mi chiedono: “Come ci si sente?” – “Come si affronta?”… Non lo so, è una sensazione strana, si cerca di capire come affrontare la normalità della vita. Ma non esiste più una normalità. Non hai delle abitudini come le avevi prima. Il tempo, le decisioni, gli stimoli e i pensieri cambiano.

Non potrei spiegarli tutti perché semplicemente li vivo quotidianamente con il dolore nel cuore ma cercando di avere sempre il sorriso sulle labbra, quello che aveva lei.

I suoi sogni, i suoi desideri e la sua gioia di vivere sono diventati come polline trasportato nel vento, che si è posato su ognuno di noi e ha fatto germogliare una nuova brama di vita. Mari era così carismatica e aveva tante passioni, andava avanti per la sua strada, ed era propria la sua tenacia a infondermi tante sicurezza.

Molte persone ci sono state vicine e ci hanno amato incondizionatamente, vecchie e nuove amicizie che hanno trovato parole e sentimenti autentici nei nostri confronti. Molti messaggi, poesie, ricordi sono stati condivisi con noi in questo anno e molti di essi parlavano di insegnamenti sull’affrontare la vita con nuovi occhi, più puri e più autentici.

Tutto questo è per dire grazie a tutti, condividendo con voi pensieri e sentimenti. Perché con i sorrisi, le sensazioni genuine, l’affetto, i ricordi portate Mari giornalmente nel vostro cuore e lei continua a vivere.

Questa volta non farò riferimenti alle arti visive, ma se mai troverete il tempo vorrei che guardaste “Anam. Il senza nome”, l’intervista a Tiziano Terzani. A molti Terzani non piace, ad altri moltissimo. Io sono tra questi ultimi e ogni tanto sento l’esigenza di sentire le sue parole. Buona visione!!

Siti utili: Tiziano Terzani

Testo ©Claudia Stritof. All rights reserved.

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Tamagotchi: riflessioni sulla vita e sulla morte. https://www.cultmag.it/2015/01/19/tamagotchi-riflessioni-sulla-vita-e-la-morte/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2015/01/19/tamagotchi-riflessioni-sulla-vita-e-la-morte/#respond Mon, 19 Jan 2015 21:17:31 +0000 http://claudiastritof.com/?p=1538

Quando i Tamagotchi muoiono e sono resettati per una nuova vita, i bambini non hanno la sensazione che tornino uguali a prima. Mentre una volta non vedevano l’ora di far rinascere le macchine che avevano rotto, nel caso dei Tamagotchi hanno il terrore della loro perdita e rinascita. Questo provoca un sincero rimorso perché, come dice un bambino di nove anni, “non doveva succedere. Avrei potuto occuparmene meglio”.

Sherry Turkle, Insieme ma soli.

Ipotesi e sentimenti realistici questi che Sherry Turkle descrive nel suo libro Insieme ma soli, la cosa che sorprende è che le due parole di “vita e morte” siano riferite a dei semplici giocattoli, che poi giocattoli non sono per dei bambini, che in tutto e per tutto li assimilano ad animali viventi.

Molti di noi hanno provato l’ebbrezza di possedere un Tamagotchi da piccoli, con risultati più o meno soddisfacenti. Il mio è morto poco dopo tempo, puzzava e dormiva sempre perché non gli prestavo le adeguate attenzioni, ma per questo, almeno da quello che posso ricordare, non mi sono mai sentita in colpa. Forse perché era un giocattolo, non era un essere vivente, forse ero solo più grande rispetto all’età media dei possessori dei Tamagotchi e quindi capivo la differenza che c’era tra un animaletto tecnologico e uno vivente. Ma sono solo ipotesi, forse era per menefreghismo e basta. E forse mi sbagliavo.

La cosa miracolosa nel Tamagotchi è che può essere resettato, in poche parole si può far rinascere, portarlo a nuova vita, come se nulla fosse successo. Ma questo nella vita non accade… e no, che non accade. E forse è giusto così. E’ il corso della vita e sarebbe troppo semplice premere un bottone e tornare indietro.

Tornare indietro per andare dove? Prima della morte di una persona cara? Prima di un esame andato male? Prima di un incontro sbagliato? Prima di momento perso e che non tornerà più? Forse, e io con tutta franchezza resetterei alcuni momenti della mia vita.

Mi sorge un dubbio, ovvero così facendo forse la nostra vita non andrebbe più avanti, avendo la possibilità di tornare indietro di giorni o anni, saremmo sempre lì a resettare, non avendo neanche più la tensione “del se…”. Sarebbe sempre in un pausa su un determinato istante, rallentando la corsa verso il futuro e sopratutto rischiando di perdere il futuro.

Però il bambino su una cosa ha ragione, sui dubbi sorti in seguito alla morte. Quelli ti attanagliano sempre. “Non doveva succedere”, e su questo non ci sono dubbi. Molte cose negative non dovrebbero accadere e invece accadono inesorabilmente e una persona continua a ripetersi questa frase per cercare di capire la ragione di tutto ciò che accade.

Il bambino nella sua innocenza ha di nuovo ragione quando gli sorge il dubbio: “avrei potuto occuparmene meglio” – “forse avrei potuto fare di più” – “forse se mi fossi comportata così, lei sarebbe stata meglio”. Troppi forse, ma che nella mente risuonano incessantemente. Si pensa di aver fatto troppo poco per una persona a cui vuoi bene. Sono dubbi leciti per quanto possano essere insensati, che non fanno bene, ma che insorgono senza che tu possa farci niente. Sono lì. Alcune volte un po’ più presenti, altre meno. Non so da cosa dipenda la comparsa di questi forse, ma sono pensieri che in un momento qualsiasi potrebbero insorgere, gettandoti in un baratro di ricordi, non sempre positivi, che vorresti ma non puoi condividere, semplicemente perché verrebbero capiti solo in parte e forse perché fa male condividerli.

Allora ecco come un Tamagocthi si trasforma in un motivo di riflessione, cosa che non avrei mai immaginato da bambina, e ad averlo saputo prima, forse non lo avrei mai maltrattato. Non avrei dovuto. Ma rimango della mia opinione, non credo che l’ovetto tecnologico abbia sofferto, ma credo che a soffrire sia stato il ragazzino che ha dovuto assistere così piccolo ad una perdita, che poi tanto virtuale non era, se vista con gli occhi così piccoli di speranza e di amore.

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Mare cristallino e riflessi nucleari https://www.cultmag.it/2014/06/21/mare-cristallino-e-riflessi-nucleari/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/06/21/mare-cristallino-e-riflessi-nucleari/#comments Sat, 21 Jun 2014 17:18:42 +0000 http://claudiastritof.com/?p=995

“Un mondo vivido di luci e di colori, fresco, fragrante, come fu voluto da Dio, nei primordi della creazione. Ed i personaggi che lo popolano sono ancora nudi, inesperti, senza parola. Passano i secoli, le generazioni si susseguono veloci, ma Adamo ed Eva vivono ancora nell’Eden. Nascono, muoiono. Un arco di tempo che racchiude la vita: fanciullezza, vecchiaia. Bonacce e tempeste. Eterne vicende umane; ma le vicende, anche se tragiche, anche se grottesche, si ammantano di luci misteriose, si vestono di stupito candore, diventano poesia per chi sa guardare con occhi attenti”.

Maria Macrì LucàVecchio mondo e vecchia gente, 1969

Le coste calabresi sono state d’ispirazione per poeti, artisti e girovaghi che le hanno amate e lodate per il verde lussureggiante della sua flora, per la fresca brezza marina e il mare blu cobalto. E’ un profondo legame quello che unisce il mare e l’uomo “pisciaro” rispetto a chi nasce altrove. Il mio mare corre sinuoso cristallino e trasparente lungo la costa come se non avesse una fine.

Eterne vicende umane e paesane si svolgono in questa terra, racconti che diventano poesia e racconto negli occhi di chi sà guardare. Quella che vi racconto io è una storia “generazionale”, che va dalla fanciullezza alla vecchiaia, in cui tutti sono coinvolti, una storia reale scritta dall’avidità dei “potenti”.

E allora perchè iniziare con il nostro mare cristallino e trasparente? Semplicemente perchè il nostro mare può arrabbiarsi e allora si increspa con le sue creste schiumose e le onde si infrangono con tutta la loro potenza sulla spiaggia, creando il boato tipico del mare in tempesta.

 © Claudia Stritof.

© Claudia Stritof.

E’ una mare speciale, che molti posti balneari “d’eccellenza” non hanno la fortuna di avere, ma noi con il nostro mare e le nostre coste non sappiamo viverci, forse qualche anno fa si, quando nelle estati afose le strade brulicavano di turisti, ma tutto questo ormai non c’e più. E’ solo un vano ricordo e un eterno rimpianto.

Il mare trasmette sensazioni contrastanti e ad oggi non riesco a guardarlo con gli stessi occhi, come non riesco più a guardare i monti e l’Aspromonte, oppure passare sotto la galleria della Limina e pensare al male che si cela in essi.  Mare e montagna convivono a pochi passi l’uno dall’altro con semplicità e perfezione, ma le nostre bellezze e le nostre peculiarità sono state minate e contaminate, da chi per soldi non ha pensato a cosa sarebbe accaduto venti anni dopo.

Vite spezzate di giovani, ragazzi, ragazze, mamme, papà, nonne, nonni, fratelli e sorelle, nessuno si salva dagli innumerevoli casi tumorali, che giornalmente colpiscono amici e conoscenti. Come un tempo ha scritto Corrado Alvaro: “la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile”, forse in molti hanno frainteso questa frase e la disonestà si è impadronita generazione dopo generazione delle menti, intaccando chi volente o nolente vive in queste terre “sterminate”.

I viaggi nel nostro mare risalgano a tempi antichi, ma negli ultimi venti anni questi viaggi sono stati segnati da una partenza ma non da una destinazione. Navi perse o meglio “navi a perdere” che hanno solcato i nostri mari e lì hanno “deciso” di affondare.

Le “navi dei veleni” sono uno degli argomenti di cui molto spesso si sente parlare, ma che molto spesso si dimentica. Più guardo il mare e la terra e più mi chiedo: “e se fosse proprio la nostra terra a farci morire?

L’incidenza tumorale in Calabria, e in particolar modo sulla costa jonica è molto alta. Spesso si leggono notizie sui quotidiani locali e nazionali, in cui vengono riportate dichiarazioni di nuovi pentiti che indicano presunti luoghi dove i barili sono stati interrati e/o navi affondate ma indagini serie non vengono fatte. Perchè non si studiano le cause? Perché si ha paura della risposta? Dobbiamo soccombere tutti prima che i mali che qualcuno ha deciso di portare nella nostra terra per il vil denaro vengano scoperti?

Leggere i dati e le previsioni sull’incidenza spaventa. Il mare può nascondere anche questo male? E se questo nostro mare non fosse più puro? Se fosse proprio lui una delle cause che ci porta ad ammalarci? E perchè inquinare il mare? Per cosa? Per soldi? Chi ci pensa alla popolazione? Molte le indagini, molte le inchieste e molti i miei pensieri e la voglia di capire.

Credo che nessuno dovrebbe provare il dolore della perdita e parlando con molte persone ad un certo punto ti rendi conto che sono molte le persone che giornalmente sono colpite nella mia zona da questo male e si rafforza in me l’idea che sia un sintomo di un male collettivo. Un caso dopo l’altro che ad un certo ti porta a chiederti: e a me quando toccherà?

Molte le navi affondate  i motivi che sposso si leggono sono diversi come quello di  incassare i soldi delle assicurazioni, oppure aiutare i “potenti” a smaltire rifiuti che nessuno vorrebbe, di solito radioattivi. Ecco che allora il Sud del mondo viene riscoperto nel suo splendore e il mediterraneo diventa la meta privilegiata per questi viaggi senza meta.

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea in provincia di Cosenza nel 1994 . ANSA/ FRANCESCO ARENA

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea in provincia di Cosenza nel 1994 . ANSA/ FRANCESCO ARENA

Alcuni nomi: la nave Aso, affondata il 17 maggio 1979 al largo di Locri. Trasportava solfato ammonico, prodotto di scarto dell’industria chimica. I documenti ufficiali riportano che la nave sarebbe affondata dopo aver colpito un oggetto sommerso. Il 31 ottobre 1986 affonda la nave Mikigan, al suo interno granulato di marmo, che come il cemento, scherma la presenza di sostanze tossiche e radioattive, affondato nel mar Tirreno. Il 21 settembre 1987 affonda la nave Rigel. Il processo si è chiuso nel maggio del 1992 inchiodando i responsabili. E’ stato un naufragio doloso e truffa alle assicurazioni. La Rigel partita da Marina di Carrara ha poi fatto meta su altre coste fino al giorno in cui venne affondata a Capo Spartivento. Nessun S.O.S lanciato dalla nave, i resoconti sono confusi, ciò che destò l’interesse gli inquirenti fu un’intercettazione telefonica in cui veniva menzionato un carico contenente “merda”. Il 9 dicembre 1988  affonda la Four Star I in un luogo non precisato nello jonio meridionale. Il 14 dicembre 1990 la Jolly Rosso, della società di Ignazio Messina, si arenò ad Amantea (CS), l’inabissamento non riuscì. La nave è stata coinvolta in una lunga inchiesta e che nonostante sia stata archiviata nel 2009, la vicenda è stata collegata all’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, sullo smaltimento di rifiuti radioattivi.

Il giornalista Claudio Cordova afferma: Tante le note “riservate”. La prima è del 17 novembre 1992, allorquando gli 007 del Centro di Reggio Calabria segnalano come i fratelli Cesare e Marcello Cordì, all’epoca latitanti, avrebbero gestito lo smaltimento illegale di rifiuti tossici e radioattivi provenienti da depositi del Nord e Centro Italia, sotterrandoli lungo i canali scavati per la posa in opera di tubi per metanodotti nel Comune di Serrata, in provincia di Reggio Calabria |…| Agli atti d’archivio, però, vi sono anche le indagini per la cattura del super latitante Giuseppe Morabito, il “Tiradritto” di Africo, paese della Locride. E’ il 1994, Morabito verrà arrestato solo dieci anni dopo, ma già in quell’occasione i Servizi segnalano che il latitante, in cambio di una partita di armi, avrebbe concesso l’autorizzazione a far scaricare, nella zona di Africo, un non meglio precisato quantitativo di scorie tossiche e, presumibilmente, anche radioattive, trasportate tramite autotreni dalla Germania. Ma tutto questo non basta, Africo dopo tutto è lontana all’incirca mezz’ora dal mio paese, e quindi non stupiamoci se anche noi siamo rimasti indenni a discariche abusive di materiale tossico, serve solo il tempo che il male emerga dalla terra e nella provincia di Reggio Calabria, i luoghi dove si trovano le discariche, per la maggior parte grotte, sono: Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico (100 fusti), Motta San Giovanni, Serra San Bruno (Cz), Stilo, Gioiosa Jonica, Fabrizia (Cz).

Natale de Grazia

Natale de Grazia

Per chi non è di qui non conoscerà questi paesi, ma sono tutti molto vicini e invece chi vi abita li conoscerà uno per uno, perché vi è nato, perché ci sono gli amici o parenti, perché ha festeggiato una pasquetta, o semplicemente ci lavora o lo visita.

Forse troppo nozionismo il mio, forse è solamente un elenco di “carrette” e di carte, ma chi studia ciò che sta avvenendo nel nostro paese, c’e, esiste, sono persone che si pongono domande e visto che le risposte non vengono date da chi di dovere, le cercano da soli. Io le domande me le pongo e credo che sia giusto condividerle, per la nostra salute, anche se ormai forse è stata intaccata, e quindi credo sia giusto farlo per chi verrà. Ogni anno, vedo “la mia terra” peggiorare, e tutto questo a causa dei suoi stessi abitanti, a causa di chi dall’alto ha deciso di non prendersi cura di Lei come di una mamma e che non la culla come una figlia da far crescere nel modo più genuino possibile.

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I fiori erano ormai appassiti in quel giardino segreto così come il tempo di Mari era ormai giunto al termine.

Il dolore è una ubriacatura colossale. Le sensazioni di un dolore forte sono quelle. Ma nessuno me l’aveva mai detto. Il dolore che si prova quando si è piccoli è diverso. Pian piano si assimila, si abbraccia e si cresce con esso. Ma quando si è grandi si pensa continuamente e alcune volte questi pensieri possono far male come mille stilettate al ventre.

Il dolore è un sentimento che si prova spesso nel corso della vita, dovrebbe rafforzarci e le sofferenze dovrebbero renderci coraggiosi.

Sto cercando di riconquistare questa “forza”, anche se non è semplice. A 26 anni, appena compiuti, un male abominevole ha portato via la mia metà razionale, mia sorella, e tutta la forza che si è avuta fin a quel momento all’improvviso svanisce.

Spesso vengo risucchiata dal divano cercando di pensare ai momenti felici ma ciò che sopraggiunge come un mostro dalle tenebre è il ricordo di un anno di malattia.

Mi dicono che i ricordi felici arriveranno… un pò come avveniva in Peter Pan. Prima o poi quei pensieri ci faranno volare, e forse sarà così, forse le favole non mentono, sono pillole che addolciscono i momenti di tristezza.

Ma ora è difficile. E’ difficile scrivere ciò che si prova in questi momenti. Alterno momenti in cui colta da una fiacca adrenalina faccio ordine, momenti in cui mi butto sul divano, momenti in cui leggo o scrivo. Guardo qualche foto, ma anche quello fa male. Avvicinarsi ai suoi libri, ai suoi vestiti e alla sua camera non se ne parla. Era così bella, ora io invecchierò e lei porterà per sempre il vestito color rubino che le stava d’incanto.

E’ come se vivessi sospesa a mezz’aria, cercando di non farmi troppe domande per paura di darmi delle risposte. Tutte le certezze che avevo prima vacillano. Dicevo: “dopo la morte? Nulla!!”, ora spero che lei non soffra, che non sia sola, che sia con mio padre e che non senta freddo.

“Dove sarà? Ci vedrà? La rivedrò?” Domande a cui nessuno può rispondere. Continui pensieri che assillano la mente. Forse anche lei fluttua come i miei pensieri, cerca una via e un modo per ricominciare.

Avrei tanta voglia di sapere se sta bene. Vorrei sapere se la malattia che l’aveva così tanto trasformata alla fine sia stata finalmente sconfitta e se mia sorella sia tornata la solita sister sorridente e qualche volta un po’ arrabbiata verso il mondo.

Con Mari ho foto da quando sono nata, con lei condividevo gioie, pensieri, litigi da sorella, regali, telefonate lunghissime e messaggi da appena sveglie al mattino presto prima di incominciare a studiare.

E ora? Chi farà tutto questo con me? Chi mi correggerà la tesi prima di inviarla al prof? Chi mi spronerà a non aver paura?

Che strana cosa il dolore… e che strana cosa la perdita.

Quando guardavo il film A time for dancing piangevo sempre quando alla fine leggevo: “basato su una storia vera”. Non sapevo che quella storia sarebbe diventata la nostra. In un anno è successo di tutto. Un anno. Gli anni passano così inutilmente, noi non ci accorgiamo del tempo che scorre, ma lui ci divora. All’improvviso tutto cambia.

Mi ponevo un unica domanda: “Perchè?”. Mi dicevo c’e ancora Speranza. E allora partiamo per Lourdes.

Da quella vasca io non sono uscita asciutta. Ma ho pregato. Mari ci credeva veramente e quegli occhi pieni di tranquillità e speranza, davanti al prete, non potrò mai scordarli. Erano così dolci e pieni di luce. Forse il miracolo era destinato a qualche altro fedele. Noi ci abbiamo creduto. Lei ci ha creduto.

Ora invece continuo a ripetere: “evabbè”. Tutto unito, sospirando. Come se questo fosse il destino che ci attendeva. Così era scritto ma non lo sapevamo. Quello che rimane è una fotografia annerita. Una pellicola esposta alla luce prematuramente e ormai bruciata. Ma non è persa, questo sbaglio del destino può insegnarci a rendere unica quella foto. Forse si deve solo aspettare e scrivere sulla pellicola, graffiarla con segni sinuosi in modo che diventino ricordi cicatrizzati sulla pelle. Un dolore che non si cancella e io voglio fidarmi di chi mi dice che presto queste sensazioni si trasformeranno in altro. Ma fa male. Non devo dimenticare che “è come se fosse qua con me”, ma al momento è una magra consolazione. Lei non c’è e non ci sarà.

In questo periodo ho ricevuto molte parole, lettere e frasi di una dolcezza infinita. Non mi sarei mai aspettata tutto questo amore, ma ogni singola parola, anche la più timida e impaurita, mi ha, e ci ha, dato forza. Storie e ricordi che fanno bene, piccoli graffi che iniziano a scalfire quella superficie così spessa come pietra lavica. Piccole fiammelle d’amore così luminose che a momenti risplendono e ti accarezzano il volto con gentilezza, sperando che prima o poi l’equilibrio si ristabilisca e al dolore subentri la gioia dei ricordi.

Come ho sempre sostenuto l’arte aiuta a farci capire il mondo e i piccoli cambiamenti che avvengono in noi e che spesso sottovalutiamo. Allora la prima opera che mi è venuta è in mente è quella  dell’artista Sam Taylor Wood: A little Death. Descrive perfettamente quello che ho visto in un anno di vita: la trasformazione del corpo, la perdita, la morte. Caravaggio rappresentò diverse vanitas e la mela bacata era il simbolo di morte e caducità ma la Wood attraverso il video fa vedere la decomposizione del corpo, giorno per giorno. Il lento appassire della vita. Immagini forti, colte in un tempo lungo ma concentrate in un breve video, che altro non è che la vita.

Questo scritto nato per me stessa e come sfogo personale, è stato letto da mamma in chiesa per il trigesimo di Mari, abbiamo deciso di condividerlo con tutti coloro che ci hanno mostrato il loro amore, parole sicuramente non felici, ma piene di forza d’amore. Un modo per ringraziare chi prova a donarci il loro amore e ci abbraccia con il pensiero.

Io non sarei mai riuscita a leggerlo. Posso scrivere e scrivere… ma non leggere i miei pensieri. Mamma ha avuto questa grande forza con la mano tremolante e la voce distrutta dal dolore, ma forte e ferma. Un amore infinito.

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