verona – CultMag https://www.cultmag.it Viaggi culturali Wed, 08 Mar 2017 20:11:40 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.1.6 104600578 Maria Callas. The Exhibition https://www.cultmag.it/2016/05/11/maria-callas-the-exhibition/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2016/05/11/maria-callas-the-exhibition/#comments Wed, 11 May 2016 19:11:15 +0000 https://www.cultmag.it/?p=3870 Una mostra curata da Massimiliano Capella alla Fondazione AMO, Arena Museo Opera di Verona, celebra il mito intramontabile della Divina: Maria Callas. The Exhibition si sviluppa come un intenso percorso nell’arte e nelle passioni della donna che ha cambiato la storia dell’opera.

Poco prima della sua morte, Maria Callas trascriveva in una lettera alcuni versi tratti da La Gioconda di Amilcare Ponchielli, prima opera da lei interpretata all’Arena di Verona nel 1947 sotto la direzione del maestro Tullio Serafin: «in quei fieri momenti tu sol mi resti. E al cor mi tenti l’ultima voce del mio destino, ultima croce del mio cammino», da questa frase mancava solo l’incipit, la parola “suicidio”. La sua scomparsa, come la sua vita rimangono avvolte da un alone di mistero, ma probabilmente quello di Maria Callas era un destino già scritto; una donna fatalista, traghettata nel viaggio della vita dalle proprie sconfinate passioni e dal proprio cuore.

Jerry Tiffany, Ritratto fotografico di Maria Callas, New York, 1958. Collezione Ilario Tamassia.

Jerry Tiffany, Ritratto fotografico di Maria Callas, New York, 1958. Collezione Ilario Tamassia.

Fantastica nelle sue interpretazioni drammatiche, riuscì a trasformare i propri difetti in virtù, fece della sua voce graffiante e ruvida un punto di forza e lo stesso avvenne per il suo aspetto fisico tanto denigrato dalla stampa, diventato infine un’icona di stile, dai modi aggraziati e dall’aspetto sempre curato a cui corrispose un’importante svolta artistica, perché ora, a fare da contrappunto alla sua indimenticabile voce, c’e anche un «grande lavoro interpretativo che veicola tramite il proprio corpo». Una scoperta di se stessa che l’ha portata a incarnare con profonda empatia personaggi ricchi di pathos, che trasmetteva all’animo dello spettatore senza nessuna apparente difficoltà, non c’era ruolo che la Callas non potesse interpretare grazie alle sue immense doti di cantante e attrice, ma ciò che affascinava era soprattutto la sua aurea di donna, che nel profondo del proprio cuore celava un animo da bambina dagli occhi innocenti e alla continua ricerca di un amore eterno.

Mario Tursi, Maria Callas come Medea con il costume di scena disegnato da Piero Tosi per il film di Pasolini, 1968. ©Mario Tursi

Mario Tursi, Maria Callas come Medea con il costume di scena disegnato da Piero Tosi per il film di Pasolini, 1968. ©Mario Tursi

La mostra nella città scaligera ripercorre la vita travolgente della Divina: dalla nascita in America al suo ritorno in Grecia con la madre e la sorella, dove studia al Conservatorio grazie alla maestra Elvira de Hidalgo, per poi partire verso il Nuovo Continente e tentare la scalata artistica. A New York il successo non è immediato ma è qui che ottiene un’audizione con l’allora direttore della stagione operistica all’Arena di Verona, Giovanni Zenatello, il quale la scrittura a soli 24 anni. Nel 1947 Maria Callas debutta a Verona, città in cui non corona solo il sogno di diventare cantante ma anche quello di avere una famiglia, sposandosi di lì a poco con l’industriale veronese e suo pigmalione Giovanni Battista Meneghini. Arrivata all’apice del successo la Callas inizia inevitabilmente una parabola discendente: a questo periodo risalgono i primi contrasti con la Scala di Milano, l’amore con Meneghini finisce bruscamente e i tabloid scandalistici si scagliano su di lei mettendone in discussione l’arte e la personalità. Nel frattempo stringe rapporti con l’armatore greco Aristotele Onassis, un amore che nasce e si spegne lentamente in nove anni e dal quale Maria Callas non si riprenderà mai. Tradita e amareggiata la soprano si allontana dalle scene ma non prima di aver interpreto nuovamente la Medea,sotto la regia di Pier Paolo Pasolini, film galeotto dal quale nascerà un profondo sodalizio intellettuale e una sincera amicizia.

Tornerà sulle scene, ma la tragedia ormai faceva parte della sua vita e ulteriormente dilaniata dalla morte di Onassis prima e di Pasolini e Visconti poi, decide di rifugiarsi nella solitudine del suo appartamento parigino fino al sopraggiungere di quel fatidico 16 settembre 1977, quando muore all’età di 53 anni e le sue ceneri vengono disperse nel mar Egeo, quel mare che molte volte l’aveva cullata e accompagnata nel lungo viaggio della vita. In mostra fotografie, costumi e gioielli di scena, cimeli personali, documenti storici e giornali d’epoca che documentano la straordinaria vita di Maria Callas, che come scrisse l’amico Franco Zeffirelli, fu colei che con la sua voce «ci affascinò come un sortilegio, un prodigio che non si poteva definire in alcun modo, la si poteva soltanto ascoltare come prigionieri di un incantesimo, di un turbamento mai esplorato prima». La mostra è realizzata con il patrocinio del Comune di Verona, promossa dalla Fondazione Arena di Verona e prodotta e organizzata da Arthemisia Group.

***

Testo a cura di Claudia Stritof, pubblicato sulla rivista Juliet art magazine (25 aprile 2016).

Maria Callas. The Exhibition
AMO Arena Museo Opera, Palazzo Forti, Verona
12 marzo – 18 settembre 2016
www.arenamuseopera.com?utm_source=rss&utm_medium=rss

Maria Callas in camerino mentre si prepara ad interpretare Ifigenia di Gluck, Milano 1957. In basso si vede la Sacra famiglia di Cignaroli.

Maria Callas in camerino mentre si prepara ad interpretare Ifigenia di Gluck, Milano 1957. In basso si vede la Sacra famiglia di Cignaroli.

]]>
https://www.cultmag.it/2016/05/11/maria-callas-the-exhibition/feed/ 2 3870
Based on a true story https://www.cultmag.it/2014/03/14/based-on-a-true-story/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2014/03/14/based-on-a-true-story/#respond Fri, 14 Mar 2014 07:16:32 +0000 http://claudiastritof.com/?p=764 Un anno di lotta. Un anno in cui il giardino delle suore dove alloggiavamo a Verona era ricoperto da una coltre bianca di neve. Come tanti fermo immagine, il tempo passava: la neve iniziò a sciogliersi e i primi fiori a germogliare timidamente dal terreno. Piccoli fiori che abbiamo visto crescere, giorno dopo giorno. Il tempo scorreva: era giunta l’estate e poi di nuovo l’invernale vento freddo.

I fiori erano ormai appassiti in quel giardino segreto così come il tempo di Mari era ormai giunto al termine.

Il dolore è una ubriacatura colossale. Le sensazioni di un dolore forte sono quelle. Ma nessuno me l’aveva mai detto. Il dolore che si prova quando si è piccoli è diverso. Pian piano si assimila, si abbraccia e si cresce con esso. Ma quando si è grandi si pensa continuamente e alcune volte questi pensieri possono far male come mille stilettate al ventre.

Il dolore è un sentimento che si prova spesso nel corso della vita, dovrebbe rafforzarci e le sofferenze dovrebbero renderci coraggiosi.

Sto cercando di riconquistare questa “forza”, anche se non è semplice. A 26 anni, appena compiuti, un male abominevole ha portato via la mia metà razionale, mia sorella, e tutta la forza che si è avuta fin a quel momento all’improvviso svanisce.

Spesso vengo risucchiata dal divano cercando di pensare ai momenti felici ma ciò che sopraggiunge come un mostro dalle tenebre è il ricordo di un anno di malattia.

Mi dicono che i ricordi felici arriveranno… un pò come avveniva in Peter Pan. Prima o poi quei pensieri ci faranno volare, e forse sarà così, forse le favole non mentono, sono pillole che addolciscono i momenti di tristezza.

Ma ora è difficile. E’ difficile scrivere ciò che si prova in questi momenti. Alterno momenti in cui colta da una fiacca adrenalina faccio ordine, momenti in cui mi butto sul divano, momenti in cui leggo o scrivo. Guardo qualche foto, ma anche quello fa male. Avvicinarsi ai suoi libri, ai suoi vestiti e alla sua camera non se ne parla. Era così bella, ora io invecchierò e lei porterà per sempre il vestito color rubino che le stava d’incanto.

E’ come se vivessi sospesa a mezz’aria, cercando di non farmi troppe domande per paura di darmi delle risposte. Tutte le certezze che avevo prima vacillano. Dicevo: “dopo la morte? Nulla!!”, ora spero che lei non soffra, che non sia sola, che sia con mio padre e che non senta freddo.

“Dove sarà? Ci vedrà? La rivedrò?” Domande a cui nessuno può rispondere. Continui pensieri che assillano la mente. Forse anche lei fluttua come i miei pensieri, cerca una via e un modo per ricominciare.

Avrei tanta voglia di sapere se sta bene. Vorrei sapere se la malattia che l’aveva così tanto trasformata alla fine sia stata finalmente sconfitta e se mia sorella sia tornata la solita sister sorridente e qualche volta un po’ arrabbiata verso il mondo.

Con Mari ho foto da quando sono nata, con lei condividevo gioie, pensieri, litigi da sorella, regali, telefonate lunghissime e messaggi da appena sveglie al mattino presto prima di incominciare a studiare.

E ora? Chi farà tutto questo con me? Chi mi correggerà la tesi prima di inviarla al prof? Chi mi spronerà a non aver paura?

Che strana cosa il dolore… e che strana cosa la perdita.

Quando guardavo il film A time for dancing piangevo sempre quando alla fine leggevo: “basato su una storia vera”. Non sapevo che quella storia sarebbe diventata la nostra. In un anno è successo di tutto. Un anno. Gli anni passano così inutilmente, noi non ci accorgiamo del tempo che scorre, ma lui ci divora. All’improvviso tutto cambia.

Mi ponevo un unica domanda: “Perchè?”. Mi dicevo c’e ancora Speranza. E allora partiamo per Lourdes.

Da quella vasca io non sono uscita asciutta. Ma ho pregato. Mari ci credeva veramente e quegli occhi pieni di tranquillità e speranza, davanti al prete, non potrò mai scordarli. Erano così dolci e pieni di luce. Forse il miracolo era destinato a qualche altro fedele. Noi ci abbiamo creduto. Lei ci ha creduto.

Ora invece continuo a ripetere: “evabbè”. Tutto unito, sospirando. Come se questo fosse il destino che ci attendeva. Così era scritto ma non lo sapevamo. Quello che rimane è una fotografia annerita. Una pellicola esposta alla luce prematuramente e ormai bruciata. Ma non è persa, questo sbaglio del destino può insegnarci a rendere unica quella foto. Forse si deve solo aspettare e scrivere sulla pellicola, graffiarla con segni sinuosi in modo che diventino ricordi cicatrizzati sulla pelle. Un dolore che non si cancella e io voglio fidarmi di chi mi dice che presto queste sensazioni si trasformeranno in altro. Ma fa male. Non devo dimenticare che “è come se fosse qua con me”, ma al momento è una magra consolazione. Lei non c’è e non ci sarà.

In questo periodo ho ricevuto molte parole, lettere e frasi di una dolcezza infinita. Non mi sarei mai aspettata tutto questo amore, ma ogni singola parola, anche la più timida e impaurita, mi ha, e ci ha, dato forza. Storie e ricordi che fanno bene, piccoli graffi che iniziano a scalfire quella superficie così spessa come pietra lavica. Piccole fiammelle d’amore così luminose che a momenti risplendono e ti accarezzano il volto con gentilezza, sperando che prima o poi l’equilibrio si ristabilisca e al dolore subentri la gioia dei ricordi.

Come ho sempre sostenuto l’arte aiuta a farci capire il mondo e i piccoli cambiamenti che avvengono in noi e che spesso sottovalutiamo. Allora la prima opera che mi è venuta è in mente è quella  dell’artista Sam Taylor Wood: A little Death. Descrive perfettamente quello che ho visto in un anno di vita: la trasformazione del corpo, la perdita, la morte. Caravaggio rappresentò diverse vanitas e la mela bacata era il simbolo di morte e caducità ma la Wood attraverso il video fa vedere la decomposizione del corpo, giorno per giorno. Il lento appassire della vita. Immagini forti, colte in un tempo lungo ma concentrate in un breve video, che altro non è che la vita.

Questo scritto nato per me stessa e come sfogo personale, è stato letto da mamma in chiesa per il trigesimo di Mari, abbiamo deciso di condividerlo con tutti coloro che ci hanno mostrato il loro amore, parole sicuramente non felici, ma piene di forza d’amore. Un modo per ringraziare chi prova a donarci il loro amore e ci abbraccia con il pensiero.

Io non sarei mai riuscita a leggerlo. Posso scrivere e scrivere… ma non leggere i miei pensieri. Mamma ha avuto questa grande forza con la mano tremolante e la voce distrutta dal dolore, ma forte e ferma. Un amore infinito.

]]>
https://www.cultmag.it/2014/03/14/based-on-a-true-story/feed/ 0 764 38.302238 16.334421 38.302238 16.334421
Viaggianti di parole e speranze… https://www.cultmag.it/2013/12/23/viaggianti-di-parole-e-speranze/#utm_source=rss&utm_medium=rss https://www.cultmag.it/2013/12/23/viaggianti-di-parole-e-speranze/#respond Mon, 23 Dec 2013 13:25:41 +0000 http://claudiastritof.wordpress.com/?p=219 Un paradosso: ho poco tempo per scrivere e non rischiare di scaricare il cellulare in viaggio e allora scrivo un post molto veloce. Sono in viaggio, non per tornare a casa, come molti di voi fanno in queste ore, ma per andare altrove. Allora scrivo qualcosa per ricordare questo viaggio della “speranza” e ne approfitto per ricordare un altro viaggio estetico quello di Franco Vaccari 700 km di esposizione. Viaggio Modena-Graz del 1972.

Il viaggio è un modo per pensare, ore vuote che se sfruttate possono rivelarsi importanti per la mente. Il fotografo Vaccari ha riflettuto su questo tema , numerosi e celebri sono le sue esposizioni attraverso il quale ha trattato questo tema. Nella serie qui esaminata Vaccari inviò molti scatti con raffiguranti il retro di camion alla galleria in cui avrebbe esposto alla fine del viaggio. Si ricordi un altro celebre viaggiatore come Ed Ruscha e le sue Gasoline Station.

Io ho la macchina fotografica in valigia e compenso la mia mancanza con mille pensieri, il che mi basta e ho deciso di condividerli con voi. Non so dove ci porterà questo viaggio, l’abbiamo intrapreso e lo porteremo avanti con forza e coraggio perché l’amore ci porta là dove non pensavamo di poter arrivare. Durante questi giorni cercherò di donare a me stessa qualche piccolo frangente per scrivere e per pensare a come l’arte possa rendere più piacevole una vita che a volte non lo è.

“Il cancro del tempo ci divora” metaforicamente o fisicamente poco importa, chi ha detto questa frase è un celebre scrittore che io personalmente adoro Henry Miller. Non facciamoci divorare dal tempo, viviamolo; oggi è il 23 pre-vigilia di Natale 2013, sò che molti odiano il natale e tutto ciò che esso comporta, i più dicono che è solo spreco di denaro, ma per me non è così, quelle lucine mi fanno stare bene, come mi fa stare bene fare l’albero con la mia famiglia, non per i regali, ma per l’atmosfera, per il caminetto, i film al buio e la stanza illuminata solo dalle lucine. Io consiglio sempre un alberello, anche piccolo e due lucine per condivide l’atmosfera con chi amate o con chi state bene. Intraprendere viaggi obbligati o meno, non è importante, ciò che ci salva è l’amore e star bene con chi ci ha donato quel poco del proprio amore.

Buon viaggio estetico a tutti.

Claudia Stritof

]]>
https://www.cultmag.it/2013/12/23/viaggianti-di-parole-e-speranze/feed/ 0 219