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Ritratti in pelle: storie d’amore e di vita
30.05.2016

Ascoltare le storie degli altri è sempre affascinante perché queste fanno riflettere e molte volte regalano insegnamenti preziosi. Per quanto sia triste e incasinata la storia della nostra vita è bello poterla condividere con gli altri ed è per questo motivo che ho deciso di raccontarvi la storia di due fratelli: Sara e Marco.

Sara ha gli occhi e i capelli scuri, la sua pelle è di un colore bianco candido, come quella delle principesse di disneyniana memoria, ma ha l’epidermide ornata con molti disegni. Marco non capiva perché lei si facesse tutti quei tatuaggi e un giorno Sara decide di spiegarglielo con una fotografia, il filtro attraverso cui il fratello osserva il mondo.

Marco Alfredo Bressan, Sara & Ricky . ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Sara & Ricky . ©Marco Alfredo Bressan

Il 28 aprile 2011 Marco scatta una fotografia a Sara e al suo compagno Ricky: lei guarda il fotografo-fratello dritto in camera  mentre avvolge Ricky in un tenero abbraccio. In quel fatidico momento Marco capisce che quella era la storia di una principessa particolare, la quale vedeva il mondo con occhi diversi e di cui il corpo tatuato non era altro che il riflesso di un’anima desiderosa di emergere, di una storia da raccontare e di emozioni da esprimere.

Il fotografo Marco Alfredo Bressan dopo aver ascoltato la storia di Sara & Ricky è andato alla ricerca di altri racconti a cui appassionarsi e che a sua volta ha deciso di raccontare attraverso molte fotografie. Da questo insieme di storie è nato Ritratti in pelle, che non è solo un libro fotografico ma un racconto di vite fatto di immagini spontanee, effusioni d’amore e momenti quotidiani. Immagini indagatrici, che colgono il soggetto ritratto con grande empatia e mai con un atteggiamento distaccato perché ciò che ha voluto cogliere il fotografo è l’essenza, il racconto, la vita.

Marco Alfredo Bressan, Veronica. ©Marco Alfredo Bressan
Marco Alfredo Bressan, EVELYN. ©Marco Alfredo Bressan

Evelyn riflessa in uno specchio ovale con la cornice dorata ha un sorriso contagioso, ciò che la caratterizza è il “tattoo, perché occhi, altezza, capelli…me li sono ritrovati, mentre l’inchiostro che ho sulla pelle l’ho voluto io ecco questa è pelle d’identità e vale più della carta! se esiste un’anima la mia è illustrata”.

Mik con la sua barba lunga è di profilo mentre si accende una sigaretta davanti al cavalletto, per lui il tatuaggio “è sacro quanto la bibbia, un marchiarsi per sempre quel che per noi è veramente importante, una tappa fondamentale, un ricordo, una sensazione, una persona, una preghiera o un semplice proposito per migliorare. Credo che a volte tatuarsi, “soffrire fisicamente” serva a distoglierci o anestetizzarci da “dolori mentali”, depressioni, sofferenze, apatie e problemi di vita odierna. Come disciplina antica quanto il mondo, penso quindi, che vada oltre il semplice lato estetico o ricordo, ma un Rito e una cura, un qualcosa di più sacro e simbolico, più potente di noi, che in un certo modo, da sempre ci appartiene […]”.

Marco Alfredo Bressan, Elena. ©Marco Alfredo Bressan
Marco Alfredo Bressan, Mik. ©Marco Alfredo Bressan

Francesca invece ha impresso sulla schiena una fenice a simboleggiare“una battaglia vinta, battaglia fisica e psicologica, la vittoria su una malattia”, mentre per Shelly il tatuaggio“è stato un traguardo importante di un lungo e doloroso percorso che non finirà mai: crescere. Perdersi per poi cercarsi, trovarsi e infine imparare ad accettarsi… Non senza soffrire il più delle volte”.

Ognuno ha il proprio racconto e la propria storia d’amore, di dolore e di lotta che Marco racconta con assoluta nitidezza attraverso il suo obiettivo. Altrettanto belle sono le “storie intrecciate”, ovvero quelle degli amanti, Sara & Ricky, Davide & Manu, Elena & Giovanni, Deborah & Daniel e molti altri soggetti che hanno deciso di condividere il loro amore e la vita.

Marco Alfredo Bressan, Ritratti in pelle. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Ritratti in pelle. ©Marco Alfredo Bressan

Ritratti in pelle è tutto questo. Racconti visivi, verbali e illustrati. Storie di esistenza e  appunti indelebili di una vita inafferrabile, fatta di emozioni forti, apatie, sogni e speranze.

Ciò che risalta con assoluta immediatezza dalla serie è l’epidermide, che in questo caso diventa un sottile diaframma che separa l’interiorità dal mondo esterno, così come ha affermato l’antropologo David Le Breton:

“la pelle è un sottile foglio di tessuto che avvolge il corpo. Fisiologicamente essa è un organo piuttosto semplice; dal punto di vista sociale e psicologico, invece, è un organo altamente complesso. La pelle è un confine tra il mondo esterno e quello interno, tra l’ambiente e il proprio sé”.

Per alcune persone la pelle è emanazione diretta della propria interiorità pronta ad essere esternata, così come lo sono i pensieri su un foglio, un disegno su una tela o una musica incisa. Un qualcosa di innato, pronto a fuoriuscire al primo sintomo, “come se i tatuaggi ci fossero da sempre ma nascosti da strati di pelle”.

Testo di ©Claudia Stritof, fotografia di ©Marco Alfredo Bressan. Tutti i diritti riservati.

***

Marco Alfredo Bressan, Ilaria & Riccardo. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Ilaria & Riccardo. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Giancarlo. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Giancarlo. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Miele. ©Marco Alfredo Bressan

Marco Alfredo Bressan, Miele. ©Marco Alfredo Bressan

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Fotografia e Cinema

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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