Quando ho aperto questo blog, l’idea era semplice: scrivere di fotografia e arte. Col tempo, però, il racconto personale ha preso spazio — complici coincidenze, contingenze, e forse anche un desiderio crescente di vicinanza. Scrivere online di sé non è più una trasgressione, ma una forma di espressione collettiva. E per me è diventato un modo per conoscere, confrontarmi e condividere.
Nel diario pubblico ho scoperto un luogo d’incontro. La scrittura — come la fotografia — è un ponte: può unire vite diverse, anche tra perfetti sconosciuti.
Lo sa bene chi, come Nan Goldin e Terry Richardson, ha fatto della propria vita materiale artistico, trasformando la quotidianità in opera visiva.
Nan Goldin: la fotografia come flusso vitale
Pioniera della fotografia diaristica, Nan Goldin ha iniziato a fotografare negli anni ’70, ritraendo con assoluta spontaneità amici, amanti, feste, dipendenze, sofferenze e slanci di vita. La sua estetica non media: cattura. Non c’è distanza tra l’obiettivo e il soggetto, tra arte e vissuto.
Goldin è cresciuta artisticamente in una New York segnata dall’AIDS, dall’eroina e da una cultura underground bruciante. I suoi scatti sono documenti emotivi, tanto intimi quanto collettivi.
Il suo lavoro più celebre, The Ballad of Sexual Dependency (Aperture Foundation, 1986), è un vero diario visivo. Una narrazione cruda e poetica, fatta di corpi e relazioni, dolore e gioia, vita e morte. Uno slideshow accompagnato da musica, divenuto simbolo di un’intera generazione.
«Non ho mai creduto che un solo ritratto possa determinare un soggetto, ma credo in una pluralità di immagini che testimonino la complessità della vita», ha dichiarato.
Nel 1996, la sua consacrazione arriva con la personale I’ll Be Your Mirror al Whitney Museum of American Art di New York, un lavoro incentrato su identità, omosessualità e riflessione personale.

Terry Richardson: la pornografia quotidiana diventa diario
Chi ha ereditato e reinventato la lezione di Goldin è Terry Richardson, controverso fotografo noto per aver abbattuto le barriere tra fotografia privata e commerciale.
Nel suo lavoro non c’è separazione tra intimità e fashion photography. Le sue immagini, spesso provocatorie, sono scattate con qualsiasi mezzo — da una reflex a un telefono. L’estetica è immediata, lo stile apparentemente amatoriale, ma sempre riconoscibile.
Nel 2004 pubblica Kibosh, un libro definito dal critico Claudio Marra come «una gioiosa reinvenzione della fotografia pornografica, alleggerita da tutti i suoi codici rappresentativi».
La sua piattaforma Terry Richardson’s Diary (aperta nel 2010) è stata uno dei primi esempi di photolog visivo e identitario, in cui la vita privata veniva resa pubblica in tempo reale.

La vita come oggetto d’arte
Raccontare la propria quotidianità, i propri sentimenti, i pensieri più fragili e personali — un tempo relegati ai diari cartacei (pensiamo alla scrittrice Anaïs Nin) — è oggi diventato un gesto pubblico, digitale, condiviso. Non privo di critiche, certo, ma anche capace di generare empatia, confronto, consapevolezza.
Come scriveva Paul Auster in Diario d’inverno:
«Pensi che a te non succederà mai, che sei l’unica persona al mondo a cui queste cose non succederanno mai, e poi, a una a una, cominciano a succederti tutte». L’autore racconta la vita di un uomo che va alla ricerca della verità, non verità universali, ma quelle più semplice, spietate e dolorose, quelle che riguardano se stesso e la propria quotidianità.
Goldin e Richardson — seppur con linguaggi diversi — hanno dimostrato che la fotografia è una forma di autobiografia visiva, una narrazione dei vissuti che non solo li conserva, ma li trasforma in arte.
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