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Il risveglio creativo: come si svegliavano i grandi artisti (e cosa ci insegna la loro routine)
23.05.2025

C’è chi rimanda la sveglia per oltre un’ora.
Chi si alza di scatto e prepara il caffè.
Chi legge le notizie del giorno sotto le coperte.
Chi fa l’amore.
Chi accende la televisione o la radio.
Chi inizia subito a parlare con il proprio compagno o con i figli.
Chi resta muto e scontroso per ore.

Tutti noi abbiamo i nostri rituali mattutini, piccole cerimonie private che, in un modo o nell’altro, ci aiutano a cominciare la giornata.
Io, ad esempio, sono una mattiniera. Nei periodi di maggiore produttività mi capita di svegliarmi anche alle 4:30. Non so esattamente perché, ma il silenzio delle prime ore del mattino mi rilassa. Nessun rumore, nessun cellulare che squilla. Solo io e il tempo che scorre piano.

Quando vivevo a Firenze, abitavo al quarto piano. La mattina era quasi un rito: andavo in cucina, preparavo il caffè, poi tornavo in camera con la tazzina in mano. La scrivania era davanti alla finestra e, mentre sorseggiavo il caffè, osservavo le finestre illuminate di fronte.
Una signora era già in piedi, prendeva anche lei il caffè in cucina e poi si spostava nel salotto. Alle 6:30 si accendevano le luci della coppia del piano di sotto e, una alla volta, tutte le finestre del palazzo si animavano. I rumori aumentavano, passavano più tram, la città prendeva vita.
Osservare gli altri, intuirne abitudini e orari, era il mio modo di immaginare vite altrui. Un piccolo studio antropologico da finestra a finestra.

Un giorno, cercando fotografie sul tema del risveglio, mi sono imbattuta in un libro curioso: Daily Rituals di Mason Currey (2013). Racconta come artisti, scrittori, architetti e musicisti strutturavano la loro giornata — dall’alba al tramonto. Alcuni iniziavano prestissimo, altri a metà pomeriggio. Tutti, però, seguivano una loro logica interiore.

L’arte di svegliarsi (presto o tardi che sia)

Molti artisti amavano iniziare la giornata all’alba.
Mozart, Georgia O’Keeffe, Frank Lloyd Wright: c’era chi cercava ispirazione nelle prime ore di luce, chi apprezzava il silenzio e chi, semplicemente, voleva lavorare prima che la famiglia si svegliasse.

Ernest Hemingway si alzava intorno alle 5:30, anche dopo notti di eccessi. Presto, un caffè, e via a scrivere nella quiete assoluta.
Beethoven si svegliava molto presto: lo si immagina in vestaglia mentre conta con precisione 60 chicchi di caffè per la sua tazza. Poi iniziava a comporre, interrompeva solo per passeggiare, mai dopo le 22:00.
Thomas Mann, invece, era più “borghese”: sveglia alle 8:00, mezz’ora di relax, caffè, colazione con la moglie.
Gustav Mahler era scorbutico, ma costante: alle 6:00, in piedi anche in vacanza.
Jane Austen, prima della colazione in famiglia alle 9:00, suonava il pianoforte.
Haruki Murakami, quando scrive, si alza ogni giorno alle 4:00. Precisione giapponese.

Poi ci sono i ritardatari illustri.
F. Scott Fitzgerald si alzava verso le 11:00, come David Foster Wallace.
Gustave Flaubert si svegliava poco prima, faceva un colpo al soffitto per chiamare la madre al piano di sotto, con cui poi si intratteneva a parlare.
Victor Hugo si svegliava con un colpo di pistola sparato dal vicino. Il caffè? Glielo portava l’amante Juliette Drouet. Colazione: due uova crude, poi via a scrivere.

Le Corbusier si alzava alle 6:00 per 45 minuti di ginnastica.
Sylvia Plath, dopo la separazione da Ted Hughes, cercava di bilanciare la scrittura con la maternità. Sveglia alle 5:00, scrittura in silenzio, poi colazione per i figli.
Benjamin Franklin, invece, si concedeva un momento surreale: sedeva nudo davanti alla finestra per rilassarsi.
Honoré de Balzac? Insonne cronico e caffè-dipendente: 50 tazze al giorno. Si svegliava all’una di notte e scriveva fino all’alba.

E infine Marcel Proust.
Proust si svegliava tra le 15:00 e le 18:00. Un rituale quasi teatrale: una tirata di oppio per l’asma, un croissant, il caffè e poi scriveva nella sua camera insonorizzata con i pannelli di sughero.

Genio e sregolatezza, ma soprattutto: ritualità

Che si sveglino all’alba o al pomeriggio, gli artisti hanno sempre avuto una ritualità.
A volte metodica, altre completamente folle. Ma ogni risveglio, ogni tazza di caffè, ogni gesto ripetuto ha dato forma alla loro creatività.

In fondo, come scriveva Antonio Machado,

“Dopo il vivere e il sognare, ecco ciò che più conta: il risveglio.”

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Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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