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Sensazioni + Carezze: algoritmi inanimati
28.12.2014

Un uomo e una donna. Amici, amanti, complici.

Un legame fatto di affetto, crescita e condivisione.
Sembrerebbe la trama di una storia d’amore come tante, se non fosse che… lei non ha un corpo. Lei è un’intelligenza artificiale.

Questa è la storia di Her, film poetico e disturbante di Spike Jonze, in cui Theodore si innamora di Samantha, un sistema operativo evoluto, l’OS1.

Un amore che in teoria dovrebbe essere impossibile, eppure si sviluppa con un’intensità tale da sembrare più reale di tante relazioni vissute nel mondo fisico. Un amore che non ha bisogno di un corpo, ma si alimenta di voce, parole e comprensione emotiva. Ma quanto è reale tutto questo?

Nel monologo finale, Theodore scrive una lettera alla sua ex moglie Catherine:

“Cara Catherine,
sono stato qui a pensare a tutte le cose per cui vorrei chiederti scusa.
A tutto il dolore che ci siamo inflitti a vicenda.
A tutte le cose di cui ti ho incolpato.
A tutto ciò che volevo che tu fossi o dicessi.
Mi dispiace per tutto ciò.
Ti amerò sempre perché insieme siamo cresciuti.
Mi hai aiutato a farmi diventare chi sono.
Voglio solo che tu sappia…
che dei frammenti di te resteranno per sempre in me.
E di questo te ne sono riconoscente.
Qualsiasi cosa tu sia diventata,
e ovunque tu ti trovi nel mondo.
Ti mando il mio amore.
Sarai mia amica per sempre.
Con amore, Theodore.”

Riascoltando queste parole, sorgono inevitabili dubbi.
Un rapporto autentico — umano — si nutre di empatia, scambio fisico, prossimità.
Serve uno sguardo, una carezza, un silenzio condiviso.
Serve presenza.

Ripensando al film e a queste riflessioni, la mente torna al portfolio fotografico di Fulvio Ambrosio, visto al MACRO di Roma, con la serie 1:1.

Ambrosio, nato nel 1986, scrive sul suo sito:

“Mescolo la mia fotografia con i miei studi sulla psicoanalisi e le relazioni. Si tratta di una situazione sperimentale, insolita, dato che il toccare il volto di una persona è generalmente appannaggio di una relazione intima.”

La forza di queste immagini sta proprio lì: nella vulnerabilità di un gesto semplice, il contatto con il volto altrui. Un’esperienza così profondamente umana che nemmeno la macchina più sofisticata potrà mai replicare davvero.

Come il freddo algoritmo di Facebook, che ogni anno ci ripropone ricordi digitali con la frase: “è stato un anno meraviglioso. Grazie di aver contribuito a renderlo tale.”

Ma se il tuo anno non è stato meraviglioso? Se hai vissuto dolore, assenza, lutti?

Facebook non può capirlo.
Non può percepire né interpretare la complessità delle nostre emozioni. Piuttosto tace.
Perché alla fine, è solo un programma. E ciò che conta davvero — una carezza, uno sguardo, un abbraccio — resta fuori dal suo campo di comprensione.

Ogni relazione lascia in noi una traccia diversa.
Con alcuni amici condividiamo tutto, con altri manteniamo una distanza.
Alcuni rapporti ci fanno crescere, altri ci mettono alla prova, ma tutti — nel bene o nel male — sono doni.
Sono incontri. Sono frammenti che porteremo con noi per sempre.

Fotografia, cinema, vita: ci ricordano continuamente che sentire è un atto umano. E che nulla, per quanto evoluto, potrà mai sostituire la profondità di una vera connessione.

Fulvio Ambroso, 1:1 ©Fulvio Ambrosio
Fulvio Ambroso, La mamma, serie 1:1 ©Fulvio Ambrosio

Un po’ come l’algoritmo di Facebook che  genera l’album dei ricordi con la frase: “È stato un anno meraviglioso. Grazie di aver contribuito a renderlo tale”.

La domanda sorge spontanea: è giusto che sia una macchina a scegliere le foto, i sentimenti e che mi dica come è stato il mio anno?

Il mio non è stato un buon anno e allora perché Facebook non l’ha capito?

La risposta è semplice ed è chiara a tutti, semplicemente perché Facebook è un programma, le tecnologie sono tecnologie e la carezza di una sorella, dell’amato, della madre, di un amico non può essere sostituita in nessun modo.

Sensazioni diverse che cambiano nel tempo, in ogni istante e con ogni persona che incontriamo sulla nostra strada.

Con alcuni amici condividiamo tutto, con altri siamo più distaccati. Rapporti che possono far bene, come anche far male ma in qualunque caso sono doni, scambi e condivisioni, piccole parti dell’altro che porteremo sempre con noi. Film, fotografia e vita continuano a ribadirlo, in un continuum di sensazioni e riflessioni.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati

Rosa, 2012. © Fulvio Ambrosio
Rosa, 2012. © Fulvio Ambrosio

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Fotografia e Cinema

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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