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Tamagotchi: riflessioni sulla vita e sulla morte.
19.01.2015

“Quando i Tamagotchi muoiono e sono resettati per una nuova vita, i bambini non hanno la sensazione che tornino uguali a prima. Mentre una volta non vedevano l’ora di far rinascere le macchine che avevano rotto, nel caso dei Tamagotchi hanno il terrore della loro perdita e rinascita. Questo provoca un sincero rimorso perché, come dice un bambino di nove anni, “non doveva succedere. Avrei potuto occuparmene meglio”.

Sherry Turkle, Insieme ma soli, Einaudi Editore, 2019.

Quando un Tamagotchi muore e viene resettato per rinascere, i bambini non hanno la sensazione che torni identico a prima. In quel piccolo schermo digitale si crea un legame emotivo profondo, e la sua perdita provoca autentico rimorso. Come racconta un bambino di nove anni citato da Sherry Turkle nel suo libro Insieme ma soli, ripetendo «non doveva succedere. Avrei potuto occuparmene meglio».

Sentimenti concreti, quelli analizzati dalla Turkle, che colpiscono per un motivo preciso: le parole “vita” e “morte” vengono associate a un giocattolo. O meglio, a qualcosa che per un adulto può sembrare un semplice gioco, ma che per un bambino diventa una creatura, quasi un essere vivente da accudire e da cui farsi coinvolgere emotivamente.

Molti di noi hanno avuto un Tamagotchi da piccoli, con risultati più o meno tragici. Il mio è morto dopo pochi giorni. Dormiva sempre, puzzava, e io me ne dimenticavo. Non ricordo di essermi sentita in colpa. Forse perché per me era solo un oggetto, non un essere vivente. O forse perché ero già abbastanza grande da distinguere un dispositivo elettronico da un cucciolo vero. Oppure — e questa è la spiegazione meno nobile — semplicemente non me ne importava abbastanza. Ma forse mi sbagliavo.

La cosa sorprendente del Tamagotchi è che può rinascere. Basta premere un tasto: tutto riparte. Una nuova vita, da zero. Ma questo nella realtà non accade. E forse è giusto così. La vita segue un corso che non si può fermare né riavvolgere, e resettare non è un’opzione prevista.

Eppure, chi non ha mai desiderato tornare indietro? Prima della morte di una persona cara, prima di un esame andato male, di una decisione sbagliata, di un momento perso e che non tornerà più. Io, con tutta sincerità, qualche momento della mia vita lo resetterei volentieri.

Ma mi domando: e se potessimo farlo davvero? Se la nostra vita avesse un pulsante di reset, rischieremmo di restare bloccati. Sempre lì, a tornare indietro, incapaci di affrontare il futuro. Senza più l’incertezza del “se” e la tensione che ci spinge in avanti. In pausa permanente su un istante, perdendo per strada tutto ciò che ancora può accadere.

Il bambino della Turkle, però, ha ragione. Dopo una perdita, i dubbi ci assalgono sempre.

“Non doveva succedere.” Quante volte lo ripetiamo.

Come se trovare una spiegazione potesse lenire il dolore o annullare il fatto. Ma ci sono eventi che accadono inesorabilmente, e rimaniamo a chiederci “perché”.

E quel senso di colpa — “avrei potuto fare di più”, “avrei potuto comportarmi meglio” — non risparmia nessuno. Anche se razionalmente sappiamo che certe cose non si possono controllare, il cuore insiste a rivedere ogni dettaglio. Sono pensieri che arrivano all’improvviso, in giornate qualunque, e ti riportano in un vortice di ricordi che non sempre riesci o vuoi condividere. Perché certe emozioni, se non le hai vissute, non le puoi capire del tutto. E perché, a volte, parlarne fa ancora più male.

E così, un Tamagotchi, quello strano ovetto degli anni ’90, diventa inaspettatamente occasione di riflessione. Da bambina non lo avrei mai immaginato. Forse, se lo avessi saputo prima, lo avrei trattato con più cura. Ma rimango convinta che il mio Tamagotchi non abbia sofferto. A soffrire, forse, è stato il bambino che ha vissuto per la prima volta il dolore di una perdita. Perché in fondo, anche un dolore virtuale, visto con occhi pieni di speranza e amore, può sembrare tremendamente reale.

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Life in Progress  / Scaffale digitale  / STEAM

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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isabella
19.01.2015 at 23:11
Reply

troppi forse che purtroppo non hanno senso c’è qualcosa o qualcuno che stabilisce come devono andare le cose ed è purtroppo inutile chiedersi il perché, non riesci a trovare una risposta!!!!!



    Claud
    20.01.2015 at 05:38
    Reply

    Si, Isa. Sono risposte che non si troveranno mai, ma uno ci pensa, e ci ripensa e non dorme… Per aggiungere un ulteriore forse: forse è giusto che tutti questi forse esistano per andare avanti e permetterti di riflettere. Buon inizio di giornata… un abbraccio

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