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Joel-Peter Witkin e l’oblio della ragione.
12.01.2016

A Lucca, dal 21 novembre al 13 dicembre, la nuova edizione del Photolux Festival, Biennale internazionale di Fotografia, che per l’edizione 2015 propone il tema Sacro e Profano, traghettando lo spettatore in un «viaggio interiore, alla scoperta dei luoghi dello spirito e degli uomini che li animano». Tra la rosa di nomi internazionali non poteva mancare quello del  fotografo Joel-Peter Witkin, che più di ogni altro ha affrontato queste tematiche, spesso in chiave citazionista, con densi riferimenti alla storia dell’arte, alla letteratura e non in ultima alla religione. Morte, orrore, erotismo e sofferenza, sono solo alcuni dei dilemmi esistenziali che affiorano come visioni macabre nelle fotografie dell’artista americano, in cui i protagonisti sono «personaggi che vivono ai margini della società – nani, ermafroditi, persone con disabilità o deformità», teste e arti mutilati.

Joel-Peter Witkin, Cupid and Centaur in the Museum of Love, 1992. © Joel-Peter Witkin.
Joel-Peter Witkin, Cupid and Centaur in the Museum of Love, 1992. © Joel-Peter Witkin.

Una dopo l’altra le immagini di Witkin solcano i mari dell’irrazionale e dell’oblio, richiamando alla memoria le bellissime parole scritte da Charles Baudelaire nel Castigo dell’orgoglio: «subito la ragione lo lasciò. D’un nero velo si coprì la fiamma di quel sole; irruppe tutto il caos in quella intelligenza […] In lui il silenzio prese dimora con la notte, come in una cella la cui chiave è persa». Baudelaire coglie con esattezza il momento fatidico in cui la follia s’impossessa della mente superba dell’uomo che ha osato salire troppo in alto, senza speranza di salvezza senza il raziocinio come converrebbe, ed ecco che le fotografie di Witkin ricordano al visitatore questa stessa condizione, offrendo la possibilità di un riscatto morale grazie a un intenso percorso catartico che l’uomo deve intraprendere per aspirare alla salvezza. Le immagini, secondo quanto afferma l’artista, hanno il compito di sommuovere l’essere e «infiammare le anime», proponendosi come motivo di riflessione circa «la storia della civiltà occidentale e le conseguenza morali delle decisioni prese nel corso della storia stessa».

Complessi tableaux-vivants, quelli di Witkin, che per composizione, tecnica e utilizzo del bianco e nero ricordano i fotomontaggi degli albori della fotografia, e in particolare le photographic composition di O. G. Rejlander, trovando con il fotografo ottocentesco un ulteriore punto di tangenza nelle tematiche allegoriche affrontate: la lotta dell’uomo tra il Bene e il Male e l’ineluttabile pensiero di morte. Le immagini ripercorrono il vissuto dell’artista, costellato di ricordi che lo hanno portato ad apprezzare l’inusuale e il macabro: la nonna italiana con cui è cresciuto e che l’artista afferma essere stata una donna storpia ma dall’animo incantevole, le assidue frequentazioni dei Freak Show a Coney Island, e in ultimo un evento avvenuto all’età di sei anni, quando assistette a un incedente stradale durante il quale la testa di una bambina gli rotolò davanti. La mostra presso Villa Bottini è curata da Enrico Stefanelli ed è realizzata in collaborazione con la Baudoin Lebon Galerie di Parigi, inoltre numerose le mostre che animano la città di Lucca in questi giorni, a cui si aggiungono molti eventi collaterali dedicati al vasto mondo della fotografia.

Articolo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine (5 dicembre 2015)

Joel-Peter Witkin, Venus in chains, stampa ai sali d’argento. © Joel-Peter Witkin.
Joel-Peter Witkin, Venus in chains, stampa ai sali d’argento. © Joel-Peter Witkin.

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Fotografia e Cinema  / Press - Collaborazioni di Cult Mag  / Recensioni e Mostre  / Sguardi d'Autore

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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