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Surrealist Lee Miller: la mostra
07.03.2021

Era il 2019 quando, nelle eleganti sale di Palazzo Pallavicini a Bologna, si inaugurava la mostra Surrealist Lee Miller, dedicata a questa donna fuori dal comune. n quell’anno, parlando con Vittoria e Maurizio della ONO Arte Contemporanea di Bologna e dell’Archivio Lee Miller, decidemmo di portare la mostra in Italia, senza sapere se avremmo trovato un luogo adatto. Ci provammo e, dopo molte ricerche, il sogno si realizzò!

Le origini

Lee Miller nasce a Poughkeepsie, New York, il 23 aprile 1907, da Florence e Theodore. Quest’ultimo, personaggio eccentrico, le trasmise l’amore per la tecnologia, la determinazione nel portare avanti i propri progetti e la passione per la fotografia.

Lee era una ragazza dalla bellezza eterea, ma ciò che la rendeva davvero irresistibile era l’aura della sua personalità ribelle: alle bambole preferiva giochi pericolosi nel giardino e esperimenti nel suo piccolo laboratorio chimico.

La sua infanzia non fu spensierata.

A sette anni fu vittima di una violenza da parte di un amico di famiglia, evento che le provocò un profondo trauma psicologico aggravato da una malattia venerea. I genitori, nel tentativo di alleviare il suo dolore, accontentarono ogni sua richiesta, concedendole una libertà che rese la già intraprendente Lee ancor più sfrontata.

Dopo l’ennesima espulsione dal liceo, il padre la mandò a Parigi nel 1925, dove si iscrisse a una scuola di teatro, abbandonandola presto per vivere da bohémien.

Surrealist Lee Miller, Palazzo Pallavicini, 2019. ©Claudia Stritof

Preoccupato, Theodore la richiamò in America. Nel 1926 Lee si iscrisse all’Art Students League di New York, ma un evento fortuito cambiò i suoi piani: nel 1927 rischiò di essere investita da un’auto, ma fu salvata da Condé Nast, proprietario di “Vogue” e “Vanity Fair”. Impressionato dal suo aspetto europeo, la scelse per la copertina di “Vogue” di marzo, illustrata da Georges Lepape. Lee divenne così il volto della società moderna e incarnazione della new woman.

Innanzitutto innamorata della mondanità di New York, Lee sentiva però la nostalgia di Parigi, dove decise di tornare. Appena arrivata, si recò nello studio di Man Ray, ma l’artista era appena partito per Biarritz. Sconvolta, si fermò a un caffè per un Pernod con ghiaccio, e lì lo incontrò. Iniziò così la sua avventura surrealista: divenne musa e modella di Man Ray, con cui instaurò un sodalizio artistico che portò a realizzare alcune delle fotografie più belle dell’epoca e importanti innovazioni tecniche come la solarizzazione.

Lo stile di Lee divenne rapidamente maturo e sofisticato, influenzato da questo straordinario periodo creativo.

Roland Penrose and Picasso in Roland’s Studio, Farley Farm, Chiddingly, England 1950 by Lee Miller  © Lee Miller Archives, England 2021. All rights reserved. leemiller.co.uk Roland Penrose © Lee Miller Archives, England 2021. All rights reserved. leemiller.co.uk

Apre uno studio a Montparnasse nel 1930, da subito frequentato da una ricca clientela internazionale, che della sua collaborazione si avvalgono per realizzare fotografie commerciali, anche se il nucleo più importante di opere in è certamente quello rappresentato dalle immagini surrealiste, divertenti, misteriose e inquietanti.

Nel 1932 si trasferisce a New York per iniziare una nuova avventura e aprire uno studio fotografico, che ha un grande successo e lavora a ritmi serrati, dapprima dedicandosi ai lavori commerciali, per giungere solo in un secondo momento alla ritrattistica.

Lee Miller, essendo di natura inquieta ed estremamente esuberante, perde molto presto di interesse verso la vita newyorchese e, caso volle, che un giorno giungesse in città l’imprenditore egiziano Aziz Eloui Bey, conosciuto qualche tempo prima a Parigi grazie all’amica Tanja Ramm.

Lee e Aziz passano giorni intensi insieme nella tenuta di famiglia e un giorno Lee chiama la madre inaspettatamente e le dice: «stamattina ci siamo sposati!».

È il 19 luglio del 1934 e Lee si trasferisce al Cairo per vivere il suo idillio d’amore, anche se dopo un anno di permanenza inizia a emergere in lei una sensazione di inquietudine e insoddisfazione personale, che la spinge a partire verso Parigi.

La stessa sera del suo arrivo, va a un ballo surrealista dove incontra gli amici di vecchia data che, appena la vedono, le corrono incontro rimproverandola per essere sparita per cinque lunghi anni.

Surrealist Lee Miller, Palazzo Pallavicini, 2019. ©Claudia Stritof

Durante questa stessa festa rivede anche Julian Levy, gallerista newyorchese da cui Lee aveva esposto le proprie fotografie, e fu lui a presentargli Roland Penrose, collezionista d’arte con cui subito scocca il fatidico coup de foudre!

Qualcosa è cambiato in lei dopo aver riassaporato la vita spensierata di Parigi e anche Aziz se ne accorge.

Lee scappa dall’Egitto con l’intenzione di intraprendere un lungo viaggio insieme a Roland Penrose, ma la situazione precipita velocemente a causa dell’invasione della Polonia da parte di Hitler.

Tornati a Londra, lui viene incaricato di tenere lezioni sulle tecniche di mimetizzazione, mentre Lee lavora come fotografa per “Vogue”, all’epoca diretta dal fotografo Cecil Beaton, il quale inizialmente rifiuta il suo aiuto, ma che accetta all’indomani dello scoppio della guerra, dato che la maggior parte dei fotografi furono costretti ad arruolarsi.

Lee Miller dopo un anno fa richiesta di accreditamento alle forze armate Usa come corrispondente di guerra, attività suggeritagli dal nuovo fotografo di “Life”, David E. Scherman, suo grande amico, amante e compagno di viaggio per tutti gli anni dei tragici combattimenti.

I primi servizi di Lee sono dedicati alle protagoniste silenziose della guerra, le donne e al ruolo, anche se a queste immagini continua ad alternare quelle realizzate per la moda, che a queste date ambienta tra le macerie londinesi.

Sei settimane dopo il D-Day, va in Normandia per documentare il lavoro delle infermiere negli ospedali di prima linea; tornata in agosto a Londra, s’imbarca con la US Navy perché incaricata di raggiungere Saint-Malo per fotografare la fine dei combattimenti nella città, ma contrariamente alle notizie ricevute, la guerra non era finita e Lee è l’unica inviata sul posto.

Era una donna forte e coraggiosa, condivideva le razioni di cibo con i militari, recuperava i feriti sul campo di battaglia e fotografava i primi attacchi con le bombe a napalm, ma poco dopo la resa dei tedeschi, venne scoperta da un ufficiale in zone di guerra a lei interdette, violazione che le procurò un arresto immediato.

Terminato il periodo di reclusione, Lee arriva a Parigi il giorno della Liberazione ma il peggio doveva ancora avvenire, perché inizia per lei e Scherman un periodo di incessanti spostamenti che li porterà fino in Germania.

Lee decide di accreditarsi con l’Us Air Force e attraversa la Francia per partire alla volta di Torgau in Germania, per poi fermarsi a Norimberga, dove scopre che la Rainbow Company sarebbe entrata nel campo di concentramento di Dachau.

I due fotografi, Miller e Scherman, furono tra i primi ad accedere all’area e Lee rimase incredula per ciò che stava vedendo: l’odore era nauseabondo, le cataste di corpi erano innumerevoli, i moribondi giacevano disperati in pozze di vomito ed escrementi, mentre alcune SS erano state linciate dai prigionieri.

Di fronte a tale orrore la verità non poteva più essere celata e Lee sentì l’esigenza di raccontare ciò che aveva visto senza mezzi termini.

Lee e David alloggiarono anche a Monaco, luogo dove viene scattata quella che è una delle fotografie più conosciute di Lee Miller: lei nuda nella vasca da bagno appartenuta al Führer, mentre il giorno seguente i due fotografi partono verso Salisburgo, per seguire l’attacco dell’inespugnabile chalet appartenuto Hitler, fino a che non giunge la notizia ufficiale: la guerra è finita!

Tornata a Parigi Lee Miller ha un grave crollo psicologico dettato anche dall’uso che faceva di amfetamina, alcol e sonniferi ma, nonostante ciò, continua a viaggiare senza tregua.

La fine della guerra fu un momento di amara disillusione per Lee Miller, la quale si rese conto che il mondo era ancora dominato dall’interesse personale di criminali e politici corrotti. Ormai tutto le sembrava inutile.

Emotivamente fragile e fisicamente sfinita, torna a Londra e nell’estate del 1946 intraprende un viaggio con Roland in America.

 Roma Gypsies and Lee Miller, Brasov, Romania 1938 by Roland Penrose © Lee Miller Archives, England 2021. All rights reserved. leemiller.co.uk Roland Penrose © Lee Miller Archives, England 2021. All rights reserved. leemiller.co.uk

È un periodo molto felice: Roland acquista una nuova casa in campagna, Farley Farm, che diventa meta prediletta di artisti, critici e letterati, oltre a ospitare la sua ricca collezione d’arte contemporanea; nasce Anthony e Lee dedica sempre più tempo alla casa e al giardino.

I servizi per “Vogue” si fanno sporadici e la cucina diventa la nuova passione di Lee, tanto da venir riconosciuta come cuoca a livello internazionale.

Le uniche fotografie che scatta in questo periodo sono i ritratti degli amici impegnati in stravaganti attività a Farley Farm, una ricca collezione di immagini che sarà pubblicata su “Vogue” nel 1953 con il titolo Working Guests, l’ultimo articolo della carriera da giornalista di Lee Miller. 

Dal 1955 Lee subisce un grave turbamento psico-fisico: non si piace più, veste in modo sciatto e il whisky è la sua sola consolazione, inoltre Roland è sempre più impegnato a fondare l’Institute of Contemporary Arts ed è per giunta innamorato di una nuova compagna.

I tempi in cui Lee scattava penetranti fotografie sono ormai lontani e una sera mentre era a cena con l’amica Tanja Ramm le confessa: «mi hanno appena detto che ho il cancro. Non ho voglia di parlarne, ma so che non durerà a lungo».

Il declino fu veloce, Roland non la lasciò mai da sola e fu tra le sue braccia che Lee Miller morì il 21 luglio 1977.

Si chiude così il racconto su Lee Miller, una donna e artista che ha vissuto la sua vita vissuta sempre al massimo grado di intensità, in perenne ricerca di se stessa e delle infinite occasioni che l’esistenza poteva offrirle.

È difficile raccontare una donna di tale caratura ma a emergere è sempre la sua duplice natura: donna ironica e divertente e fotografa empatica e rispettosa del dolore altrui, qualità umane che le hanno permesso di cogliere con grande sensibilità gli eventi più tragici del XX secolo.

Surrealist Lee Miller, Palazzo Pallavicini, 2019. ©Claudia Stritof

Testi estrapolati dalla mostra “Surrealist Lee Miller” (Palazzo Pallavicini, Bologna, 2019 ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati

TRAME INTERDISCIPLINARI

Lo studio della vita e dell’opera di Lee Miller permette di costruire percorsi interdisciplinari ricchi e stimolanti:

Storia – Seconda guerra mondiale: reportage fotografico come testimonianza diretta della Liberazione, dei bombardamenti, dei campi di concentramento. Ruolo delle donne in guerra: un focus sulle “eroine silenziose”.

Arte e Fotografia – Surrealismo: legame con Man Ray, Paul Éluard, Max Ernst. Tecniche fotografiche: analisi della solarizzazione, fotografia di moda e fotografia documentaria.

Educazione civica – Diritti umani e memoria storica: l’importanza di documentare e raccontare per non dimenticare.

Lee Miller è stata molto più che una fotografa. È stata testimone e protagonista della storia, donna libera in un mondo ancora ostile alla libertà femminile. Ha guardato l’orrore negli occhi e lo ha raccontato, senza retorica.

Ora tocca a voi: quali legami riuscite a scoprire tra le diverse discipline? Lasciatevi guidare dalla curiosità e dall’immaginazione per intrecciare saperi e prospettive diverse, costruendo un percorso di apprendimento unico e personale.

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Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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