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Diari pubblici e immagini intime: quando la fotografia racconta la vita
10.01.2014

Quando ho aperto questo blog, l’idea era semplice: scrivere di fotografia e arte. Col tempo, però, il racconto personale ha preso spazio — complici coincidenze, contingenze, e forse anche un desiderio crescente di vicinanza. Scrivere online di sé non è più una trasgressione, ma una forma di espressione collettiva. E per me è diventato un modo per conoscere, confrontarmi e condividere.

Nel diario pubblico ho scoperto un luogo d’incontro. La scrittura — come la fotografia — è un ponte: può unire vite diverse, anche tra perfetti sconosciuti.
Lo sa bene chi, come Nan Goldin e Terry Richardson, ha fatto della propria vita materiale artistico, trasformando la quotidianità in opera visiva.

Nan Goldin: la fotografia come flusso vitale

Pioniera della fotografia diaristica, Nan Goldin ha iniziato a fotografare negli anni ’70, ritraendo con assoluta spontaneità amici, amanti, feste, dipendenze, sofferenze e slanci di vita. La sua estetica non media: cattura. Non c’è distanza tra l’obiettivo e il soggetto, tra arte e vissuto.

Goldin è cresciuta artisticamente in una New York segnata dall’AIDS, dall’eroina e da una cultura underground bruciante. I suoi scatti sono documenti emotivi, tanto intimi quanto collettivi.

Il suo lavoro più celebre, The Ballad of Sexual Dependency (Aperture Foundation, 1986), è un vero diario visivo. Una narrazione cruda e poetica, fatta di corpi e relazioni, dolore e gioia, vita e morte. Uno slideshow accompagnato da musica, divenuto simbolo di un’intera generazione.

«Non ho mai creduto che un solo ritratto possa determinare un soggetto, ma credo in una pluralità di immagini che testimonino la complessità della vita», ha dichiarato.

Nel 1996, la sua consacrazione arriva con la personale I’ll Be Your Mirror al Whitney Museum of American Art di New York, un lavoro incentrato su identità, omosessualità e riflessione personale.

©Nan Goldin

Terry Richardson: la pornografia quotidiana diventa diario

Chi ha ereditato e reinventato la lezione di Goldin è Terry Richardson, controverso fotografo noto per aver abbattuto le barriere tra fotografia privata e commerciale.

Nel suo lavoro non c’è separazione tra intimità e fashion photography. Le sue immagini, spesso provocatorie, sono scattate con qualsiasi mezzo — da una reflex a un telefono. L’estetica è immediata, lo stile apparentemente amatoriale, ma sempre riconoscibile.

Nel 2004 pubblica Kibosh, un libro definito dal critico Claudio Marra come «una gioiosa reinvenzione della fotografia pornografica, alleggerita da tutti i suoi codici rappresentativi».
La sua piattaforma Terry Richardson’s Diary (aperta nel 2010) è stata uno dei primi esempi di photolog visivo e identitario, in cui la vita privata veniva resa pubblica in tempo reale.

©Terry Richardson
©Terry Richardson

La vita come oggetto d’arte

Raccontare la propria quotidianità, i propri sentimenti, i pensieri più fragili e personali — un tempo relegati ai diari cartacei (pensiamo alla scrittrice Anaïs Nin) — è oggi diventato un gesto pubblico, digitale, condiviso. Non privo di critiche, certo, ma anche capace di generare empatia, confronto, consapevolezza.

Come scriveva Paul Auster in Diario d’inverno:
«Pensi che a te non succederà mai, che sei l’unica persona al mondo a cui queste cose non succederanno mai, e poi, a una a una, cominciano a succederti tutte». L’autore racconta la vita di un uomo che va alla ricerca della verità, non verità universali, ma quelle più semplice, spietate e dolorose, quelle che riguardano se stesso e la propria quotidianità.

Goldin e Richardson — seppur con linguaggi diversi — hanno dimostrato che la fotografia è una forma di autobiografia visiva, una narrazione dei vissuti che non solo li conserva, ma li trasforma in arte.

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Caleidoscopio culturale  / Fotografia e Cinema  / Sguardi d'Autore

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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