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Édith Piaf: l’usignolo dall’ugola insanguinata.
Dicembre 10, 2019

«Quello che più mi interessa nella vita […] è l’Amore. In qualunque aspetto della vita: l’amore per l’umanità, l’amore per il proprio lavoro, l’amore per le cose a cui teniamo».

Una frase ricca di passione e intrisa di puro sentimento, pronunciata da Édith Piaf, donna dal corpo minuto e dalla voce graffiante, che il suo grande amico, Charles Aznavour, chiamava «il nostro diavoletto».

Édith Piaf è stata una donna vulcanica, adorava scherzare, fare picnic sul prato e passare il tempo in compagnia degli amici più cari, ma è stata anche una donna che ha dato tutto per il suo grande amore, la musica.

La Piaf è un concentrato di arte ed emozione, desiderosa di vero amore, come quello che lei stessa donava, perché la vita è troppo dolorosa per non amare, anche se spesso «l’amore si deve pagare con lacrime amare».

Édith Piaf brinda con il pugile Marcel Cerdan

La sofferenza Édith l’ha esperita in prima persona, essendo stata vittima di incidenti devastanti, sottoposta a molti interventi chirurgici, soggetta spesso a malanni frequenti, per non parlare dei diversi episodi di coma etilico, l’artrite reumatoide e le sfortunate storie d’amore che hanno reso la piccola Édith, un potente concentrato di sofferenza, forza e determinazione.

Nata il 19 dicembre 1915 da una coppia di artisti circensi, la sua infanzia è trascorsa per le strade parigine, dove trascorre il tempo cantando con la sua cara amica Momone. A 17 anni conosce Louis Dupont, con cui ha una figlia, Marcelle Carolina Gassion, morta poco dopo per una meningite, una dramma da cui Édith si riprende lentamente, grazie al canto.

La musica la salva dalla disperazione ed è Louis Leplée, direttore del cabaret Gerny’s a scoprirla e a farla debuttare ufficialmente con il nome d’arte di Môme Piaf. Dopo la misteriosa morte di Leplée, Èdith si rivolge all’impresario Raymond Asso, che diventa suo amante e suo pigmalione, il quale decide di cambiarle battezzarla definitivamente Èdith Piaf.

Così che inizia lo straordinario successo de la chanteuse, che inizia a incidere grandi successi, come La vie en rose, canzone che affascina il pubblico e la critica, facendo approdare la cantante negli Stati Uniti.

Édith in questo periodo è felice, viene immensamente amata dal pugile Marcel Cerdan e con lui si scambia lettere romantiche, intrise d’amore, (oggi conservate nell’archivio della Biblioteca Nazionale Francese e raccolte nel libro Moi pour Toi), ma fino al 28 ottobre 1949, quando avviene la tragedia, perché l’aereo con a bordo il pugile precipita sulle Azzorre.

Édith Piaf e Jean Cocteau

Nonostante la disperazione per la morte dell’amante e indebolita fisicamente dall’artrite reumatoide, con i suoi 42 chili di peso, i vestiti sempre neri, i capelli ricci e con la voce roca, nel 1952, Édith si risolleva psicologicamente grazie alla musica, che le dona ancora una volta la forza d’amare.

Nel mese di settembre si sposa con Jacques Pills a New York e nonostante il largo uso di morfina che la costringe a iniziare un trattamento di disintossicazione, ormai fisicamente sfinita, continua a esibirsi senza tregua, riscuotendo successi internazionali come avviene alla Carnegie Hall, dove il pubblico applaudirà per ben sette minuti, e nel 1960 sul palco dell’Olympia, dove presenta pre la prima volta la celebre canzone Non, je ne regrette rien, scritta da Charles Dumont.

La tournée prosegue senza interruzione, ma i numerosi malanni costringono Édith ad assumere molte medicine. Per tutti era ormai la «maschera tragica della canzone», ma c’e ancora un ultimo piccolo brandello di felicità che spetta alla piccola Édith, il matrimonio con Théophanis Lamboukas, un giovane con cui nasce una profonda simpatia e che sposerà il 9 ottobre 1962, lui ha 26 anni e lei 46. La mattina del matrimonio Édith ci ripensa, ma sarà proprio Theo a farla rinascere e darle la forza per combattere ancora, fino al 10 ottobre 1963, quando Edith Piaf morirà.

Ai suoi funerali parteciparono migliaia di persone, dalle finestre di Parigi risuonava la sua voce e Jean Cocteau, grande amico della Piaf, scrisse l’elogio funebre per l’amica, un elogio che non riuscì mai a leggere personalmente perché fu colpito da infarto lo stesso giorno.

Così recitavano le sue parole:

«Guardate questo piccolo essere le cui mani sono quelle della lucertola delle pietre. Guardate la sua fronte di Bonaparte, i suoi occhi di cieca che hanno ritrovato la vista. Come farà a far uscire dal suo petto minuto i grandi lamenti della notte? Ed ecco che canta, o meglio, come l’usignolo di aprile prova il suo canto d’amore. Avete ascoltato questo lavorio dell’usignolo? Soffre. Esita. Si schiarisce. Si strozza. Si lancia e cade. E d’improvviso, trova la sua strada. Canta. Sconvolge».

Nel 2007 è uscito nelle sale La vie en rose, un ritratto libero della cantante per la regia di Olivier Dahan.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati

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Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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