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RealDoll: androidi e sentimento nella fotografia di Elena Dorfman
04.06.2019

Le RealDoll, ovvero bambolo estremamente realistiche, non sono giocattoli solo sessuali ma veri e propri oggetti d’affezione, che si trovano in vendita dal 1996, grazie alla prima lungimirante azienda che iniziò a produrle, la Abyss Creation, nello stabilimento di San Marcos, in California.

L’idea di queste bambole è stata dello scultore Matthew McMullen, che non a caso è chiamato lo “Steve Jobs del sesso”, il quale ha sempre nutrito una profonda ammirazione verso la donna e il suo corpo, tanto da iniziare a produrre manichini estremamente realistici che lo ritraessero con assoluta veridicità.

La strada è stata molto lunga e, pian piano, con lo sviluppo della tecnologia le real doll, sono state perfezionate, donando loro anche la parola e facendo assumerle espressioni facciali sempre più umane, come chiudere gli occhi o farli muovere autonomamente.

Elena Dorfman, Valentine 3, dalla serie “Still Lovers”, 2002.
C-Print, Aluminium 74,6 x 74,6 cm Courtesy the artist; Edwynn Hook Gallery, New York
© Elena Dorfman

Quando lo scultore mise in vendita le prime bambole sul suo sito internet, il successo non tardò ad arrivare, ma se lo scopo da lui immaginato era prevalentemente sessuale, in realtà chi iniziò ad acquistarle manifestava tutt’altra volontà. I clienti richiedevano esplicitamente bambole realistiche, dotate di un anatomia perfetta e aderente al vero in tutto e per tutto, così come fondamentale era la sensazione che queste dovevano avere al tatto.

Le RealDoll hanno lo scheletro in PVC che permette loro di assumere movenze e posizioni simili al corpo umano, le articolazioni sono realizzate in acciaio inossidabile e il corpo in silicone ricrea una sensazione che al tatto ricorda quella dell’epidermide umana.

Le caratteristiche fisiche si scelgono in base ai propri gusti fin al minimo dettaglio, le mani assumono la posizione che si desidera, le ciglia sono truccate, le unghie perfette e così i capelli. Addirittura alcuni modelli sudano e sono dotate di un sistema di sensori interni, grazie al quale se si stringe un braccio, affiorano le vene blu, inoltre come dice il suo creatore, «alcuni modelli si riscaldano con il movimento, più le muovi più la temperatura in superficie si alza».

«Queste bambole non sono per tutti, non vanno nascoste o buttate sotto il letto», i proprietari le vedono nascere e le seguono durante tutto il percorso che le  porta a nascere, ne scelgono il nome, le caratteristiche fisiche, i dettagli, anche quelli più minuti, e ciò comporta in loro un grande investimento emotivo.

Credo che questo atteggiamento sia particolare, ma sappiamo che ormai il possesso delle RealDoll è molto diffuso, da analizzare certo, ma non da criticare o da pensare semplicemente come un puro sfogo sessuale; i sentimenti che portano ad acquisire una bambola, sono tra i più diversi e di sicuro non sono da prendere con leggerezza o scherno.

Elena Dorfman, Ginger Brook 4, 2001.
Dalla serie “Still Lovers”, 2002.
C-Print, Aluminium 74,6 x 74,6 cm Courtesy the artist; Edwynn Hook Gallery, New York
© Elena Dorfman

Numerose le indagine svolte su questi comportamenti e numerosi i documentari: Guys and Dolls (rinominato Love Me, Love My Doll per la messa in onda del 2007 da parte della BBC); nel 2007 è uscito Lars e una ragazza tutta sua di Craig Gillespie, in cui il protagonista (Ryan Goslin) introduce una bambola nella vita quotidiana e la porta ovunque, presentadole amici e parenti, fino ad ottenere il riconoscimento da parte della società.

Comportamento tra i più comuni, quando si inizia a presentare un’affezione da queste bambole, credendo in tutto e per tutto che esse siano reale e volendo condividere con loro ogni attimo della propria vita.

Un ricercatore britannico, David Levy, ha svolto un analisi approfondita su questo argomento e nel 2001 ha fondato la Intelligent Toys Ltd, essendo fermamente convinto che «presto i robot diventeranno partner sessuali per un vastissimo numero di persone».

Riccardo Campa, docente di Sociologia della Scienza all’Università di Cracovia e direttore della World Transhumanist Association, afferma: «Ci sarà un momento in cui i robot saranno quasi indistinguibili dagli esseri umani, ma più belli e privi di difetti», e continua, «a quel punto, il loro utilizzo anche a fini sessuali sarà inevitabile».

Con il raggiungimento della massima perfezione dell’interattività, i dispositivi pian piano riescono a reagire ai nostri movimenti e rispondere alla nostre emozioni.

Se l’analisi sociologica procede spedita nello studio di tale fenomeno, dobbiamo dire che anche quella artistica e fotogiornalistica si è fin da subito interessata a questo argomento.

Già Helmut Newton nella serie Simulato e Umano del 1978, aveva realizzato una campagna pubblicitaria con i manichini e sappiamo quanto questi siano stati cari a Freud nella dedizione del perturbante, ai Surrealisti, ma anche a tutta l’arte successiva.

Il fotogiornalista Zackary Canepari, incuriosito da questo argomento, è entrato dentro la fabbrica di McMullen realizzando un servizio tra il surreale e l’inquietante: con volti eterei riposti in una scatola o manichini inquietanti stesi ad asciugare su ganci di ferro.

©Zackari Canepari

Il mio interesse verso questo argomento però nasce molto tempo, quando ebbi modo di vedere una mostra curata da Franziska Nori, proprio su Elena Dorfman, artista nata a Boston ma che vive e lavora spostandosi tra New York e San Francisco.

Con la serie Still Lovers, ha deciso di entrare in questo mondo oscuro ai più, incontrando i proprietari delle bambole, che hanno voluto condividere con lei i sentimenti che portando ad adottare una bambola nella propria vita.

Legami emotivi forti che travalicano dall’essere meri oggetti sessuali ma, come ben si evince da queste immagini, le Real Doll, ovvero le bambole “umane” qui ritratte vengono viste come vere e proprie compagne di vita: si condivide la lettura di un libro, la visione della televisione tenendosi per mano, un pasto o una colazione.

Gli androidi sono già un discorso “vecchio”, le ricerche della Dorfman risalgono al 2001 e la creazione della RealDoll al lontano 1996. Dopo tutto questo tempo, possiamo essere sicuri di aver accettato e capito senza riserve queste storie d’amore, passione e sentimento?

Nel 2004 si pensava che entro il 2020 questi androidi sarebbero stati dotati di un inizio di coscienza… ma in un mondo come il nostro, dove la paura del diverso vige incontrastata, dove invece di andare avanti con il pensiero, regrediamo allo stato brado, siamo sicuri di essere realmente disposti a comprendere, senza farci scherno delle debolezze altrui, ammesso che queste lo siano. Quali sono i sentimenti che spingono una madre ad acquistare una bambola con le fattezze di una figlia che ormai non c’è più? Quali quelli di un ragazzo che semplicemente vuole guardare un programma tv con la sua ragazza?

Ci sentiamo realmente così pronti a giudicare, senza provare un attimo a capire?

***

Revisione di un testo del 20 giugno 2014.

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Fotografia e Cinema  / Sguardi d'Autore

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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