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Berenice Abbott. Topografie
23.02.2017

“Innanzitutto definiamo cosa non è una fotografia. Una fotografia non è un dipinto, una poesia, una sinfonia, una danza. Non è solo una bella immagine, non un virtuosismo tecnico e nemmeno una semplice stampa di qualità. È o dovrebbe essere un documento significativo, una pungente dichiarazione, che può essere descritto con un termine molto semplice: selettività. La fotografia non potrà mai crescere fino a quando imiterà le altre arti visive. Deve camminare da sola, deve essere se stessa”.

Una frase famosa, più volte citata quando si parla della fotografa che l’ha pronunciata, Berenice Abbott, la quale non solo con queste poche parole esprime la sua posizione rispetto alla fotografia pittorialista d’inizio Novecento, ma è soprattutto un’esplicita dichiarazione di poetica personale e coerenza concettuale. Uguale solo a se stessa la fotografia, deve essere selettiva e indagatrice, deve cogliere i mutamenti in atto nella società e lo spirito del proprio tempo con il fine di comunicare al pubblico la concretezza e la scientificità del reale. Non poteva quindi che chiamarsi BERENICE ABBOTT. Topografie la prima mostra antologica a lei dedicata in Italia presso il Museo MAN di Nuoro, con la curatela di Anne Morin. 

L’esposizione presenta una selezione di ottantadue stampe originali realizzate dalla Abbott tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta, divise in tre sezioni ben strutturate attraverso le quali viene ripercorsa l’intera carriera della fotografa americana. Si parte dalla sezione dei ritratti che indubbiamente caratterizza l’inizio della sua carriera come assistente di Man Ray, che conosce a New York dopo essersi trasferita dall’Ohio per studiare scultura. Insieme decidono di partire alla volta di Parigi e qui sotto consiglio dell’artista dada realizza numerosissimi ritratti dei più importanti esponenti dell’avanguardia artistica e letteraria del tempo. La sua prima mostra personale si svolge alla galleria Le Sacre du Printemps nel 1926, un anno fatidico durante il quale apre anche il proprio laboratorio fotografico che diventa luogo d’incontro per intellettuali e artiste. Sempre a Parigi, la Abbott conosce il famoso fotografo Eugène Atget e subito rimane folgorata dalle sue bellissime immagini di una Parigi che sta scomparendo, fatta di angoli nascosti, mercatini delle pulci e insegne fatte a mano, tanto che sarà lei a fotografarlo in uno dei pochi ritratti pervenuteci dell’artista, così come sarà lei – dopo la morte del fotografo – ad acquistare molti dei suoi negativi promuovendone la conoscenza attraverso pubblicazioni e mostre sia in Europa che negli Stati Uniti.

Sotto l’influenza artistica di Atget la Abbott si dedica a progetti riguardanti gli importanti mutamenti che in quegli anni stanno avvenendo nelle grandi metropoli, e in particolare, con il ritorno a New York inizia il famoso lavoro Changing New York, a cui è anche dedicata la seconda sezione della mostra presso il MAN. Un progetto immenso e un archivio ricco di fotografie attraverso il quale la Abbott ha documentato giornalmente i mutamenti architettonici, topografici e urbanistici che negli anni Trenta hanno interessato la Grande Mela con “fotografie caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre e da angolature dinamiche”. L’ultima sezione della mostra è invece dedicata alla fotografia scientifica, che ha caratterizzato la sua carriera dagli anni Quaranta in poi, prima diventando photo-editor della rivista Science Illustrated, poi durante gli anni Cinquanta dedicandosi alla realizzazione di illustrazioni sui principi della luce e della meccanica per il Massachusetts Institute of Technology. La mostra BERENICE ABBOTT. Topografie al MAN di Nuoro – realizzata grazie al contributo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna – celebra l’arte e la ricerca di questa straordinaria fotografa che morì il 9 dicembre 1991 lasciando ai posteri un corpus di opere di straordinario valore artistico e scientifico.

BERENICE ABBOTT. Topografie
a cura di Anne Morin
17 Febbraio 2017 – 21 Maggio 2017
Museo MAN, via S. Satta 27- 08100, Nuoro

***

Testo di Claudia Stritof pubblicato su Juliet art magazine online (15/02/2017)

Dorothy Whitney, Paris, 1926 © Berenice Abbott_Commerce Graphics_Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York

Nightview, New York, 1932 © Berenice Abbott_Commerce Graphics_Getty Images. Courtesy of Howard Greenberg Gallery, New York

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Fotografia e Cinema  / Press - Collaborazioni di Cult Mag  / Recensioni e Mostre

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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