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Gian Maria Volonté: intellettuale eretico
19.12.2019

Uomo di grande acume e di misteriosa bellezza, Gian Maria Volonté è stato un attore di eccelsa bravura. Impossibile dimenticarlo nei panni di Ramon Rojo nel film Per un pugno di dollari di Sergio Leone, in quelli di El Indio in Per qualche dollaro in più, dell’imprenditore Enrico Mattei, del mafioso Lucky Luciano, di Aldo Moro, Renato Braschi, Michelangelo e Caravaggio.

Attore di innato talento, affinato da uno studio «matto e disperatissimo», Volonté è stato anche un attento osservatore del mondo a lui contemporaneo e un coraggioso contestatore. Nato a Milano il 9 aprile 1933, fin da giovane dimostra avere un’anima ribelle: abbandona la scuola per svolgere diversi lavoretti, fino a quando – dopo un breve soggiorno in Francia per raccogliere mele – si iscrive all’Accademia Internazionale d’Arte Drammatica di Roma, sotto l’insegnamento di Orazio Costa.

A Cavallo della Tigre di Luigi Comencini, 1961. Foto di Enrico Santelli ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale, Roma

In questo periodo recita in molti teatri, crede nelle sue potenzialità e interpreta personaggi drammatici e tremendamente reali; è espressivo ma non manierista e, se il teatro è la sua casa, a farlo conoscere al grande pubblico saranno televisione e cinema. Viene chiamato da Dullio Coletti per recitare nel film Sotto dieci bandiere e Un uomo da bruciare dei fratelli Taviani, quest’ultima pellicola sulla vita del sindacalista siciliano ucciso dalla mafia, Salvatore Carnevale, un film che consolida le certezze intellettuali di Volonté, studia il movimento operaio, parla con i contadini e legge Marx, la sua attenzione ai problemi reali cresce smisuratamente e l’avvicinamento a tematiche impegnate si fa sempre più vivo.

Come lo stesso attore affermò: «io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondono a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressiste di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario tra l’arte e la vita».

Volonté non recita semplicemente un copione, ma esperisce sulla sua stessa pelle la vita di un altro da sé: studia, conosce e comunica attraverso un’eccelsa mimica e un’imprevedibile gestualità.

«Io non entro e non esco dai personaggi – disse l’attore – non esiste, secondo me, una tecnica unica e precisa. Si può interpretare un personaggio in totale immersione, ma può avvenire anche il contrario […] Io so bene quali percorsi faccio, però ho sempre un fondo di scetticismo nel parlarne perché mi rendo conto che in questo Paese tutti pensano che si possa essere o non essere attori, in qualsiasi momento. Invece non è vero, ci sono discipline che richiedono anni di frequentazione».

Il suo metodo era ferreo e questo lo ha raccontato anche Giuliano Montaldo quando disse: «se doveva interpretare un personaggio negativo, era negativo anche durante le pause, durante la notte, durante i momenti di pranzo e cena, si immedesimava talmente nel personaggio da diventare altro, una totale immersione nel personaggio vivendo insieme a lui».

La Ragazza con la valigia di Valerio Zurlini, 1961. Foto di Leo Massa ©Archivio fotografico della Cineteca Nazionale, Roma

Se nel 1964 Volonté ha i primi problemi con la censura per Il Vicario, opera di aperta denuncia contro i sottaciuti rapporti tra Pio XII con il regime nazista, negli anni successivi fa l’incontro più importante per lui con Elio Petri, esponente del cinema verità, che lo chiama per prendere parte nel 1967 in A ciascuno il suo, pellicola che vince il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes e il premio come migliore attore protagonista ai nastri d’argento nel 1968. Sarà sempre con Petri che Volonté recita in La classe operaia va in paradiso, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e Todo modo, un vero e proprio atto di accusa verso la DC.

Dopo aver superato un periodo molto duro a causa di un tumore ai polmoni, Volenté comincia nuovamente a recitare, nonostante i tempi siano ormai cambiati e dopo tanti successi muore il 5 dicembre 1994 a Florina, in Grecia, sul set de Lo sguardo di Ulisse, dove avrebbe interpretato la parte del direttore della cineteca di Sarajevo assediata durante la guerra nella ex Jugoslavia.

Per meglio approfondire la poliedrica figura di Gian Maria Volonté, fino al 22 dicembre, è possibile visitare la mostra a lui dedicata in occasione della XVIII edizione del Festival del cinema di Porretta Terme, proprio nella località dove nel 1971 Gian Maria Volonté ed Elio Petri presentarono in anteprima mondiale, La classe operaia va in paradiso. Inaugurata il 6 dicembre, giorno in cui si è stato celebrato il venticinquesimo anno dalla sua scomparsa, la mostra è stata realizzata in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia.

Testo di ©Claudia Stritof. Tutti i diritti riservati

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Fotografia e Cinema  / Recensioni e Mostre

Claudia Stritof
Claudia Stritof, calabrese dal cognome un po' strano. Pensa che la frase “ce lo caghi che sei un artista” tratta da "Le straordinarie avventure di Penthotal" di Pazienza sia geniale, eppure studia arte fin da piccola. Ama la fotografia, collabora con una galleria d'arte di Bologna che adora, ama il mondo del circo e i tatuaggi anche se ne ha solo uno e microscopico. Le piace raccontare ciò che c'e di bello nel mondo, ma anche ciò che è triste perché la vita non è “tutta rosa e fiori” come spesso la raccontano. Pensa fermamente che aveva ragione quel gran furbacchione di Henry Miller quando diceva “il cancro del tempo ci divora” e prima che il tempo la divori, ogni giorno lei si alza e si ricorda che vivere non è scontato.

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