“Un mondo vivido di luci e di colori, fresco, fragrante, come fu voluto da Dio, nei primordi della creazione. Ed i personaggi che lo popolano sono ancora nudi, inesperti, senza parola. Passano i secoli, le generazioni si susseguono veloci, ma Adamo ed Eva vivono ancora nell’Eden. Nascono, muoiono. Un arco di tempo che racchiude la vita: fanciullezza, vecchiaia. Bonacce e tempeste. Eterne vicende umane; ma le vicende, anche se tragiche, anche se grottesche, si ammantano di luci misteriose, si vestono di stupito candore, diventano poesia per chi sa guardare con occhi attenti”.
Maria Macrì Lucà, Vecchio mondo e vecchia gente, 1969
Le coste calabresi hanno ispirato poeti, artisti e viaggiatori. Lodate per il verde lussureggiante della macchia mediterranea, per la brezza marina e per il blu cobalto del mare, queste terre custodiscono un legame profondo tra uomo e ambiente, specialmente per chi nasce qui, tra le onde e le montagne. Il mare scorre limpido e silenzioso, come se non avesse fine.
Qui si intrecciano da sempre storie umane e paesane, che diventano narrazione viva negli occhi di chi sa osservare. La storia che racconto è una vicenda generazionale, che coinvolge tutti: dai bambini agli anziani. Una storia reale, scritta dall’avidità di pochi, ma che pesa sulle spalle di molti.
Ecco perché inizio dal nostro mare cristallino. Perché anche lui può “arrabbiarsi”, incresparsi, alzare onde schiumose che si infrangono sulla riva con la forza di una verità troppo a lungo ignorata.

Costa Jonica ©Claudia Stritof.
È un mare speciale, che molti luoghi di villeggiatura “d’eccellenza” non possiedono. Ma noi, questo mare, non abbiamo imparato a rispettarlo. Un tempo sì, quando le estati erano vive, le strade brulicavano di turisti, e l’aria profumava di sale e di promesse. Ora è solo un ricordo lontano, un rimpianto collettivo.
Negli anni, ho iniziato a guardare questo mare con occhi diversi. Come non riesco più a guardare l’Aspromonte o attraversare la galleria della Limina senza provare un senso di inquietudine. Qui, mare e montagna convivono con perfezione naturale, ma la bellezza è stata compromessa. L’avidità ha sporcato ciò che era puro, incurante delle conseguenze future.
Vite spezzate, intere famiglie colpite da malattie oncologiche che si ripetono con inquietante frequenza. Ragazzi, mamme, nonni, amici: nessuno sembra essere risparmiato. Le parole di Corrado Alvaro risuonano più attuali che mai: «la disperazione più grande che possa impadronirsi di una società è il dubbio che essere onesti sia inutile». Ma forse, oggi, quel dubbio ha attecchito, generazione dopo generazione, nella rassegnazione e nell’omertà.
Si parla da decenni delle cosiddette “navi dei veleni”, affondate nel nostro mare per occultare rifiuti tossici e radioattivi. Navi senza destinazione, solo con un tragico punto di partenza. Un tema discusso, poi rimosso, poi nuovamente emerso, in un ciclo di silenzi e allarmi che mai trovano conclusione.
E se fosse la nostra terra a farci ammalare?
I dati parlano chiaro: l’incidenza tumorale, soprattutto lungo la costa jonica calabrese, è preoccupante. Ogni tanto emergono dichiarazioni di pentiti, nuove inchieste, ipotesi di fusti tossici sotterrati. Ma le indagini approfondite mancano. Paura della verità? Indifferenza?
Le domande sono molte, le risposte poche. E quel che resta è la rabbia e il dolore.
Navi affondate, nomi dimenticati
- Aso (1979, largo di Locri): trasportava solfato ammonico. L’affondamento fu attribuito a un “urto con un oggetto sommerso”.
- Mikigan (1986): trasportava granulato di marmo, materiale che può schermare sostanze tossiche. Affondò nel Tirreno.
- Rigel (1987): affondata dolosamente, fu confermata la truffa assicurativa. Un’intercettazione parlava di un carico di “merda”.
- Four Star I (1988): affondata in un punto imprecisato dello Jonio.
- Jolly Rosso (1990): si arenò ad Amantea. Il tentativo di inabissarla fallì. La vicenda fu legata all’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Alcune inchieste giudiziarie hanno tentato di fare luce, ma troppe sono state archiviate. Nel frattempo, si parla di rifiuti tossici sotterrati in aree montane come Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico, Motta San Giovanni, Stilo, Fabrizia e altre.
Secondo un documento citato dal giornalista Claudio Cordova, già nel 1992 i Servizi Segreti segnalavano che membri di famiglie criminali avevano autorizzato lo sversamento di rifiuti tossici, anche in cambio di armi, trasportati dalla Germania fino alla Locride.
Cosa resta di tutto questo?
Per chi non conosce questi luoghi, sono nomi lontani. Per chi ci vive, sono casa: luoghi legati a ricordi, feste, amicizie. Forse sarà nozionismo, forse solo un elenco di “carrette” e carte polverose, ma c’è chi queste cose le studia e continua a farsi domande.
È nostro dovere condividere dubbi, pensieri, paure, soprattutto per chi verrà dopo di noi. La nostra terra merita rispetto, cura e verità. Ma finché chi dovrebbe proteggerla sceglierà di ignorarla, saremo noi a doverlo fare. Con le parole, con la memoria, con la resistenza.

La nave Jolly Rosso arenata sulla spiaggia di Amantea in provincia di Cosenza nel 1994 . ANSA/ FRANCESCO ARENA
2 Comments
Il mare dà un grande senso di calma eppure non sta mai fermo…
No mai… E penso che prima o poi le cose “vengano a galla” o almeno lo spero..